la doccia in piscina

Da Gynepraio @valeria_fiore

Quando ho cominciato ad andare in piscina, ne ho scelta una low budget. Una di quelle piscine anni ’80, manutenute il minimo igienico indispensabile ma fedeli a se stesse. Se c’è una cosa che ho imparato guardandomi ogni mattina allo specchio, è che non ci si può levare di dosso 10 anni con un paio di lavoretti di ristrutturazione.

Idem per le piscine. Macchie di umidità alle pareti, che annualmente vengono ridipinte ma che si presentano puntuali coi primi freddi, asciugacapelli adeguati alla 626 ma pur sempre vecchi e rugginosi, armadietti ridipinti ma divelti, addetta segreteria con la ricrescita, tipo bidella. Sembra una scuola elementare, infatti mi aspettavo di trovarci il crocifisso e il ritratto di Cossiga.

Questa è la piscina che frequento io

Tutto questo understatement perché non avevo voglia di finire in un posto fighetto, ben tenuto e scintillante. Se avessi scelto una piscina pulitissima, dotata di ogni comfort e di un impianto elettrico a norma non avrei avuto nessuna scusa per fare quello che faccio sempre dopo la pratica sportiva: asciugarmi alla bell’e meglio e andarmene a casa a farmi la doccia. Ebbene sì, io non mi faccio la doccia in piscina. Quando questa cosa è venuta fuori nel corso di una conversazione con alcuni amici, è stato tutto un “Ma come, stolta? La doccia post nuotata è il piacere più grande e meritato che tu possa provare, ma come fai a perdertelo, sportiva dell’ultima ora che non sei altro, parvenu della piscina, anatema anatema.”

Per rispondere a costoro, ho elaborato una complessa risposta che suona come: Scusa ma io sono abituata a usare 7 prodotti detergenti diversi, mi passo la Clarisonic sul decolléte, mi avvolgo i capelli in un turbante mentre fa effetto la maschera, nel frattempo mi strofino tutta con un guanto di crine per togliermi uno strato di pelle, sovente mi depilo le ascelle e mi levigo le piante dei piedi con una cazzuola da muratore. Uscita dalla doccia mi tampono vigorosamente in ogni orifizio, passo 7 prodotti idratanti diversi, mi titillo i timpani col cottonfiocc, poi devo asciugare i capelli e piastrarli bene se non sembro un cespo d’alghe del mar Morto. Capisci che questa liturgia igienica è troppo complessa per replicarla in un umido spogliatoio, peraltro pieno di funghi, miceti, spore, virus e batteri che me li sento già camminare addosso. Inoltre sotto la doccia canto, non credo che agli altri questo faccia piacere, che dici? Produco matasse di capelli grosse come un pugno, non c’è manco la scopa per raccoglierle, che brutto, non trovi?

In cuor mio, so che questa è una scusa: potrei espletare tutte queste abluzioni nelle altre 6 occasioni settimanali in cui mi faccio la doccia, e limitarmi, in piscina, a farne una più rapida ed essenziale. Mi sono sempre vergognata di dire la vera motivazione per cui non faccio la doccia in piscina.

Mi imbarazza vedere tutta quella nudità esposta come al mercato. Tutte quelle tette, di ogni taglia, texture, consistenza, con quei capezzoli grandi o piccoli, in tutte le nuance dal rosa al bruno. Le panze da birra, i rotoli, le maniglie dell’amore, i sederi grandi, i sederi secchi, i piedi e le relative unghie, spesso ingiallite o con lo smalto sbeccato.

Quella delle piscine non è nudità statica, come quella che vedono gli studenti di medicina in obitorio. No! E’ nudità che fa cose. S’increma le cosce, si tampona l’interno gluteo prima di infilarsi discutibili mutande sbarluccicanti, si piega a novanta gradi per raccogliere un pettine, fa scorrere un roll-on sui peli delle ascelle, si passa un asciugamanino tra le dita dei piedi alla ricerca di pelle morta o altri innominabili materiali organici.

Ma soprattutto, è un tripudio di vagine in bella vista. Alcune completamente depilate, altre metà metà, altre terribilmente nere e cespugliose. Io di solito sto accucciata sotto un asciugacapelli, con lo sguardo basso. Per la pena del contrappasso, a fianco a me siede sempre la nuotatrice più disinibita. Nell’unico istante in cui alzo gli occhi da terra, mi ritrovo il suo gattaccio a 5 cm dalle pupille.

E istantaneamente, so già quali incubi farò quella notte.

PS Credevo si trattasse di un eccesso di sensibilità femminile. Ho scoperto però che negli spogliatoi maschili si consumano drammi simili al mio. La vista di nudità virili ha infatti ispirato il grande poeta vivente nonché mio concittadino Guido Catalano. Ecco cosa scriveva diversi anni fa.


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