La donna che visse due volte

Creato il 24 luglio 2013 da Unostudioingiallo @1StudioInGiallo
Da soli si può andare in giro. 
In due si va sempre da qualche parte.
Madeleine Elster

Prosegue il nostro viaggio alla scoperta delle opere letterarie che hanno ispirato i capolavori
di Sir Alfred Hitchcock. E non ci occupiamo di una pellicola qualunque bensì di quello che è stato definito "il miglior film di tutti i tempi": La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) guida infatti, dall'agosto dello scorso anno, la prestigiosa classifica stilata ogni due lustri dalla rivista cinematografica Sight & Sound.
Che si tratti o meno miglior film di tutti i tempi - classifiche di questo genere, per quanto affascinanti (e, nel caso di Sight & Sound, indiscutibilmente autorevoli), lasciano il proverbiale tempo che trovano - , siamo di fronte a una delle massime vette del cinema hitchcockiano: un'opera che conserva intatto il proprio fascino da oltre mezzo secolo e che è quasi ingeneroso paragonare al romanzo da cui trae - molto liberamente - origine.
La leggenda vuole che Pierre Boileau e Thomas Narcejac, apprezzata coppia di giallisti francesi già autori del fortunato Les diaboliques (Celle qui n'était plus), abbiano scritto il noir sentimentale D'entre les morts (Sueurs froids) a metà degli anni Cinquanta proprio in vista di un'eventuale trasposizione sul grande schermo per mano di Sir Alfred. Quel che è certo, il romanzo affronta tutti i nodi tematici cari al Maestro del Brivido: la vertigine fisica ed emotiva, i sentieri - anch'essi vertiginosi - dell'inconscio, il peccato e il senso di colpa. Ma soprattutto il tema del doppio, che qui beffardamente si esaspera in un continuo gioco di specchi e diviene caleidoscopico: Renée che interpreta Madeleine che a sua volta "interpreta" Pauline Lagerlac...
Hitchcock si lascia sedurre dalla genialità dell'intreccio criminale e dalle atmosfere simenoniane (il romanzo è ambientato in una Parigi livida e misteriosa, agli albori del secondo conflitto mondiale) e rielabora il tutto da par suo, apportando modifiche sostanziali e in alcuni casi provvidenziali: dalla Ville Lumière la vicenda si sposta sulle strade di San Francisco (memorabile il tuffo di Kim Novak nelle acque gelide della baia, all'ombra del Golden Gate Bridge) e le elucubrazioni del tormentato protagonista, che costituiscono la cifra distintiva del testo originale, si sublimano in un mix perfetto di azione e tensione narrativa.
Un buon romanzo e un ottimo film, si potrebbe sintetizzare. Merito di una sceneggiatura che rimaneggia con piglio deciso i passaggi più "deboli" della costruzione romanzesca e disegna un finale semplicemente perfetto, che annichilisce - nonostante lo si conosca ormai a memoria, o forse proprio per questo - con la sua bellezza. Un epilogo assai diverso da quello, pur apprezzabile e a suo modo coerente con lo spirito del romanzo, immaginato dalla premiata ditta Boileau-Narcejac.
Se siete così fortunati da non conoscere ancora questa storia, ecco la nostra modesta proposta: procuratevi immediatamente una copia del film (Jimmy Stewart in stato di grazia val bene un'eccezione alla regola aurea del "prima il libro") e quando sarete sazi - lo sarete, potete giurarci! - godetevi il fascino tutto particolare di un romanzo inspiegabilmente ignorato e sottovalutato. A lungo introvabile, in Italia è stato ripubblicato da Sellerio nel 2003 con il titolo "La donna che visse due volte" e un'interessante nota di commento a cura di Claudio G. Fava.

James Stewart e Kim Novak in una scena del film.



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