La donna del piano di sopra, di Claire Messud
Da Silviapare
Vi presento l'incipit dell'ultimo libro che ho tradotto. Domani ve lo racconto di persona ;-)
"Quanto sono arrabbiata? È meglio che non lo sappiate. È meglio che non lo sappia nessuno.Sono una brava ragazza, una ragazza gentile, diligente e puritana, brava figlia e brava lavoratrice, non ho mai rubato un fidanzato e non ho mai tradito un’amica, mi sono sciroppata i miei genitori e mio fratello, e comunque non sono una ragazza, ho più di quaranta merdosissimi anni, e sono brava nel mio lavoro e sono fantastica con i bambini e ho tenuto per mano mia madre quando è morta, dopo quattro anni passati a tenerla per mano mentre moriva, e parlo al telefono con mio padre tutti i giorni, tutti i giorni, attenzione, e che tempo fa sulla tua sponda del fiume, perché qui è abbastanza grigio e anche un po’ afoso? Sulla mia lapide doveva esserci scritto Grande Artista, e invece se morissi ora ci scriverebbero brava insegnante/figlia/amica; mentre quello che in realtà vorrei gridare, e che vorrei anche vedere scritto a lettere cubitali su quella tomba, è andate tutti a fare in culo.Non è quello che provano tutte le donne? L’unica differenza è quanto siamo consapevoli di provarlo, quanto siamo in contatto con la nostra furia. Siamo tutte furie, tranne quelle che sono completamente stupide, e adesso ho paura che gli stiamo facendo il lavaggio del cervello fin dalla culla, così alla fine anche quelle intelligenti diventeranno del tutto stupide. A chi mi riferisco? Alle alunne di seconda della Appleton Elementary, a volte anche a quelle di prima, che quando arrivano nella mia classe, in terza, ormai sono bell’e che andate, piene di Lady Gaga e Katy Perry e manicure francesi e bei vestitini, e si preoccupano della pettinatura! In terza elementare. Sono più interessate alla pettinatura e alle scarpe che alle galassie, ai bruchi e ai geroglifici. Com’è possibile che tutte quelle chiacchiere rivoluzionarie degli anni Settanta ci abbiano portate in un posto dove essere femmine significa fingersi tonte e farsi belle? Era bella, come iscrizione sulla lapide, è ancora peggio di figlia obbediente: una volta lo sapevano tutti. Ma oggi siamo persi in un mondo di apparenze.Ecco perché sono così arrabbiata, in realtà: non per tutti i lavori ingrati, le smancerie e i doveri che l’essere donna – o piuttosto, l’essere me – comporta, perché questi, forse, sono gli inevitabili fardelli dell’essere umano. In realtà sono arrabbiata perché ho cercato in tutti i modi di uscire dalla Casa degli specchi, dall’inganno e dalla finzione del mondo, o del mio mondo, sulla costa orientale degli Stati Uniti d’America nel primo decennio del Ventunesimo secolo. Ma dietro ogni specchio c’è un altro cazzo di specchio, in fondo a ogni corridoio c’è un altro cazzo di corridoio, e il parco dei divertimenti non è poi così divertente, ma a quanto pare non esiste una porta con la scritta uscita. D’estate, quando ero bambina, andavamo al Luna Park e visitavamo la Casa degli specchi, con quella sua faccia di gesso dal ghigno raccapricciante alta due piani. Si entrava dalla bocca, tra due file di denti enormi, camminando sulla lingua rosa acceso. Avrei dovuto capirlo subito, guardando quella faccia. Doveva essere uno spasso, e invece mi terrorizzava. Il pavimento cedeva sotto i piedi oppure ondeggiava da una parte all’altra, le pareti erano storte e le stanze dipinte in modo da alterare la prospettiva. Negli stretti corridoi vibranti, tra luci intermittenti e strombettii, gli specchi ti ingrassavano, allungavano, rovesciavano e capovolgevano. A volte il soffitto si abbassava o il pavimento si alzava, oppure succedevano entrambe le cose contemporaneamente, e io temevo di rimanere schiacciata come un insetto. La Casa degli specchi mi terrorizzava molto più della Casa stregata, soprattutto perché in teoria avrei dovuto divertirmi. Invece volevo solo scappar via. Ma le porte con la scritta uscitasi aprivano su altre stanze folli, su interminabili corridoi vibranti. C’era un unico percorso attraverso la Casa degli Specchi, ed era obbligato, fino in fondo.Oggi ho finalmente capito che la Casa degli specchi è la vita stessa. Noi vogliamo solo trovare la porta con la scritta uscita, la via di fuga verso un posto dove esiste la Vita Vera; ma non la troveremo mai. No: mi correggo. Negli ultimi anni c’è stata una porta, ci sono state diverse porte, e io le ho aperte e varcate con slancio, e per un po’ ho creduto di avercela fatta a uscire fuori, nella Realtà – mio Dio, la beatitudine e il terrore che ho provato, l’intensità di quei momenti: sembrava tutto così diverso – finché d’un tratto mi sono accorta di essere sempre rimasta dentro la Casa degli specchi. Ero stata ingannata. La porta con la scritta uscita non era affatto un’uscita."
Claire Messud, La donna del piano di sopra, Bollati Boringhieri, traduzione mia
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