La donna della domenica ha tutti i crismi del giallo classico: due omicidi, un manipolo di sospettati, indizi depistatori e illuminanti, una soluzione e una colpevole. Un architetto di dubbia moralità, corruttore e ricattatore, viene trovato ucciso con il cranio fracassato da un’arma decisamente impropria: un grande fallo di pietra, prodotto in serie nel laboratorio di un rustico e irascibile artigiano. Il commissario Santamaria viene incaricato delle indagini e i primi sospetti cadono su due amici: Anna Carla Dosio, moglie annoiata di un ricco industriale, e Massimo Campi, omosessuale della buona borghesia che trascina una relazione con l’ossessivo e isterico Lello, impiegatuccio con velleità da letterato. A far cadere i sospetti su Anna Carla e Massimo, oltre alla frequentazione degli stessi salotti dell’architetto ucciso, c’è un biglietto che i due si sono scambiati, in cui si parla della necessità di eliminarlo. Il biglietto viene consegnato alla polizia per ripicca da una coppia di domestici meridionali appena licenziati dai Dosio, ma gli inquirenti non danno troppo peso alla testimonianza e, anzi, il commissario inizia a flirtare con la bella Anna Carla.
Intanto, Lello, per riguadagnare la stima di Massimo, ormai esausto per le sue continue scenate, si mette in testa di scoprire l’identità dell’assassino. La sua indagine, più o meno inconsapevolmente, mette la polizia sulla pista giusta. Si scopre così che l’architetto aveva chiesto una mazzetta alla proprietaria di un terreno, per non rivelare l’esistenza in loco di un lavatoio di rilevanza storica che avrebbe potuto vanificare la richiesta di edificabilità, inoltrata al comune dalla proprietaria, Ines Tabusso. Costei vive con la succube sorella in una villa sulle colline torinesi, nel cui parco, durante una retata antiprostituzione avviata su segnalazione della stessa donna, vengono ritrovati un impermeabile e una parrucca compatibili con le testimonianze raccolte sul luogo dell’omicidio. Il giallo si chiarisce definitivamente al Balon, il tradizionale mercatino delle pulci domenicale di Torino. Qui si danno appuntamento tutti i protagonisti del romanzo, chi per faccende proprie, chi per investigare e chi per uccidere Lello, improvvisato investigatore pericolosamente vicino alla soluzione. Ma l’assassino commette un’imprudenza: la sua macchina viene multata per una banalissima sosta vietata nei pressi del luogo e dell’ora del delitto. Dai controlli, Santamaria scopre che l’auto è di proprietà di Ines Tabusso che, a questo punto, viene arrestata per il duplice omicidio.
Un giallo con tutti i crismi, si è detto, se non fosse che l’intrigo, in realtà, si rivela un pretesto per mostrare con ironia una Torino in cui gli anni del boom hanno ceduto il passo a quelli di piombo; una città al contempo metropoli e provincia, operosa e indolente, rispettabile e corrotta, nella quale, sotto l’opulenta e solenne facciata barocca e neoclassica, pulsa un cuore magico e gotico. Il giallo-non giallo riporta all’antecedente illustre del Pasticciaccio gaddiano, anche se nel romanzo di Fruttero e Lucentini la trama, per quanto volutamente esile, rimane ben definita, non si confonde nelle nebbie del pastiche linguistico, non viene spazzata via dallo tzunami del melting pot dialettale del capolavoro dell’ingegnere lombardo. La premiata ditta F & L non intende destrutturare la forma romanzo e il genere giallo, ma si limita a parodiarli, facendo emergere l’ipocrisia e la vacuità della buona borghesia torinese, capace di perdersi in estenuanti dibattiti sulla pronuncia più consona del nome della città americana di Boston.