La donna e il burattino – Romanzo spagnolo 3

Creato il 08 novembre 2012 da Marvigar4

La donna e il burattino

Romanzo spagnolo

Traduzione dall’originale francese La Femme et le Pantin – Roman espagnol

di Marco Vignolo Gargini

3. COME, E PER QUALI RAGIONI, ANDRÉ NON SI RECÒ ALL’APPUNTAMENTO DI CONCHA PEREZ

L’indomani mattina, André Stévenol ebbe un risveglio raggiante. La luce entrò pienamente dalle quattro finestre del mirador; e tutti i rumori della città, il passo dei cavalli, le grida dei venditori, i sonagli dei muli o le campane dei conventi, mischiavano sulla piazza bianca il loro brusio di vita.

Non si ricordava da molto tempo d’aver avuto un mattino così felice. Stirò le braccia, che tendeva con forza. Poi le strinse contro il petto, come se volesse darsi l’illusione dell’abbraccio atteso.

«Com’è facile la vita!» ripeté sorridendo. «Ieri, a quest’ora, ero solo, senza meta, senza pensieri. Una passeggiata è bastata, e stamattina eccomi in due. Chi allora ci ha fatto credere al rifiuto, allo sdegno o perfino all’attesa? Noi chiediamo e le donne si danno. Perché dovrebbe essere altrimenti?»

Si alzò. Si mise un accappatoio, le pantofole e suonò perché gli preparassero il bagno. Aspettando, la fronte incollata al vetro, guardò la piazza piena di luce.

Le case erano dipinte con quei colori leggeri che Siviglia spande sulle sue mura e che paiono abiti di donna. Ce n’erano color crema con cornicioni tutti bianchi, altre rosa, ma d’un rosa così fragile! Altre verde-acqua o arancio, e altre viola pallido. Mai gli occhi erano scossi dall’orrido bruno delle vie di Cadice o di Madrid; mai abbacinati dal bianco troppo crudo di Jérez.

Sulla piazza stessa, gli aranci erano carichi di frutti, le fontane scrosciavano, le ragazze ridevano tenendosi con le mani i lembi del loro scialle come le arabe chiudono il loro haïck. E dappertutto, dagli angoli della piazza, in mezzo alla carreggiata, dal fondo dei vicoli, i sonagli dei muli tintinnavano.

André non credeva si potesse vivere altro che a Siviglia.

Ultimata la toilette e bevuto lentamente una tazzina di cioccolato spagnolo denso, uscì alla ventura.

Il caso, che fu singolare, gli fece seguire il cammino più breve, dai gradini del suo hotel alla plaza del Triunfo; ma, arrivato là, André si ricordò delle precauzioni consigliate e, sia che temesse di scontentare la sua “maîtresse” passando troppo esplicitamente davanti alla sua porta, sia, al contrario, che non volesse affatto sembrare a tal punto tormentato dal desiderio di vederla più presto, seguì il marciapiede opposto senza nemmeno voltare la testa a sinistra.

Da là, si recò a Las Delicias.

La battaglia della vigilia aveva cosparso la terra di carte e gusci d’uovo che davano allo splendido parco una vaga sembianza di retrocucina. In certi punti, il suolo era sparito sotto dune instabili e variopinte. D’altronde, il luogo era deserta, poiché ricominciava la quaresima.

Eppure, lungo un viale che veniva dalla campagna, André vide farsi incontro un passante che riconobbe.

«Buongiorno, don Mateo», gli disse tendendogli la mano. «Non speravo di incontrarvi così presto.»

«Che fare, signore, quando si è soli, inutili e sfaccendati? Passeggio la mattina, la sera. Di giorno leggo o vado a giocare. È l’esistenza che mi sono creato. È lugubre.»

«Ma avete le notti che vi consolano del giorno, a quanto si dice in città.»

«Se continuano a dirlo, si sbagliano. Da oggi al giorno della sua morte, non si vedrà più una donna a casa di don Mateo Diaz. Ma non parliamo più di me. Quanto tempo resterete ancora qui?»

Don Mateo Diaz era uno spagnolo di quarant’anni, al quale André era stato raccomandato sin dal suo primo soggiorno in Spagna. I suoi gesti e le frasi erano di natura declamatori. Come molti dei suoi compatrioti, accordava un’importanza estrema alle osservazioni senza merito; ma questo non implicava da parte sua né vanità, né stupidità. L’enfasi spagnola si porta coma la cappa, con grandi pieghe eleganti. Uomo colto, la cui troppa fortuna gli aveva impedito di menare un’esistenza attiva, don Mateo era soprattutto noto per la storia della sua camera da estate, che passava per essere ospitale. Così André fu sorpreso d’apprendere che aveva rinunciato così presto alle pompe di tutti i demoni; ma il giovane s’astenne dal proferire le sue domande.

Passeggiarono un po’ in riva al fiume, che don Mateo, in quanto proprietario rivierasco, anche patriota, non si stancava d’ammirare.

«Voi conoscete», diceva lui, «quella battuta d’un ambasciatore straniero che preferiva il Manzanarès a tutti gli altri fiumi, perché era navigabile in carrozza e a cavallo. Guardate il Guadalquivir; padre delle pianure e delle città! Ho viaggiato molto, da vent’anni in poi, ho visto il Gange e il Nilo e l’Atrato, fiumi più ampi sotto una luce più viva: solo qui ho visto questa maestosa bellezza della corrente e delle acque. Il colore è incomparabile. Non è oro che sfuma sotto le arcate del ponte? Il flutto si gonfia come una donna incinta, e l’acqua piena, piena di terra. E la ricchezza dell’Andalusia che i due porti di Siviglia conducono verso le pianure.»

Poi parlarono di politica. Don Mateo era realista e s’indignava degli sforzi persistenti dell’opposizione, nel momento in cui tutte le forze del paese avrebbero dovuto concentrarsi intorno alla fragile e coraggiosa regina per aiutarla a salvare la suprema eredità d’una storia imperitura.

«Che caduta!» diceva. «Che miseria! Aver posseduto l’Europa, esser stati Carlo Quinto, aver sorpassato il campo d’azione del mondo scoprendo il mondo nuovo, aver avuto l’impero su cui il sole non tramonta mai; meglio ancora: aver per primi battuto il vostro Napoleone – e spirare sotto i bastioni d’un pugno di banditi mulatti! Che destino per la nostra Spagna!»

Però non bisognava dirgli che quei banditi erano i fratelli di Washington e di Bolivar. Per lui, erano dei vergognosi briganti che non meritavano nemmeno la garrota.

Si calmò.

«Amo il mio paese», riprese. «Amo le sue montagne e le sue pianure. Amo la lingua e il costume e i sentimenti del suo popolo. La nostra razza ha delle qualità d’una essenza superiore. Ha lei sola, è lei sola una nobiltà, in disparte dall’Europa, ignorante di tutto ciò che non è lei, e racchiusa nelle sue terre come in una muraglia del parco. Ed è per questo, senza dubbio, che declina a vantaggio delle nazioni del Nord, secondo la legge contemporanea che oggi spinge dappertutto il mediocre all’assalto del migliore… Voi sapete che in Spagna si chiamano hidalgos i discendenti delle famiglie rimaste pure da ogni mescolanza con il sangue moro. Non si vuole ammettere che, in sette secoli, l’Islam ha messo radici sulla terra spagnola. Per me, ho sempre pensato che vi fosse ingratitudine nel rinnegare tali antenati. Noi dobbiamo soltanto agli Arabi le qualità eccezionali che hanno disegnato nella storia la grande figura del nostro passato. Ci hanno trasmesso il loro disprezzo per il danaro, per la menzogna, per la morte, la loro inesprimibile fierezza. Di loro conserviamo la nostra attitudine così retta davanti a tutto ciò che è vile, e anche una certa qual pigrizia verso i lavori manuali. In verità, noi siamo loro figli, e non è senza ragione che continuiamo ancora a danzare le loro danze orientali al suono delle loro “feroci romanze”.»

Il sole saliva in un grande cielo libero e azzurro. I rami ancora bruni dei vecchi alberi del parco lasciavano intravedere a intervalli il verde degli allori e delle palme flessuose. Improvvisi sbuffi di calore incantavano quel mattino d’inverno d’un paese dove l’inverno non si riposa mai.

«Verrete a pranzare da me, spero?» disse don Mateo. «La mia huerta [1] è là, vicino la strada d’Empalme. In una mezz’ora ci saremo e, se permettete, vi tratterrò fino a sera per mostrarvi gli allevamenti dei miei cavalli dove ho qualche nuova bestia.»

«Sarò molto indiscreto», si scusò André. «Accetto di pranzare, ma non l’escursione. Questa sera ho un appuntamento a cui non posso mancare, credetemi.»

«Una donna? Non abbiate paura, non vi farò alcuna domanda. Siate libero. Vi sarò lo stesso grato se passate con me il tempo che vis separa dall’ora fissata. Quando avevo la vostra età, non potevo veder nessuno nelle mie giornate misteriose. Mi facevo servire i pasti in camera e la donna che attendevo era il primo essere a cui parlassi dal momento del mio risveglio.»

Tacque un istante, poi, con un tono di chi consiglia:

«Ah, signore!» disse, «Guardatevi dalle donne! Non vi dirò di fuggirle, perché io ho passato la mia vita con loro e, se la mia vita fosse da rifare, le ore trascorse così sono tra quelle che vorrei rivivere. Ma guardatevi, guardatevi da loro!»

E, come se avesse trovato un’espressione al suo pensiero, don Mateo aggiunse più lentamente:

«Vi sono due specie di donne che non bisogna conoscere per nessun prezzo: in primis, quelle che non vi amano, e in secundis, quelle che vi amano. Tra questi due estremi, vi sono migliaia di donne affascinanti, ma noi non sappiamo apprezzarle.»

Il pranzo sarebbe stato assai smorto se l’animazione di don Mateo non l’avesse rimpiazzato, con un lungo monologo, il dialogo che languiva; poiché André, preso dai suoi pensieri, ascoltò solo metà di ciò che gli fu narrato. Via via che il momento dell’incontro s’appressava, il battito del cuore che aveva sentito nascere il giorno prima riprendeva con un’insistenza sempre più pressante. C’era un appello assordante in lui, un imperativo assoluto che cacciava dal suo animo tutto ciò che non fosse la donna sperata. Avrebbe dato tutto perché la lancetta grande della pendola Impero su cui teneva fisso lo sguardo fosse già avanti di cinquanta minuti. Ma l’ora che guardiamo diventa immobile, e il tempo non scorreva più che uno stagno eterno.

Alla fine, costretto a restare e comunque incapace di tacere più a lungo, diede prova d’una giovinezza forse un po’ brusca tenendo al suo ospite questo discorso imprevisto:

«Don Mateo, voi siete stato sempre per me un uomo d’eccellenti consigli. Vorrete permettermi di confidarvi un segreto e di domandarvi un suggerimento?»

«A vostra completa disposizione,» disse al modo spagnolo Mateo alzandosi da tavola per passare al fumoir.

«Ebbene… ecco… è una domanda…» balbettò André. «Veramente non la farei a nessun altro che a voi… Conoscete una sivigliana che si chiama doña Concepcion Garcia?”

Mateo sussultò:

«Concepcion Garcia! Concepcion Garcia! Ma quale? Spiegatevi! Ci sono ventimila Concepcion Garcia in Spagna! E un nome così comune come da voi Jeanne Duval o Marie Lambert. Per l’amore di Dio, ditemi il suo cognome da ragazza. È P… Perez, ditemi? È Perez? Concha Perez? Ma parlate, dunque!»

André, completamente stravolto da questa emozione improvvisa, ebbe per un istante il presentimento che fosse meglio non dire la verità; ma parlò più in fretta del voluto, e, vivacemente, rispose:

«Sì.»

Allora Mateo, precisando ogni dettaglio come si tortura una piaga, continuò:

«Concepcion Perez de Garcia, 22, plaza del Triunfo, diciotto anni, capelli quasi neri e una bocca… una bocca…»

«Sì», disse André.

«Ah! Avete fatto proprio bene a parlarmi di lei. Avete fatto proprio bene, signore. Se posso fermarvi davanti alla porta di costei, sarà una buona azione da parte mia e una rara fortuna per voi. »

«Ma, chi è lei? »

«Come? Non la conoscete?»

«L’ho incontrata ieri per la prima volta; non l’ho nemmeno sentita parlare.»

«Allora, c’è ancora tempo!»

«È una ragazza di facili costumi?»

«No, no. Lei è al contrario, tutto sommato, una donna onesta. Non ha avuto che quattro o cinque amanti. All’epoca che viviamo, è esser casti.»

«E…»

«Inoltre, sappiate bene che è notevolmente intelligente. Notevolmente. Sia per il suo intelletto, che è dei più fini, e sia per la sua conoscenza della vita, io la giudico superiore. Non le eviterò alcun elogio. Danza con un’eloquenza che è irresistibile. Parla come danza e canta come parla. Che abbia un volto grazioso, suppongo che non ne abbiate dubbi; e se vedeste ciò che nasconde, direste che persino la sua bocca… Ma basta. Non ho detto tutto?»

André, infastidito, non rispose.

Don Mateo lo agguantò per le maniche della sua giacca, e scandendo con uno scossone la minima parola, aggiunse:

«Ed è la PEGGIORE delle donne, signore, capite? È la PEGGIORE delle donne sulla terra. Io non ho più che una sola speranza, una consolazione nel cuore: è che il giorno della sua morte, Dio non la perdonerà.»

André si alzò:

«Nondimeno, don Mateo, io che non sono ancora autorizzato a parlare di questa donna come fate voi, non ho alcun diritto di non andare all’appuntamento che m’ha dato. C’è forse bisogno che vi ripeta che vi ho fatto una confidenza e che mi rincresce d’interrompere le vostre con un congedo anticipato?»

E gli tese la mano.

Mateo si piazzò davanti la porta:

«Ascoltatemi, ve ne scongiuro. Ascoltatemi. Non è che un attimo, voi mi diceste poco fa che io ero un uomo d’eccellenti consigli. Non accetto questo giudizio. Non ne ho bisogno, per parlarvi così. Dimentico anche l’affetto che nutro per voi, e che, eppure, basterebbe da solo a spiegare la mia insistenza…»

«Ma allora?…»

«Vi parlo da uomo a uomo, come il primo venuto fermerebbe un passante per avvertirlo d’un grave pericolo e vi grido: “Non andate oltre, tornate sui vostri passi, dimenticate chi avete visto, chi vi ha parlato, chi vi ha scritto! Se voi conoscete la pace, le notti calme, la vita spensierata, tutto ciò che noi chiamiamo felicità, non avvicinatevi a Concha Perez! Se voi non volete che il giorno in cui siamo divida il vostro passato dal vostro avvenire in due metà di gioia e d’angoscia, non avvicinatevi a Concha Perez! Se non avete ancora provato sino all’estremo la follia che lei può generare e sostenere in un cuore umano, non avvicinatevi a quella donna, fuggitela come la morte, lasciate ch’io vi salvi da lei, abbiate pietà di voi, infine!»

«Don Mateo, voi l’amate dunque?»

Lo spagnolo si passò la mano sulla fronte e mormorò:

«Oh! No, tutto è finito. Io non la amo né la odio più. E passata. Tutto si cancella…»

«Così, non vi ferirò personalmente se m’astengo dal seguire il vostro consiglio? Io per voi farei volentieri un sacrificio di tal genere; ma non ne farei per me stesso… Che rispondete?»

Mateo guardò André; poi cambiando d’un colpo l’espressione dei suoi tratti, gli disse con un tono da battuta:

«Signore, non bisogna mai andare al primo appuntamento che dà una donna.»

«E perché?»

«Perché lei non vi viene.»

André, a cui queste parole rievocavano un ricordo particolare, non poté non sorridere.

«Talvolta è vero», disse.

«Molto spesso. E se, per caso, vi attendesse in questo momento, state certo che la vostra assenza non farebbe che indurre la sua attrazione per voi.»

André rifletté, e sorrise di nuovo.

«Questo vuol dire…?»

«… Che, senza fare alcun personalismo, e quand’anche la ragazza a cui siete interessato si chiamasse Lola Vasquez o Rosario Lucena, vi consiglio di rimettervi sulla poltrona dove eravate adesso e di non lasciarla senza una ragione seria. Fumeremo sigari bevendo sciroppi ghiacciati. E un mélange non molto noto nei ristoranti di Parigi, ma qui va da un capo all’altro dell’America spagnola. Mi direte ora se è di vostro pieno gusto il fumo dell’avana mischiato allo zucchero fresco.»

Un breve silenzio seguì. Tutti e due s’erano seduti di fronte ad un tavolino che aveva puros[2] e posacenere rotondi.

«E adesso, di che parleremo?» chiese don Mateo.

André fece un gesto che voleva dire: voi lo sapete bene.

«Allora comincio», disse Mateo con voce più bassa; e la finta allegria che aveva mostrato per un momento si spense sotto una nube ferma.


[1] Tenuta di campagna

[2] Sigari



Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :