Ecco un altro libro che non avrei mai comprato se non fossi rimasta senza nulla da leggere in vacanza, con solo un’edicola (e pure misera) a disposizione.
Siamo in Danimarca, giorni nostri. Una giovane (ovviamente bella e intelligente e promettente e moralmente ineccepibile) politica viene rapita e rinchiusa in una camera iperbarica per cinque anni, non si sa perché e non si sa da chi. Ogni anno una voce le chiede se conosce il motivo per cui viene tenuta prigioniera, ma lei non ne ha idea, così la puniscono (o spengono la luce, o la riaccendono o modificano la pressione). La minaccia viene verbalizzata quando si scopre chi è il colpevole: farla morire in un giorno preciso ripristinando la pressione naturale (dunque, facendo scoppiare il suo corpo).
L’investigatore che si è messo in testa di indagare sulla scomparsa di Merete Lynggaard, Carl Morck è pigro ma acuto, ed è aiutato da un (forse) siriano molto sveglio (ma misterioso). Il caso gli è stato affidato perché è stato appena aperto un dipartimento deputato alle ricerche su vecchi casi irrisolti.
Prima sciocchezza: l’investigatore prende in mano il caso giusto in tempo per salvare la tipa (e stiamo parlando di cinque anni di prigionia). Seconda sciocchezza: i cattivi in questione, sono troppo cattivi e ridanciani, e gente così vendicativa di solito non dispone fin dalla tenera età della tecnologia necessaria a mettere in pratica i propri sogni di distruzione (questi avevano la camera iperbarica in casa, si può dire). Terza sciocchezza: il fratello della vittima che è celebroleso per un incidente, inizia a parlare nell’ultima pagina.
Potrei continuare. Ma la cosa fastidiosa non è stata tanto la somma delle sciocchezze, quando la tendenza dell’autore a divagare. Per esempio, secondo me si potevano tagliare le parti dedicate al caso parallelo del ciclista, che non c’entra nulla con la donna in gabbia. Oppure, tutte quelle perdite di tempo dovute alla burocrazia, alla descrizione della sfilza di persone da contattare per arrivare a quella giusta, l’attacco hacker…
Insomma, iniziato per forza e finito perché mi dava fastidio lasciarlo a metà (e un po’ perché volevo sapere se la Merete si salvava e chi era che la teneva in gabbia, va bene…)