Qualche settimana fa in questo post ho accennato al fatto che avrei partecipato all’iniziativa lanciata dalla casa editrice Marsilio. Ho letto quasi subito l’ebook “La donna in gabbia” di Jussi-Adler Olsen ma, complice il caos da fine anno, riesco a trovare il tempo di scriverne solo adesso.
Dato che moltissimi blogger italiani hanno letto uno dei due libri proposti dall’editore e ne hanno scritto recensioni nei post, eviterò di raccontarvi in modo organizzato dei protagonisti, della trama, dell’autore. Vorrei invece condividere alcuni pensieri che mi sono venuti in mente mentre leggevo “La donna in gabbia”.
Il primo riguarda la caratteristica di alcuni romanzi, appartenenti alla letteratura d’evasione, di emergere rispetto alla moltitudine dei titoli sul mercato. Questo libro è ben scritto (o ben tradotto: le linee di confine sono poco delineate) e avvincente: ho iniziato le prime pagine e ne sono stata catturata per qualche ora. Come al solito sono andata in fondo quasi subito a vedere come finiva ma, in questo caso, mi è rimasta la curiosità di proseguire la lettura in modo canonico per seguire lo svolgersi degli eventi. Non sempre, con questo genere di romanzi, mi capita.
Il secondo pensiero è un tributo ai personaggi minori che, a volte, “impallano” quelli principali. Assad è molto più intrigante, secondo me, di tutti gli altri figuranti che popolano le pagine di questo romanzo: mentre leggevo mi domandavo “chissà adesso cosa combina”. Non è una spalla, è pericoloso: sta facendo le scarpe al protagonista.
Il terzo pensiero è ambivalente. La gabbia del titolo è un luogo molto particolare, che non vi racconto, per non rovinarvi la sorpresa. Sembra che, data la moltitudine di libri del genere letterario a cui questo appartiene, molti autori siano alla ricerca, sempre di più, dell’effetto speciale, di situazioni non ancora raccontate che rischiano, per questo, di essere poco credibili. Ci sono autori che invece si limitano a raccontare di fatti apparentemente comuni che ottengono comunque l’effetto di tenere il lettore incollato alle pagine: Simenon, Scerbanenco e alcuni altri, per esempio. Leggo entrambi con piacere, tendo a preferire la maestria del raccontare che parte da elementi semplici.
L’ambivalenza di questo pensiero nasce proprio dalla scarsa credibilità del tipo di gabbia scelta nel romanzo confrontata con fatti di cronaca al limite dell’aberrazione di cui però, purtroppo, ogni tanto si sente parlare. E’ vero che sono situazioni limite, è altrettanto vero che ogni tanto capitano e forniscono spunto per romanzi. E’ uscito per esempio qualche mese fa un libro che si intitola Room ed è ispirato ad un fatto di cronaca, avvenuto in Austria, di cui tutti siamo a conoscenza. C’è qualcosa che mi trattiene dalla lettura di trame che si innestano su vicende borderline: fascino e ripulsa contemporaneamente. Li leggiamo perchè siamo curiosi e vogliamo capire o perchè siamo morbosi?
Quarto ed ultimo pensiero: questa volta, per una volta, non è l’amore o il desiderio di possesso a spingere un uomo ad imprigionare una donna, ma l’odio e il desidero di vendetta. Sempre di donne in gabbia si tratta e sempre di uomini che hanno le chiavi ma la prospettiva qui è meno banale. Per riequilibrare le cose, ci vorrebbero più Misery, probabilmente.