La doppia morale della Chiesa italiana

Creato il 15 febbraio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno


La passione civile di Paolo Sylos Labini

Ho tra le mani questo libro/intervista che l’economista Paolo Sylos Labini (1920-2005) rilasciò al giornalista Roberto Petrini. L’intervista risale al 2001, ma il lettore, se non fa caso alla data, può credere che sia stata rilasciata sì e no qualche settimana fa. Nel capitolo finale, Il fenomeno Berlusconi, ci sono degli spunti davvero interessanti su cui riflettere. In particolare, mi ha colpito l’analisi che Sylos Labini faceva sui ruoli diversi che la Chiesa ha svolto nel corso del tempo. Una riflessione che ha ancora qualcosa da dirci: «Forse, i problemi più gravi, per lo sviluppo civile dell’Italia, la Chiesa li ha creati prima, col potere temporale, poi, dopo la seconda guerra mondiale, con la tendenza a far tradurre da governi amici in leggi quelle che rappresentano prescrizioni morali . scomuniche, minacce ultraterrene – non con leggi che appartengono al potere temporale. All’interno della Chiesa, lo sappiamo, le posizioni sono molto differenziate. Ma spesso quella che prevale è la posizione peggiore dal punto di vista civile. A suo tempo andava bene Mussolini, oggi va bene Berlusconi». In pratica, si domandava Sylos Labini, perché la Chiesa ha dimenticato la «lezione biblica» in cambio di un piatto di lenticchie? La Chiesa ha preferito avere «norme coercitive in luogo di prescrizioni morali, soldini alle scuole confessionali, da ottenere aggirando la Costituzione piuttosto che auspicandone la modifica»: «Tutto ciò è gravemente immorale e terribilmente diseducativo dal punto di vista civile. Una Chiesa che per mediocri vantaggi temporali si comporta in modo immorale non può pretendere di fare la guida etica dei fedeli e degli infedeli, può pretendere e ottenere solo devozione esteriore».

Ciò che Sylos Labini afferma a proposito della «tendenza a far tradurre da governi amici in leggi quelle che rappresentano prescrizioni morali» coincide perfettamente con quanto ho scritto in “Peccati privati o pubblici reati”. I “peccati” vengono tradotti in legge dello Stato. Chi le infrange commette reati. Ma quando l’opinione pubblica chiede a chi ha commesso quei reati di rispondere all’accusa, allora viene tacciata di “puritanesimo”, perché in realtà, secondo la difesa, non si tratta di reati ma di semplici peccati! Insomma, siamo al corto circuito della politica. Ma dalla riflessione di Sylos Labini emerge un aspetto che i tempi attuali stanno mettendo in evidenza: tutta questa discussione che si sta svolgendo sul senso del peccato, sta incrinando moralmente proprio il magistero della Chiesa. Cerco di chiarire bene il mio concetto perché la questione è un po’ ingarbugliata.
Ho letto che il 46% dei cattolici “assolve” Berlusconi dai suoi presunti peccati. La ragione di questo atteggiamento è molto semplice, come hanno detto da più parti: meglio un peccatore incallito che fa leggi a favore della morale della Chiesa, che uno stinco di santo che fa leggi contrarie all’etica cattolica. E qui ritorniamo al “piatto di lenticchie” di cui parlava Sylos Labini. Quando un magistero morale perde la sua autorevolezza, allora s’affida all’autorità civile. Lo dico in altri termini: quando non sa o non riesce più governare le coscienze, allora tenta di governare i comportamenti. Ma per farlo è disposto ad allearsi con chiunque. Non importa quali o quante qualità morali questa autorità civile possieda, l’importante è che con la forza della legge sappia difendere le proprie istanze morali. Machiavellicamente il fine giustifica i mezzi. Di conseguenza, se domani sarà necessario per far valere i propri principi morali (e i propri interessi) allearsi con il “diavolo”, la Chiesa insegna che è disposto a farlo. Ma se la Chiesa è disposto a fare questo, per quale ragione non dovrebbe esserlo anche il comune cittadino?

Prima del secondo conflitto, le gerarchie ecclesiastiche hanno sostenuto e favorito il fascismo in cambio di un piatto di lenticchie, in seguito lo hanno fatto con la Democrazia e oggi lo fanno con i governi di centro-destra. Perché le gerarchie cattoliche hanno bisogno che ci sia uno Stato che ratifichi i loro “precetti morali” (e loro interessi)? Per una semplice ragione: perché le stesse coscienze cattoliche non ascoltano più i “precetti morali” predicati dalla Chiesa. Facciamo un esempio concreto: la morale cattolica proibisce la fecondazione eterologa. Un “buon” cattolico che crede fermamente a quanto dice la Chiesa evita questa pratica. Che ci sia o non ci sia una legge a favore o contraria alla fecondazione eterologa, al “buon” cattolico la cosa non “interessa”: se egli scegli di non praticare questa strada non è perché c’è una legge che glielo proibisce, ma perché c’è la sua convinzione morale. Se la Chiesa fa tradurre in legge dallo Stato un suo rispettabilissimo principio da un lato dimostra di essere più forte dello Stato perché in grado di far diventare i suoi principi etici in etica dello Stato, da un altro lato dimostra la sua debolezza, perché sa che senza quelle leggi i principi morali predicati cadrebbero nel vuoto delle coscienze degli stessi che si dichiarano cattolici. In cambio della traduzione in legge però quella parte politica chiede il voto dei cattolici. E quei voti non servono soltanto per costituire maggioranze pronte a tradurre in legge i precetti della Chiesa, ma anche per fare altre politiche sociali, ad esempio, per votare leggi contro gli immigrati, contro le politiche sociali, leggi che non sono viste di buon occhio da una parte della Chiesa, ma che sono “tollerate” in virtù di una suprema ragion di stato (vaticano).
Anche quando diede il suo sostegno politico al fascismo, la Chiesa dovette sottostare allo scioglimento delle sue organizzazioni religiose (l’Azione cattolica), dovette sopportare le Leggi razziali del fascismo. Anche in questo caso si piegò alla ragion di stato valutando più i vantaggi che avrebbe tratto dall’abbraccio con il fascismo, che non gli svantaggi. Ma agendo in questo modo la Chiesa sta rivelando ogni giorno la sua doppia morale, e, se non nell’immediato storico, tra non molto tempo, quando sarà palese a tutta l’opinione pubblica, ne pagherà un prezzo altissimo. In altri termini, sta facendo palesare di avere una morale guidata dalla Ragion di stato (la difesa degli interessi), e una morale guidata dall’essere un “ente spirituale”. Sennonché, in quest’ultimi tempi la seconda appare sempre più offuscata, mentre l’altra emerge con sempre più forza. Diciamo così, per semplificare: la Chiesa è attraversata da una morale politica (al servizio dei suoi interessi) e da una morale spirituale, e spesso, in nome della prima è costretta a rimuovere la seconda. In pratica, sacrifica la seconda sull’altare della morale politica. La morale politica è, tradotta nelle parole di Sylos Labini, è il piatto di lenticchie: non solo i finanziamenti alle scuole confessionali, l’esenzione dell’iva delle proprie attività commerciali, ecc., ma soprattutto leggi in difesa del suo credo religioso. Ma dov’è il danno maggiore che la Chiesa sta compiendo con questa doppia morale? Risiede nel fatto che ha iniettato, in questo ultimo secolo, nelle coscienze civili degli italiani questa idea. Buona parte degli italiani che si dichiara cattolica comincia a pensare e ad agire con questa doppia morale: un conto sono i miei interessi particolari, un conto sono i miei principi morali. E pur di difendere questi interessi sono disposto a sostenere chiunque, anche quando quel chiunque contraddice i miei principi morali. Che male c’è? In fondo, se lo fa la Chiesa perché non posso farlo anch’io? E poi non è la stessa Chiesa a dirmi che siamo tutti peccatori? E allora che diritto ho io di giudicare il prossimo? Se questo prossimo mi torna utile che m’importa se sia un peccatore incallito? Machiavellicamente, il fine non giustifica i mezzi? E, allora? Quindi, se questa parte politica continua a garantirmi determinati interessi, per quale ragione devo pretendere la sua irreprensibilità? Ecco, ciò che la Chiesa sta facendo emergere: fragilità della sua autorevolezza morale. Se l’avesse conservata, direbbe: noi non siamo disposti ad allearci con chicchessia pur di fare i nostri interessi. Noi abbiamo la nostra autorità e non abbiamo bisogno di quella civile per sostenerla. O almeno, se c’è qualcuno disposto a farlo quantomeno la sua condotta dev’essere in linea con la nostra morale. Allora, anche al cittadino arriverebbe questo messaggio: no, non sono disposto a sostenere chiunque in cambio della difesa dei miei interessi. Chi difende i miei interessi voglia che sia una persona la cui condotta s’accordi con i miei principi morali! Ora, tutto dipende dal fatto se questi interessi sono interessi leciti o semileciti o illeciti. Nel primo caso, trovare una sintonia tra gli interessi leciti e la condotta morale di chi li difende diventa normale. Quando invece questi interessi non sono leciti, non importa sapere quali sono le qualità morali di chi li difenda. Anzi, meno qualità morali avrà è meglio è. Anche questo discorso ha una sua coerenza, ma non dovrebbe avere l’avallo della Chiesa. Invece, accade proprio questo: il cittadino si sente incoraggiato in questo senso proprio dal comportamento della Chiesa. Attenzione, l’argomentazione, che ho sviluppato qui laicamente, sarà prossimamente fatta propria da altre confessioni religiose concorrenti, che incalzeranno la Chiesa proprio su questo terreno. E se non con noi laici, la Chiesa, quando quelle confessioni la incalzeranno, dovrà farci i conti e arrivare a un atto di chiarimento cristallino.