Le aurore sono lo spettacolo più evidente dell’effetto del Sole sulla Terra, ma molti aspetti di questi fenomeni sono ancora poco conosciuti. Crediti: ESA.
Viste nelle immagini satellitari sembrano disegnare chiaramente i contorni della lettera greca theta. Ed è proprio con il nome di Theta Aurore che sono conosciute dagli scienziati. Sono le spettacolari aurore polari che illuminano il cielo a 65-70 gradi nord e a sud dell’equatore. Un bagliore verde o, più raramente, rosso. Ora, grazie ai dati raccolti dalla missione ESA Cluster e le immagini satellitari NASA, abbiamo finalmente una spiegazione di come si origini questo imponente spettacolo naturale.
Il vento di particelle cariche che soffia dal Sole verso la Terra, e gli altri pianeti del Sistema di cui facciamo parte, porta con sé parte del campo magnetico della nostra stella, tanto potente da attraversare la magnetosfera terrestre.
Quando due zone di gas elettricamente carichi (plasma) e campi magnetici di diverso orientamento si scontrano, le strutture dei campi possono alterarsi, spezzandosi e ricollegandosi in una nuova conformazione che ne modifica la topografia di partenza. L’azione fra i due campi magnetici può alimentare un’eruzione sulla superficie della stella o cambiare l’energia con cui il vento solare accarezza l’atmosfera terrestre, dando origine allo spettacolo dell’aurora polare che incanta la notte artica.
Guarda la formazione di una Theta Aurora nelle immagini rese disponibili dall’Agenzia Spaziale Europea.
Quando si verifica una collisione fra due regioni di plasma che hanno pari densità, temperatura e forza del campo magnetico – ma orientamento diverso – si ha una immediata riconnessione simmetrica. È tuttavia più frequentemente che questo tipo di collisioni abbia luogo fra regioni di plasma con caratteristiche molto diverse fra loro (vedi MediaINAF), cosa che succede regolarmente quando il vento solare incontra lo spazio intorno alla Terra.
Le Theta Aurore rientrano a pieno titolo fra le tipologie di fenomeni che possono prendere forma nel cielo artico (e antartico). Robert Fear, dell’Università di Southampton nel regno Unito e primo firmatario dell’articolo appena pubblicato su Science, ha lavorato sui dati raccolti dai quattro satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea nella missione Cluster, una costellazione di satelliti che studia la magnetosfera terrestre, che come uno scudo devia il vento solare. Cluster misura in modo tridimensionale le interazioni tra il campo magnetico terrestre e il vento solare, registrando variazioni e interazioni degli oggetti stellari vicini alla Terra inclusi i fenomeni come le aurore polari o le scariche elettriche.
Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga