La dura legge del quadrotto – le attuali vie di mezzo

Creato il 23 marzo 2012 da Unarosaverde

Procedo per piccole approssimazioni verso il sogno dell’addio all’open space ed eccomi qui, in una stanza arredata con mobili chiari, di una certa età ma coerenti tra loro, che ospita otto persone.

Ad una parete, che ho fatto dipingere di rosso pompeiano, sventolano signorine perizomate rotolantesi su spiagge caraibiche e concentrate in sguardi d’invito. Prima o poi riuscirò ad invitarle ad accomodarsi in un altro luogo.

Le sedie sono occupate da persone di età superiore ai trentacinque ma di spirito adolescenziale: siamo tutti consapevoli che trascorrere la giornata gli uni accanto agli altri, per obbligo e non per scelta, può diventare complicato e quasi tutti facciamo del nostro meglio per rendere l’atmosfera amichevole. Capita, a volte, al venerdì pomeriggio, un intermezzo a pane e salame – e bottiglia di rosso, chiudendo mille occhi sul lecito e l’illecito – una coppetta di gelato che ci si procura facilmente con pochi minuti di guida. Capitano, molto più spesso, dialoghi divertenti e leggeri. E’ quotidiano il gioco di aprire e chiudere le finestre, girare nei due sensi la rotellina del termostato, lamentarsi del rumore intorno ma non si sconfina mai in toni indignati.

La scrivania, per quel che ospita di mio, potrei non averla neppure: non ho mai lasciato  in ufficio oggetti personali, tracce del mio passaggio. Il piano di lavoro è sgombro, ad eccezione del portatile, del cellulare e di un portapenne; i cassetti contengono solo documenti già gestiti che è troppo presto per trasbordare nel cestino della carta; una cartellina trasparente accoglie la lista delle cose da fare.

Mi sono rassegnata all’utilizzo del piazzale di carico dei camion per le telefonate, fatte o ricevute, che richiedono discrezione e assenza di orecchie: il resto lo si discute nella piazzetta dell’ufficio, così si evitano i fraintendimenti delle notizie che rotolano di bocca in bocca assumendo, nel passaggio, dimensione onirica.

Insisto nel considerare gli open space del tutto inadatti al mio modo di lavorare anche se, ormai, sono abituata a lavorare tra i telefoni che squillano, le persone che interrompono, le grane che rotolano addosso non attese, gli umori altrui, le lune mie. Sono sempre più convinta che la mia stanza sia il posto giusto per me: potrei candidarmi per esperimenti di telelavoro sul comando a distanza.

Buon venerdì a chi condivide uffici macroscopici, a chi è rintanato nel suo bugigattolo, a chi, come nei film, si fumerà una sigaretta con i piedi sulla scrivania o giocherà a minigolf sull’esteso pavimento del proprio enorme ufficio privato, a chi rimarrà in tuta e lavorerà dallo studio di casa. Adesso esco ad affrontare il mio.