Contrariamente ai post precedenti, i cui protagonisti sono inventati (anche se ispirati dalla quotidiana realtà del treno pendolare), quelli di cui vi sto per raccontare li ho incontrati davvero. Eh, sì… spesso la realtà supera la fantasia.
Viaggio di ritorno in un pomeriggio autunnale ancora tiepido: sono alla stazione, lungo il binario uno, aspettando il treno per tornare a casa. Mi godo gli ultimi raggi del sole ormai basso sull’orizzonte. Intorno a me il solito brulicare di viaggiatori: chi parte, chi arriva, chi aspetta qualcuno che sta per arrivare, chi saluta qualcun altro che sta per partire, chi, semplicemente, guarda passare i treni, come il nonno in bicicletta con il nipotino.
Non mi accorgo della loro presenza fin quasi all’arrivo del treno.
“Salutate la nonna, forza, bambini!”
“Ciao nonna!”
Il gruppetto è costituito da una mamma, una nonna e due bambini intorno ai sette-otto anni, stanno aspettando lo stesso treno che prenderò io. Eccolo che arriva. Si dirigono verso la stessa porta che ho scelto io.
“Aspettate, bambini, rispettate le regole: prima si lasciano scendere i viaggiatori in arrivo, poi, quando è il nostro turno, con calma, saliamo, capito?”
Salgono appena prima di me e si dirigono verso sinistra. Io invece, per abitudine, scelgo la parte opposta del vagone, che, come al solito, è quasi vuota. Il tempo di sistemarmi nel seggiolino ed eccoli di nuovo:
“Venite di qua, che è più libero, si sta meglio.”
Si vanno a sedere nei posti a fianco al mio, dall’altra parte del corridoio. Poco male, penso, mi sembra una famigliola simpatica e, tutto sommato, tranquilla, nonostante l’aspetto vivace dei due piccoli. Non devono prendere spesso il treno, immagino, si guardano intorno pieni di curiosità e interesse, facendo un sacco di domande. La mamma, giovane e dinamica, è sempre pronta a rispondere con calma.
Riprendo la lettura del mio libro.
Dopo un po’, con la coda dell’occhio vedo i tre concentrati su un telefonino: stanno guardando delle foto, i bambini sembrano molto presi, devono essere molto interessanti.
“Mamma, cos’è questo?” chiede il più piccolo.
“Non lo riconosci? È un fegato!”, risponde la mamma.
“Io lo avevo riconosciuto, lo vedi? È sezionato!”, precisa il fratello maggiore, con un piglio saputello.
L’argomento insolito della conversazione dei tre mi distrae dalla lettura.
“E questo? Lo riconoscete?”, interroga la mamma.
“Sìììì!” rispondono i due, in coro. Tocca al piccolo, questa volta, dimostrare le proprie competenze: “È un cervello!”
Si avvicina per vedere meglio.
“Ma è umano?”
“No,” li tranquillizza la mamma, “è di una cavia!”
Continuano a far scorrere le foto sullo schermo del cellulare.
“Guarda, due gemelli siamesi! Come sono strani!”
Il piccolo, che non vuole essere da meno:
“Una volta ho visto un agnellino con due teste…”
Alla mia sorpresa iniziale si aggiunge un certo disgusto e anche una leggera inquietudine… La conversazione è troppo insolita per non continuare a seguirla. Dopo la parentesi sui gemelli siamesi, si apre una discussione sulle tecniche di imbalsamatura e su come conservare cose raccapriccianti sotto spirito. Il tutto, con una naturalezza tale che a malapena mi accorgo che, soltanto quando siamo quasi all’arrivo del treno, gli argomenti tornano a essere più “consueti”.
“Basta con le foto, bambini! Piuttosto, li avete fatti i compiti?”.
Ed è solo qui che, effettivamente, vedo i piccoli spaventarsi.
“Sì, mamma, ma le moltiplicazioni sono difficili!”
“…E la nonna non le spiega bene, sembrano sempre facili, a lei, ma sono difficili!”
“Va bene, dai, riguardiamole insieme!”
Solo nell’ultima parte del viaggio riesco di nuovo a concentrarmi nella mia lettura, con il sottofondo cantilenante delle due vocine incerte che ripetono la tabellina del sette.
La foto non è pendolare: ritrae un piccolo Alien che ho incontrato a Lucca Comics.