La famiglia co-terapeuta

Da Massimo Silvano Galli @msgdixit
Una delle caratteristiche fondanti del metodo LogoPaideia, che in questo nostro blog e da differenti punti di osservazione, stiamo cercando di restituire ai nostri lettori, è la presenza, nel team terapeutico, della famiglia, quale attore protagonista che partecipa attivamente all'osservazione e alla cura del soggetto in terapia e collabora col terapeuta affinché sia possibile un inquadramento clinico approfondito e la predisposizione di un percorso mirato ed individualizzato, a partire da quelle conoscenze uniche e irriducibili che solo può possedere chi vive ogni giorno il sintomo, il disagio, il disturbo, la disabilità: un punto di vista sempre sottratto al terapeuta, e per questo tanto importante.
La famiglia, dunque, nel metodo LogoPaideia non è quella “cosa” bistrattata da tante discipline che ne presumono la cura o, comunque, vissuta dal terapeuta come disturbante e impedente la reale efficacia della terapia (creandosi, più spesso di quanto non sappia o creda, un alibi che gli impedisce di riflettere sulla reale efficacia del suo intervento), ma un attore protagonista chiamato direttamente a contribuire all'efficacia del percorso stesso.
Nel modello LogoPaideia, la famiglia è, dunque, da considerarsi (laddove non sussistano impedimenti al riguardo) alla stregua di un vero e proprio co-terapeuta, che non solo è costantemente informato sull'evoluzione del percorso di cura nei suoi dettagli, ma vi partecipa con vere e proprie attività, esercizi e home-work che vanno nella direzione di un coinvolgimento sistemico del soggetto e di un intervento che, non limitandosi allo studio del professionista, centuplica la sua efficacia.
La presenza della famiglia nel team terapeutico consente cosi una continua restituzione sull'efficacia della terapia stessa che sempre dovrebbe essere misurata non tanto e non solo nel limitato spazio cosiddetto "clinico", ma soprattutto fuori da quel contesto, dove la vita produce le sue opportunità e i suoi ostacoli e la terapia deve davvero mostrare i suoi benefici.
Si tratta, dunque, di un metodo che si oppone a tutti quegli interventi che tengono la famiglia fuori dallo studio del terapeuta. La famiglia, nel metodo LogoPaideia, partecipa, anzi, direttamente all'intervento in studio o, addirittura (soprattutto per quel che concerne i percorsi legati all'area delle relazioni), è protagonista della costruzione di terapie indirette che essa stessa metterà in atto con il soggetto in difficoltà.
Alcune famiglie diventano nel tempo talmente partecipi e affini a questa metodologia, da essere addirittura loro a proporre mirati ed efficaci interventi, maturati a partire dalle consapevolezze che possono esperire stando giorno dopo giorno a contatto con il soggetto della cura.
Il malessere presentato, qualsiasi esso sia, viene dunque letto nel metodo LogoPaideia come oggetto di una cura di cui si devono fare carico tutti i sistemi relazionali di appartenenza e la famiglia in primo luogo (discorso analogo è riservato alla scuola, al lavoro, alle relazioni amicali -ma, chiaramente, con modalità, tempi e pervasività diversi), e l’efficacia della cura, al di là di ogni specifico intervento, quale occasione per modificare positivamente e costruttivamente le relazioni significative che il soggetto in disagio intrattiene.
Famiglia e terapeuta collaborano cosi alla costruzione di un importante equilibrio che permette all'intervento riabilitativo di funzionare al meglio e di far sì che le energie spese, dal soggetto come dal sistema cui è legato, rendano il massimo.
Affinché tale approccio si renda possibile, non basta tuttavia coinvolgere l’intero sistema affettivo-educativo che abbraccia il soggetto che più direttamente si fa carico di manifestare il sintomo del disagio, ma, anzitutto e soprattutto, pensarlo nell'ottica di una vera risorsa, portatrice di un punto di vista, di una “verità” e di  un sapere né più né meno importante di quelli del terapeuta. 
Massimo Silvano Galli

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