la famiglia e la cultura del provvisorio- autore Sara

Da Michele Orefice @morefice73

E’ venuta l’altro giorno una mia amica a trovarmi. E’ straniera anche lei, sposata con un tedesco. Tre figli, una casa carina, diciassette anni di matrimonio e ora il marito ha deciso di uscire di casa perchè “crede di non amare più sua moglie”. Lei è letteralmente distrutta. E’ appena uscita da tre settimane passate in ospedale con psicologi a piangere. Lei è venuta in Germania, è rimasta a casa per seguire casa e figli, non ha utilizzato il suo titolo di studio. E lui, dopo aver conosciuta un’altra donna e aver capito che poteva provare qualcosa per un’altra, ha messo tutto in discussione. Lui 44 anni. Età pericolosissima per gli uomini che iniziano a sentire che stanno lentamente invecchiando e che cercano di fermare il tempo, reinventando una giovinezza già passata e vissuta. Lei che ha dimenticato forse di essere anche una moglie e si è lasciata assorbire letteralmente dal suo ruolo di madre e domestica. Lei piange e supplica il marito di tornare. E più lei è triste più a lui passa, se mai l’avesse, l’idea di rientrare in casa. Si sa che l’uomo odia sentirsi dire cosa deve fare e sentirsi quasi obbligato a farlo. e così precipitano in un burrone che ha sempre la stessa triste fine. E così l’ennesima famiglia che senza alcun, forse, serio motivo (lui violento e ubriaco, lei psicolabile o tossicodipendente) si separa. Per i motivi più futuli, per un capriccio, per non aver avuto la voglia, il tempo di affrontare insieme una difficoltà di coppia, per la curiosità di vivere più vite contemporaneamente, per noia, per divertimento e chi più ne ha più ne metta, le coppie scoppiano. Siamo liberi, sposati o solo accompagnati, siamo liberi di decidere quando dichiarare che l’amore è finito o che l’esperienza si è prolungata a sufficienza. Siamo liberi di distruggere tutto quello che avevamo costruito per intraprendere (il più delle volte) un nuovo progetto che si rivelerà quasi identico al precedente. Mi chiedo perchè? vi chiedo perchè? perchè ci procuriamo tanto dolore? perchè è innegabile che le separazioni creano sempre dolore sia per i diretti interessati sia per i figli e i parenti e gli amici. Perchè non ci viene più insegnato che l’amore implica sacrificio e responsabilità? Costanza e dedizione. Donarsi a chi ha deciso di mettere la sua vita nelle nostre mani. La cultura del provvisorio ormai dilaga e travolge tutto, anche i vincoli (come quello della mia amica) che io ritenevo inossidabili. (Ma ora che ci penso mi lasciava alquanto perplessa la loro usanza di fare vacanze separate. Nulla di losco. Lui odia i paesi caldi e lei odia quelli freddi. Incapaci forse di capire che l’importante non è dove trascorri la vacanza ma il fatto di trascorrerla insieme.) La mia risposta a tutte queste domande è semplice. Perchè oggi costruiamo sempre e solo sulla sabbia. Costruiamo sempre e solo sui sentimenti, che oscillano ogni giorno come i titoli in borsa e come i titoli in borsa a volte all’improvviso scompaiono. Stiamo con uno solo finchè questo ha qualcosa da trasmetterci, da darci, quando ci fa sentire bene. Nel momento difficile, quando subentra un po’ di noia, o si ammala, o non suscita in noi più forti emozioni ( come se l’amore dovesse essere sempre come buttarsi giù da un ponte appesi ad elastici), ecco in quel momento lo abbandoniamo. Costruire sulla roccia significa costruire su ciò che è eterno, invincibile: su Dio. Dove c’è Dio non c’è separazione e la coppia collabora a migliorarsi reciprocamente nell’ascesa virtuosa verso il cielo. Dio non separa mai, è il diavolo che lo fa.


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