Quando poi, finalmente, i medici danno ad Anna il permesso di lasciare l’ospedale e di tornare a casa dalla propria famiglia Anna si ritrova, non è esagerato dirlo, ossessionata dal nuovo arrivato. Jack infatti passa tutto il giorno a fissarla, dalla sua postazione privilegiata, l’ovetto porta bebè perlopiù, con uno sguardo strano; uno sguardo quasi incredibile quanto a vividezza e vitalità per un bambino tanto piccolo. Anche l’allattamento crea una sorta di moto di ripulsa in Anna che si trova, un giorno, a pensare di aver attaccato al seno non il proprio bambino appena nato ma bensì una creatura repellente. Intanto Sasha, il primogenito, comincia ad avere problemi: di notte, di punto in bianco, si sveglia e urla disperato per alcuni minuti finendo sempre per affermare che un misterioso “Uomo nero” vuole portarlo via e uscendosene con strane affermazioni, che sembrano incentrate sul fratellino, affermazioni che Sasha dice essere pronunciate da Tina, la sua amichetta immaginaria, la quale è, nella realtà la nipotina dei due anziani coniugi che vivono nella casa di fronte alla famiglia dei Parker, bambina morta tragicamente all’età che ha Sasha in quel momento, ovvero cinque anni. Passa un po’ di tempo e poi tocca a Sasha comportarsi in una maniera a dir poco sinistra. Nello stesso tempo Sasha fa entrare in scena quello che appare, agli occhi dei suoi genitori, come un secondo amico immaginario: Phoney. Sasha dice però alla madre che Phoney non è come Tina in quanto Sasha Tina la vede mentre Phoney lo avverte solo parlargli nella testa. Quando ormai il comportamento di Sasha è giunto ad un punto che sembra portare Anna sull’orlo del crollo nervoso, Anna, affidati i figli alla signora che abita di fronte, la nonna di Tina, se ne va in biblioteca a fare delle ricerche. Da queste ricerche, incentrate tutte sul nuovo, inquietante, amico immaginario del primogenito, Anna scopre che il misterioso Phoney altri non è che un demone della mitologia slava che, a quanto si dice, inizia il proprio ciclo vitale impiantandosi in un neonato per poi passare di volta in volta in esseri sempre più grandi per poi ricominciare il ciclo daccapo alla morte dell’ultimo ospite. Cosa ne sarà della famiglia Parker? A voi scoprirlo lasciandovi avvincere da questo racconto, sempre teso e che tiene incollato il lettore alle proprie pagine. L’autrice dosa sapientemente il livello di suspense in modo da avvincere il lettore per tutto il racconto il quale non ha un momento, neppur minimo, di cedimento. Il racconto “Baby blue” di Flavia Giordano si legge d’un fiato e, come i film horror che si rispettino, riserva a chi avrà la fortuna d’immergersi nelle sue pagine, un colpo di scena finale degno del migliore fra i registi di film dell’orrore. Questo sarà però uno di quei particolari che dovrete scoprire leggendovi, anzi gustandovi, “Baby blue” di Flavia Giordano, un romanzo breve o un racconto lungo come più vi aggrada che vi darà, ne sono certo, gli stessi brividi lungo la schiena che ha dato a me; brividi come pochi altri romanzi e racconti thriller e horror mi hanno procurato.
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