acrilico su tela 50x70
Sono un animale sedentario, lo so. Viaggio poco e malvolentieri. Mi danno fastidio le grandi città, i rumori del traffico e della folla, io abituato a vivere nel vento, all'ombra di ulivi secolari o a ridosso del mare infinito.
Abitavo a Piazzale delle Province, abbastanza vicino alla sede universitaria e avevo scelto una camera in affitto da dividere con un amico. La locatrice era un'insegnante di pianoforte di mezza età che, rimasta vedova prematuramente, viveva impartendo lezioni di musica e subaffittando le stanze agli studenti. Con lei viveva la figliola, una ragazza molto giovane e graziosa, che si affacciava alla vita con il candore misto a malizia della sua giovane età. Aveva imparato da giovanissima a strimpellare qualcosa al pianoforte e, quando sua madre non c'era, cercava d'interpretare Chopin, sopperendo a qualche nota sbagliata, con un sorriso di scusa che le coloriva il volto di un improvviso rossore. Naturalmente me ne innamorai e la mia vita si arricchì del magico candore dei primi amorini, quelli che lasciano un gradevole ricordo per tutta la vita.La farfalla ha ripreso il suo volo. Sembra voglia invitarmi a seguire le ardite volute del suo volteggiare, sparisce tra i rami di un maestoso eucalipto, poi lentamente ritorna, si ferma sul ramo fiorito di un florido gelsomino.Quando tornai a Roma, molti anni dopo, volli cercare, pur potendomi ormai permettere un buon albergo, una stanza che si affacciasse di fronte alla finestra della mia vecchia abitazione, sperando in un fortuito incontro col mio antico amore. E la vidi finalmente, ormai donna fatta, forse madre, certamente diversa, tranne che per quegli occhi ancora belli ma velati da chissà quale sofferenza che le aveva alterato incredibilmente il sembiante. Quando la salutai, incontrandola proprio dappresso, mi restituì un sorriso vacuo e distratto, tanto che ancora mi chiedo se davvero mi avesse riconosciuto. Camminava come fosse in trance e la mia esperienza professionale mi fece pensare che facesse uso di litio, farmaco che i medici prescrivono per vincere la depressione, ma che non è certamente esente da effetti secondari.La seguii con lo sguardo fino a vederla scomparire lontano, chiedendomi, amareggiato, che cose le fosse mai successo.La farfalla è ancora ferma sul rametto fiorito e le sue ali sembrano pulsare allargandosi appena per riprendere il volo e librarsi ancora nell'aria primaverile. Poi vola in picchiata, veloce verso terra e il mio ricordo diventa vivido e tristemente angosciante.Guardando la sua finestra dove speravo si sarebbe affacciata, rivivevo, felice, i miei momenti più lieti e finalmente la vidi apparire, ancora più pallida, con l'aria ancora svagata, mestamente armoniosa, oserei dire sublime. Cercai di salutarla facendole un cenno con la mano, ma lei non mi vide neppure. Sollevate le braccia come fosse farfalla, spiccò un salto nel vuoto, volò in alto nel cielo, poi cadde sulla strada, sfracellandosi al suolo. Un tonfo sordo, le urla della gente, l'ululato dell'ambulanza, il nero mantello della morte.Una sensazione eterea di fragile dolcezza. Le ali variegate della farfalla del mio giardino, sembrano ritmare un vecchio motivo di Chopin, una musica cadenzata e divina sembra accompagnare il suo sinuoso volteggiare mentre si allontana da me, sempre più in alto, sempre più lontano, così lontano che sembra voglia fondersi col Sole.
Un racconto di Dino Licci