La farina di grano arso: da cibo della povera gente, a ingrediente da gran gourmet

Da Lisbeth @minpeppex
Quando ho aperto il pacco di farina di grano arso e ho annusato quell'odore di "bruciaticcio", ho arricciato il naso pensando che, dopotutto, se si chiamava arso, non poteva odorare di lavanda. Insomma, l'odore di qualcosa che avesse passato la cottura era da aspettarselo, no? e poi, anche quel colore marroncino, così lontano dal candore delle farina bianche raffinate, ma anche dall'ecrù più grezzo delle farine integrali, lasciava intendere che si trattava di qualcosa decisamente fuori dal comune. Qualcosa che probabilmente non mi sarei mai sognata di assaggiare, se non ne avessi sentito parlare in giro con tanto entusiasmo. E se non fossi stata così incontrollabilmente curiosa.

Tuttavia confesso che, quando continuavo a sentire questo odore di "bruciaticcio" anche nell'impasto, stemperato sì dal profumo molto familiare della lievitazione, ma comunque sempre dominante, il pensiero si è fatto più greve, del tipo "minkia! chissà che ciofeca mi toccherà mangiarmi stasera!!!"
Ma parliamo un po' di questo grano arso. Cosa s'intende esattamente per grano arso? Bé, esattamente quello che significa: un grano che è stato sottoposto a una qualche forma di cottura o, meglio, di tostatura.
Anticamente, era il grano che i contadini più poveri e affamati recuperavano dopo la bruciatura delle stoppie della mietitura. Un prodotto di scarto, che di più non avrebbe potuto esserlo. Eppure, tanta era la fame, che loro si ingegnavano pazientemente a raccogliere tutti i chicchi che trovavano per macinarli, e ricavarne la farina con cui facevano il loro pane.
Oggi, il grano arso viene prodotto ad arte ed è considerato un ingrediente molto selezionato e non facile da trovare. La sua origine è pugliese, il suo costo è astronomico. Ma dove c'è gusto non c'è perdenza, ed io sono rimasta ammaliata dal suo sapore, che non sa affatto di bruciato, ma che anzi, ha un gusto che richiama molto quello delle nocciole tostate.

La mia prima volta è stata per farci la pizza, una pizza in teglia a lievitazione naturale, ad alta idratazione col metodo Bonci. Una pizza riccamente condita con un sugo di cozze e gamberetti, ovviamente mozzarella fresca e prezzemolo tritato, ed è stata un'esperienza travolgente. Tuttavia, l'impiego futuro di questa farina sarà per il pane, rustico e cotto sulla pietra, oppure la focaccia olio e sale, tutt'al più rosmarino... cipolle a voler proprio esagerare. Perché il gusto di questa farina è tutta lì, al suo interno. Non ha bisogno d'altro per caratterizzarsi. Semmai è lei che riesce a dare maggior carattere ai cibi che accompagna.
Intanto, per dovere di cronaca, racconto come ho fatto questa pizza.

Poolish

  • 100 g di farina Pulcinella Spadoni
  • 100 g di acqua
  • 10-15 g LNL
Impasto
  • 170 g di farina Pulcinella Spadoni
  • 10-15 g di farina maltata (1 cucchiaio colmo)
  • 90-95 g di farina di grano arso
  • 205 g di acqua
  • 10 g di olio evo
  • 8 g di miele
  • tutto il poolish
  • 12 g di sale

Rinfrescare preventivamente il LNL, in modo da utilizzarlo al picco della fermentazione. Preparare il poolish e lasciarlo lievitare fino al raddoppio.
Introdurre le farine nella ciotola del'impastatrice e dare una mescolatina con la frusta a foglia. Quindi fare un buco al centro e versare l'acqua, l'olio e il miele e avviare di nuovo la frusta per far amalgamare gli ingredienti. Quindi versare il poolish e mescolare ancora, e quando gli ingredienti sono tutti ben amalgamati, sostituire la frusta a foglia con il gancio e far impastare. Aggiungere il sale quando si vede che comincia a prendere corda, e quando l'impasto diventa bello lucido, elastico ed incordato, fermare l'impastatrice e far riposare per 10 minuti. Quindi ridare qualche giro a bassa velocità e fermare ancora per altri 10 minuti. Continuare così per 3-4 volte, e infine versare l'impasto in un contenitore bello capiente, chiudere ermeticamente, avvolgere in un canovaccio e porre a lievitare in un luogo riparato. Più o meno ci vorranno 12 ore o qualcosa in più, dipende come sempre dai fattori ambientali. Non impressionarsi dal colore marroncino dell'impasto, dato il colore della farina di grano arso, non potrebbe essere diversamente.
Scaravoltare l'impasto su un piano ben infarinato e senza strapazzarlo troppo, formare il classico paniello da mettere nuovamente a lievitare in un recipiente ben infarinato e, quando avrà raddoppiato il volume, stenderlo delicatamente nella teglia da pizza e porre nuovamente a lievitare nel forno spento con la lucina accesa.

Trascorse un paio d'ore circa, o comunque quando si vedrà l'impasto bello gonfio, accendere il forno e portarlo alla temperatura massima, 250° nel caso mio, quindi infornare scondita e far cuocere una decina di minuti. Tirarla fuori dal forno e condirla col sugo di cozze e gamberi preparato in precedenza secondo le proprie abitudini, la mozzarella e una spolverata di prezzemolo tritato. Ri-infornare per un'altra decina di minuti, o comunque finché la mozzarella non sarà tutta sciolta.

La pizza risulterà bella alta e soffice, con la base che è stata a contatto con la teglia croccante croccante, e il gusto... bé, è tutto da provare!
P.S.: per la cronaca, io la farina di grano arso l'ho comprata online, qui ;-)