La faticosa scommessa della Cgil

Da Brunougolini
Scritto nel novembre del 2009 per l'Annuario del "Diario del lavoro"
E’ la partita finale, la scommessa assai ambiziosa della Cgil, a conclusione del 2009. Ovverosia uscire dall’accerchiamento, rilanciare una strategia offensiva e propositiva, ricostruire l’unità interna dopo le lacerazioni che hanno accompagnato l’iter congressuale. E dar vita ad un rinnovato gruppo dirigente, fino a tentare un rilancio del processo unitario con Cisl e Uil. Sono i possibili capisaldi di un confronto intrecciato alle iniziative e agli interventi sulla crisi economica e sociale.
Esistono due modi per interpretare le vicissitudini spesso drammatiche del principale sindacato italiano, in una fase di massima tensione. La prima lettura narra di una Cgil che, sotto la spinta dei cosiddetti “massimalisti”, si auto-isola, incapace di seguire una corretta opzione riformista. Una versione che spesso evita di esaminare i contenuti delle contrapposizioni, le motivazioni avanzate di volta in volta. Una seconda lettura racconta di una Cgil che faticosamente cerca, in ogni occasione, di mantenere il filo di un rapporto unitario, di intravvedere spazi per ricominciare e raggiungere un accordo. Insomma non persegue il divorzio dagli altri sindacati, anche quando abbandona i tavoli di una trattativa. Ma che non intende nemmeno rompere con quel mondo del lavoro che rappresenta in notevole misura. E’ convinta che nasca lì la propria legittimazione e non solo dagli attestati di benemerenza emanati da mass media e istituzioni. Anche per questo insiste tanto sulla necessità di regole precise sulla rappresentanza e sulla democrazia facendo di iscritti e lavoratori non dei semplici spettatori.
La questione dominante in tutto lo scorrere dell’anno riguarda il modello contrattuale, siglato il 22 gennaio, tra Cisl, Uil e Ugl e la Confindustria, la Confcommercio e molte altre organizzazioni imprenditoriali, nonché fortemente voluto dal governo di centrodestra. Un’intesa separata preceduta da lunghissime trattative. Le cronache registrano già nel febbraio del 2008, una prima bozza unitaria che solleva prime critiche all’interno della Cgil. Sono introdotte alcune modifiche e alla fine, dopo l’approvazione del Comitato direttivo confederale, la piattaforma è sottoposta al voto dei lavoratori e riceve l’approvazione anche in settori critici come i metalmeccanici (malgrado l’opinione diversa della Fiom).
Un voto oggi dimenticato e che appare un punto fermo all’insegna della coesione. Ma non è così. Lo sbocco (quello del 22 gennaio 2009, senza la Cgil) non è giudicato coerente con quella piattaforma. Susanna Camusso, segretaria confederale, elenca cinque aspetti: 1. Da un sistema di regole che doveva migliorare l’accordo del 1993 si passa a un regime centralizzato (fondamentale per la Confindustria desiderosa di un diritto di giudizio a priori sulla contrattazione decentrata, limitando di molto l’autonomia delle categorie), un elemento non presente nelle richieste presentate e incompatibile con la cultura della Cgil, ma, in teoria, anche con quella della Cisl; 2. Un’insieme di sanzioni (incentivi e punizioni); 3: Una soluzione Ipca, “depurata”, sul salario (la piattaforma diceva Ipca più un ragionamento su mutui e affitti); 4. La mancata estensione alla contrattazione di secondo livello (sola riproposizione dell’intesa 1993). 5. Le deroghe e quindi una lesione del ruolo del contratto nazionale. E’ venuta meno, inoltre, ogni risposta ai problemi di democrazia e rappresentanza, alla necessaria estensione delle Rsu. Mentre è aperto un largo spazio al tema degli enti bilaterali.
Sono le ragioni che determinano il rifiuto della Cgil ma che nella polemica, quasi mai vengono prese in considerazione. Il sindacato di Guglielmo Epifani rischia l’isolamento mentre scarsi sono gli appoggi politici. Non mancano, però, autorevoli pronunciamenti, come quello dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che afferma in una intervista come un’intesa sulle regole vada firmata da tutti e che lui, nel 1993 (era tra i protagonisti di quella trattativa) non avrebbe mai escluso la Cgil.
La domanda di tutti gli osservatori riguarda però ora, talvolta con apprensione, il futuro delle relazioni del lavoro, alla vigilia di una serie di importanti scadenze contrattuali. Una notizia improntata all’ottimismo sembra promanare dal contratto degli alimentaristi siglato unitariamente dai tre sindacati di categoria. C’è chi grida al dietrofront della Cgil, mentre la Cgil si precipita a spiegare che in quella intesa non sono state dispiegate nel loro insieme tutte le regole del nuovo modello contrattuale. E per rendere più forte una tale interpretazione cita le parole di Alberto Bombassei. Il vicepresidente della Confindustria (vedi “Il Sole 24 ore” del 24 settembre 2009) dichiara: “Mi auguro che da ora in poi ci sia un rigoroso rispetto delle regole che ci siamo dati”. Un augurio che risulta come ammissione di non rispetto, con gli alimentaristi, del nuovo modello. E che si ripercuote sul tavolo delle trattative per i metalmeccanici.
Qui la Fiom tenta in qualche modo di evitare la strada del rispetto rigoroso delle regole contenute nell’accordo separato proponendo una specie di intesa ponte, limitata al salario e biennale. Voci bene informate sostengono che anche tra gli industriali del settore, specie nelle aziende più grandi (vedi Fiat, vedi Ilva) ci siano posizioni titubanti sull’ipotesi di accordo separato. Oppure che espongono la necessità, se si deve fare la guerra alla Fiom, di farla conquistando risultati consistenti su temi come l’orario, considerato come unico vero passaggio necessario per l’aumento della produttività. Mentre l’accordo finale, separato, appare, a questi imprenditori, non una contropartita valida al rischio “di avere la guerra in casa”, data l’opposizione della Fiom.
Fatto sta che rimangono incerte le possibili conclusioni della complessiva partita contrattuale. L’ipotesi della Cgil è quella di trovare spazi di correzione al modello, seguendo l’esempio del contratto degli alimentaristi, seguito poi da quello delle telecomunicazioni. Sono scenari del futuro che cadono dentro uno scontro congressuale inedito. Sono in campo per la prima volta mozioni diverse. Il documento per le tesi congressuali preparato dalla stessa Susanna Camusso e da Fabrizio Solari vede la contrapposizione di un altro documento. E’ il via ad una nuova composita coalizione composta, tra gli altri, da Gianni Rinaldini e Giorgio Cremaschi per la Fiom, Domenico Moccia per la Fisac (bancari, Carlo Podda (Funzione Pubblica), Nicoletta Rocchi (segretaria confederale). Sono dirigenti collocati in questi anni in schemi politico-sindacali assai diversi ma che ora si ritrovano in sostanza a sottoscrivere una pesante posizione critica nei confronti dell’intero gruppo dirigente. Accusano la Confederazione di non aver saputo proporre “la propria coerenza, il proprio impianto culturale e strategico”, con linee di condotta oscillanti. Chiedono in sostanza una “radicale discontinuità”. Gli obiettivi parlano di disuguaglianza, precarizzazione, nuovo sistema contrattuale, una compiuta democrazia sindacale.
C’è da dire che una tale presa di posizione non è condivisa dall’intera segreteria confederale (salvo la Nicoletta Rocchi). E’ chiaro che la contrapposizione passerà all’interno delle diverse categorie e delle strutture orizzontali (camere del lavoro, Regionali). E può indurre a far quadrato attorno al segretario generale Epifani non solo il corpo centrale della Cgil, ma anche (chiamiamola così) l’ala destra più riformista. Come Agostino Megale o Alberto Morselli e Valeria Fedeli della nuova Filctem (concentrazione tessile-chimico-energia e altri). Nonché esponenti della segreteria considerati a sinistra.
Ad esempio Morena Piccinini, considera un errore l’aver promosso una contrapposizione globale. Mozioni diverse, ricorda, erano state presentate anche nel passato, ma erano trasversali, non per categorie. Ora si è di fronte ad un’alternativa totale, a un’altra idea di fondo del modello di sindacato. Le categorie contro la Confederazione. Mentre si potevano circoscrivere alcuni elementi specifici, all'interno di un testo comune, su cui dare battaglia. La Piccinini non era certo contraria ad una riflessione anche autocritica su che cosa deve cambiare per adeguare la Cgil a una fase straordinaria come l’attuale, ma così, sottolinea, “si rischia di far prevalere un’idea di conta” che non porterà a nessun chiarimento strategico. E lei che non ha certo le stimmate della moderata sempre accondiscendente, rischia di passare per una che semplicemente scende in campo a difesa del segretario Epifani.
Certo dopo il Congresso sarà comunque necessaria una gestione unitaria del gruppo dirigente. La Piccinini aveva proposto di operare tale scelta prima delle assemblee congressuali in modo di non scatenare una guerra tra categorie e Confederazione, di non dar luogo ad una conta. Non è stata ascoltata.
Aggiunge Susanna Camusso che così si rischia di fare un Congresso per schieramenti che taglia fuori i problemi. Sarà più importante la collocazione di ciascuno. Mentre l’urgenza spinge ad una grande capacità di proposta, facendo vivere i punti di differenza nella discussione, non nella contrapposizione. E conclude: “La contrapposizione uccide un dibattito serio e uccide il rinnovamento, così vincono i vecchi, prevale la furbizia per salvare i tuoi e sacrificare i giovani”.
C’è nella coalizione alternativa un punto di analisi che riguarda i rapporti con Cisl e Uil, dati ormai per persi o quasi. Gianni Rinaldini, ad esempio, critica la manifestazione svoltasi a Milano in ottobre per i problemi dell’occupazione e organizzata insieme da Cgil e Cisl. Questo perché, a suo parere, una tale iniziativa avrebbe dovuto avere al centro anche la condanna dell’intesa separata sul modello contrattuale. Insomma la critica è nei confronti di una gestione confederale che ha portato a quella intesa separata, non basata su un’azione vera di contrasto. Era chiaro, per Rinaldini, dove si andava a parare e non bisognava alimentare illusioni. La Cgil, certo, dovrebbe saper dire quali possano essere le regole nel rapporto tra contratto nazionale e aziendale, nonchè sul precariato. “Non si può continuare a dire che tutto sommato si può andare avanti così… Oggi è chiaro quello che vogliono fare Cisl e Uil ma non quello che vuol fare la Cgil…”.
Rinaldini spiega anche certe caratteristiche della strana alleanza congressuale, ricordando un rapporto tra metalmeccanici e pubblico impiego nato con lo sciopero comune del 23 febbraio, sui temi della crisi e dell’accordo separato. L’intenzione, comunque, ribadita anche da Carlo Podda, non è quella di dar vita ad un’area programmatica, ad una specie di corrente organizzata. Podda, dal canto suo, assegna un’impronta particolare alla propria adesione al documento di alternativa. Occorre ritrovare il coraggio dell’innovazione, sottolinea, come quando la Cgil di Bruno Trentin decise la privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego nonché la licenziabilità di dirigenti che oggi si chiamerebbero fannulloni. Tra le ipotesi di Podda: il reddito minimo garantito e un’apertura verso la proposta di contratto unico sia pure rivisitata e corretta. L’intento, precisa, è quello di avviare una discussione “non solo sugli errori degli altri ma anche su quelli nostri”.
Alle spalle di questo “strappo finale” in Cgil c’è una lunga sequenza di avvenimenti. Tutto è cominciato attorno al rapporto col governo cosiddetto “amico”. Secondo Rinaldini se il sindacato avesse avuto un ruolo, all’epoca, un po' più propulsivo, “avrebbe fatto bene anche al governo Prodi”. Fatto sta che nel 2009 la questione del rapporto col governo è quella che più divide Epifani da Bonanni e Angeletti. Il giudizio della Cgil (ma quasi sempre non di Cisl e Uil) è ostile su una sequela di provvedimenti: La disciplina del diritto di sciopero poi limitato a trasporti e approvato da Cisl, Uil e Ugl; il decreto sulla sicurezza con la riduzione delle sanzioni e l’indebolimento del ruolo del rappresentante dei lavoratori, nonché le semplificazioni burocratiche; la ripetuta minaccia di ristabilire le gabbie salariali; le misure sull’allungamento dell’età pensionabile per le donne; la questione dei precari pubblici e dei tagli degli organici nelle scuole; il ritorno alla legislazione del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione; il mancato rinnovo delle Rsu nelle scuola; la social card per i pensionati riservata a pochi e di modesta entità; la questione della partecipazione agli utili; la detassazione dello straordinario, i tagli alla sanità, l’adozione dello scudo fiscale e i mancati interveti sui redditi da lavoro. E c’è dissenso sulle misure anti-crisi assunte dal governo (giudicate scarse dalla Cgil) e sulle conseguenti forme di mobilitazione. Così con lo sciopero Cgil del 12 dicembre 2008, lo sciopero Fiom e Funzione pubblica il 14 febbraio 2009, le manifestazioni Cgil del 4 aprile e del 14 novembre 2009.
Perché questa mancata presenza unitaria nelle piazze? La Cisl accusa in sostanza la Cgil di assumere un orientamento solo politico che porta a non osare trattative con governi di centrodestra, non considerati “amici”. Epifani dal canto suo sostiene che la Cisl considera il governo in carica così forte e appoggiato dal consenso dell’opinione pubblica, da rendere inefficace ogni iniziativa sindacale. Uno schema che però lede l’autonomia del sindacato. La Cgil, del resto, ha tentato, nel corso dell’anno, rivendicando un tavolo di trattativa sulla crisi, anche strade “dialoganti” col governo, negli incontri-dibattiti prima col ministro dell’economia Giulio Tremonti, poi col ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola, ottenendo impegni in gran parte disattesi, sulla costituzione di una task force per le crisi industriali, su una politica fiscale diversa, sul raddoppio del periodo di cassa integrazione visto l’allungamento dei tempi della crisi.
Altri nella Cgil, come Susanna Camusso, ricordano, a proposito dell’accusa di voler trattare solo con governi amici, come contro il governo Prodi fu proclamato nel 2008 uno sciopero generale, poi sospeso per la caduta dello stesso governo. Non riproclamato più tardi, malgrado le chiusure del centrodestra sulla piattaforma sindacale (quella presentata a Prodi). Ed è possibile registrare anche in periferia atteggiamenti diversi: immobilismo nelle regioni governate dal centrodestra e l’opposto in quelle governate dal centrosinistra. Questo non vuol dire che i gruppi dirigenti della Cisl siano attratti, dal punto di vista politico, dalle sirene del centrodestra. Sono in larga maggioranza vicini al Partito democratico. La spiegazione starebbe dunque nella convinzione che con il centrosinistra l’iniziativa, la pressione, è utile. Non così con gli altri.
C’è anche un altro problema sollevato dalla Camusso e che riguarda la funzione della contrattazione. Nel passato era la Cisl che aveva un atteggiamento ostile al ricorso alle leggi sui temi del lavoro. Fin da quando si trattò di votare in Parlamento lo Statuto del Lavoro di Brodolini e Giugni. Ora invece l’organizzazione di Raffaele Bonanni mostra una grande apertura alla nascita di nuove leggi. Così sulla partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese, così sul mercato del lavoro. E nello stesso modello contrattuale del 22 gennaio è indebolita, osserva la Camusso, l’autonomia della contrattazione aziendale e l'autonomia delle categorie nazionali.
Un aspetto decisivo, a proposito di leggi, anche per affrontare le difficoltà decisionali nei rapporti intersindacali, sembra poter essere affrontato nel corso del 2009. Ma non se ne fa nulla. Fatto sta che su un accordo giudicato storico, come quello del 22 gennaio non c’è alcun pronunciamento dei lavoratori sollecitato dalle tre Confederazioni. Questo perché nel caso di intese separate, secondo Cisl e Uil, è possibile ascoltare il parere solo dei diversi iscritti alle organizzazioni firmatarie. Una scelta che però lascia fuori da una possibilità di espressione la stragrande maggioranza dei lavoratori. Solo la Cgil promuove una sua consultazione sul modello del 22 gennaio, ottenendo, dichiara, l’adesione di 3,4 milioni di lavoratori. E il no prevale per il 96% degli interpellati.
Un altro tema oggetto di confronto, anche dentro la Cgil, riguarda il cosiddetto “contratto unico”. Uno strumento presente nelle elaborazioni di Pietro Ichino, Tino Boeri e altri studiosi. L’obiettivo è quello di riunificare il mondo oggi assai frammentato del lavoro, con gradi di tutele e diritti assai diversificati quando non assenti. Le tesi congressuali della maggioranza che si è posta attorno a Guglielmo Epifani puntano ad una proposta che riduca le tipologie contrattuali a 4 o 5. E’’ rifiutata un’unica tipologia perché considerata troppo rigida. Si sostiene che ad esempio un “tempo determinato” sia necessario per i lavori stagionali. Mentre bisogna evitare che il tempo determinato sia un fatto permanente e per casi non corrispondenti al vero. Non sarebbe da cancellare nemmeno il lavoro cosiddetto interinale, mentre la scelta per i collaboratori ipotizza una collaborazione unica ma vera collegata a una pluri-committenza. Tra le altre proposte quella di un contratto d’ingresso al lavoro, che abbia uno sgravio contributivo legato alla formazione, e che porti alla stabilizzazione dopo un certo periodo.
Sono novità che danno l’idea di una Cgil che anche così cerca una via d’uscita dall’accerchiamento. Un'altra proposta ipotizza un sistema di regole che affronti uno dei temi inseriti nell’intesa separata del 22 gennaio. Riguardano natura ed obiettivi del primo livello di contrattazione e del secondo livello. Regole, spiega Epifani, più leggere rispetto a quelle stabilite il 22 gennaio e considerate, invece, molto centralizzate, senza spazi alle categorie. Sono scelte che rimbalzeranno nel dibattito congressuale perché la Fiom, ad esempio, è accusata di non voler alcuna regola.
Tutto questo potrebbe portare ad una riverifica del modello. Soprattutto se i nuovi contratti non contenessero i punti negativi del modello denunciati dalla Cgil. E’ il tentativo, in definitiva, di delineare un uscita in avanti, uno sbocco.
Un'altra differenziazione con la Fiom di Rinaldini riguarda le istanze da sollevare in materia di rappresentanza e democrazia. La Cgil di Epifani non punta sull’uso del referendum dappertutto. Intende lasciare alle categorie modalità di democrazia appropriate. Mentre sull’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori chiede un ampliamento alle filiere delle piccole imprese che stanno con altre imprese, in modo da evitare una frammentazione strumentale. Qualche dubbio pare esserci altresì sulla richiesta di una legge per la rappresentanza. Quale esito potrebbe avere nei confronti di una maggioranza parlamentare che potrebbe anche mettere in campo ipotesi del tutto diverse da quelle rivendicate?
Uno dei nodi di fondo riguarda, infine, il tema dell’unità sindacale. C’è una parte, sostiene Susanna Camusso, che cerca l’unità a prescindere, un’altra parte pare perseguire l’abrogazione degli interlocutori, dando per scontata la fine di ogni rapporto. Sono ipotesi che non convincono il corpo centrale della Cgil, cresciuto alla scuola di Di Vittorio che un minuto dopo la rottura del 1948 cominciava a lavorare per l’unità. Certo anche la Camusso ammette che questa volta è assai complicato. L’unica soluzione potrebbe consistere in una ricostruzione dal basso, non dall'alto. Ovverosia provare a ragionare sulla rappresentanza nelle aziende, nei territori, far leva sul fatto che comunque la condizione di lavoro chiede un rapporto molto più unitario. L’intenzione è quella di provare a ricostruire l’unità nelle contraddizioni che poi sono contraddizioni per tutti. Come ha dimostrato il caso Piaggio dove un referendum ha approvato un accordo bocciato dalla Fiom.
Così in rapida sintesi, la Confederazione va al congresso, trae un bilancio di un anno davvero tumultuoso. Non si tratterà di varare, accanto ad una nuova strategia, un nuovo segretario generale. Guglielmo Epifani reggerà la carica di segretario generale ancora per qualche mese dopo il congresso, anche per sottoporre a consultazione la persona che gli succederà. E che guiderà una possibile nuova stagione.