Così anche se non ci beviamo fino il fondo il bifidus della politica politicante, quella sacra per le mezze tacche di pianura, di montagna o di colle, non possiamo che aggrapparci alla crescita, alla speranza che il truffatore abbia davvero un immenso patrimonio da passarci, mentre attrversiamo un desertto sempre più spoglio. Il fatto è che dopo aver ceduto le nostre lenticchie, la nostra primogenitura di cittadinanza e di democrazia, non capiamo che il politico o il noto informatore, sono a loro volta ingannati, che il loro cinismo deriva dalla loro nullità. Che la crescita non soltanto è irraggiungibile in un paradigma volto a creare la caduta di domanda aggregata e con essa la stessa esistenza del “pubblico”, dello stato e delle regole, ma che essa non è più l’obiettivo di un’economia che ormai ha fatto della speculazione finanziaria il proprio core business. Secondo gli ultimi dati della banca mondiale il capitale speculativo ammonta a 14 mila miliardi dollari, una gigantesca massa di denaro che come un fluido velenoso fa il giro del mondo più volte al giorno, impone politiche, spezza stati, riduce in povertà e all’occorrenza suscita le guerre quando incontra una qualche resistenza oppure pensa di spezzarle attraverso il caos. 14 mila miliardi dollari sono il 90 per cento del capitale disponibile (senza pensare alla massa ben più grande delle scommesse inesigibili o che si riferiscono a un futuro a lungo termine, già consumato nella macchina infernale) mentre solo il 10 per cento è capitale di investimento produttivo.
Ora è facile capire che i detentori di questa ricchezza sterile e parassita vedono nella crescita un pericolo, anzi un doppio pericolo. Il primo è legato alle dinamiche economiche perché la crescita significa inflazione e dunque una diminuzione del valore del denaro. Il secondo è legato agli assetti politici perché una ripresa vera e non puramente statistica che ingloba appunto la speculazione) dell’economia reale ridà ossigeno agli stati, rendendoli meno soggetti al ricatto finanziario,favorisce la rinascita della politica di bilancio e dunque anche delle concezioni e delle articolazioni politiche al di fuori della delirante narrazione nella quale siamo immersi.
Quando si promette la crescita facendola derivare dalle ricette imposte dall’economia finanziaria non si dice solo una bugia, non si vende solo una bolla di sapone, ma si rifila una cosa impossibile e contraddittoria. Chi comanda in realtà è quel 90% di capitale che del resto non nasconde le sue intenzioni e il suo potere, certo -per esempio – che qualsiasi scelta elettorale, a meno che non sia di rottura radicale, finirà per essere riassorbita dalla necessità e dai ricatti. Tanto che le ex democrazie sono ormai governate da partitoni unici di fatto ,separati al loro interno soltanto da temi marginali quando non da interessi opachi. E da finanziatori dietro le quinte, altro effetto perverso dell’anti castismo domenicale che accresce il potere della casta. A me viene da ridere quando nell’ambito della campagna per Draghi presidente, che già si intuisce come scelta della razza padrona, si narra di un governatore della Bce che non può fare ciò che vorrebbe, stoppato dalla perfida Merkel. Draghi non può uscire dalla strada deflattiva col solo strumento monetario chiamato euro, me soprattutto non vuole farlo perché la mancanza di crescita non solo aumenta il valore della speculazione finanziaria aggregata, ma contribuisce a far affluire ancora più risorse e a dare dunque ancora più potere alla nuova fase capitalistica.
Il risultato di tutto questo lo si può vedere nella tabella fianco dove viene