Ci sono dei valori nella vita, o perché connaturati con l’essere umano o perché scelti dall’individuo, che obbligano a perseguirli fino in fondo, a costo della vita stessa. Uno di questi è la fedeltà.
Tanti sono i modi di esprimere la fidelitas: verso una causa, verso la patria, verso le proprie convinzioni, verso una parola data, nel rispetto dei patti … e questo non solo come obbligo morale ma anche giuridico.
La fedeltà, secondo il significato letterale, deriva dal greco “pistis” ma “pistis” significa anche fede, fiducia. La fedeltà ha un corollario che è quello di veridicità, qualità e virtù di essere veri.
A me interessa analizzare la fedeltà in due sacramenti: alla propria vocazione presbiterale e all’interno della vita di coppia. Sento l’esigenza contemporaneamente di porre una domanda: Come vivere la fedeltà mentre il nostro tempo relativizza gli impegni di lunga durata? Prima di tentare di rispondere, citerò un’ampia inchiesta comparativa condotta in 36 paesi europei, in Canada e negli Stati Uniti. Il rapporto SPIRA di qualche anno fa (nel 2002) dice che 9 persone su 10 considerano la fedeltà essenziale per la felicità e per la stabilità della coppia, per il 98% delle persone interrogate, il matrimonio si costruisce sull’amore e sui legami affettivi. Oggi – afferma la Dr. teologa Marianne Hubert - «la famiglia, costruita su base nucleare, ha lasciato il posto ad un’altra famiglia che fa riferimento, innanzitutto ed essenzialmente, alla relazione tra due individui. In questo contesto anche la fedeltà cambia».
Prima di analizzare ogni vocazione, presbiterale o coniugale, vediamo nello specifico quali sono i tratti comuni che li uniscono. Oltre all’essere Sacramenti, ambedue esprimono teologicamente l’amore sponsale per Cristo e la Chiesa e per il partner, con le dovute diversità. Questa fedeltà si esprime nella disponibilità, nel dialogo, nell’amore e infine nell’incoraggiamento. Per il presbitero: disponibilità della propria vita a Dio e alla comunità a lui affidata, attraverso anche l’amministrazione dei sacramenti; dialogo con Dio nella preghiera e meditazione costante, come forza propulsiva quotidiana; amore per il datore di ogni bene e per il prossimo, Sua immagine, e il dono dell’incoraggiamento che lo pone nelle condizioni di sapere discernere per consigliare, ma anche sostegno della comunità verso di lui, nei momenti di maggiore difficoltà. Per i coniugi: disponibilità, dell’uno verso l’altro e viceversa, sia fisica e sia affettiva, oggi un problema all’interno della coppia. Si assiste spesso al fatto che non trovandola all’interno si corra a cercarla all’esterno. Dalla disponibilità ne deriva la comunicazione tra i coniugi, sia verbale e sia fisica, fatta di contatti, sguardi, consensi… ognuno lo faccia a suo modo, ma lo faccia. Oggi si dialoga poco o nulla e si cova tutto dentro, comprese le difficoltà, con conseguenze inaudite. Non si progetta più assieme e non si è condivisibili. L’amore, con le sue svariate forme affettive, è l’anima della vita di coppia e ha bisogno di essere alimentato anche con piccoli gesti che esprimono donazione, ricerca del partner, sacrificio comune, perdono, ma di attenzione per non cadere nella gelosia (nella relazione ha un aspetto di automutilazione. Mette tutto in dubbio: di essere amati, di essere degni di essere amati da chicchessia), nel possesso dell’altro e nell’egoismo (che non è amore per l’altro). Erich Fromm aggiunge quattro elementi che devono essere presenti in ogni tipo di amore: premura, rispetto, conoscenza e responsabilità. È ripetersi, giorno dopo giorno, il “Sì”. «La comunicazione e l’affetto – dice Hurbert - sono veramente al centro dell’amore». E infine l’incoraggiamento. È il frutto di una conoscenza reciproca che sprona l’altro a fare quello che a lei è più geniale, tenendo conto dei suoi hobby, degli interessi e delle esigenze di famiglia. Incoraggiare piuttosto che criticare deve essere il motto coniugale, soprattutto nei momenti di difficoltà.
La fedeltà è allora ricerca, dubbio, condivisione, misericordia, guardare verso la stessa direzione, ma anche rispetto per la diversità, aiuto vicendevole, comprensione… partecipazione della vita di Dio, l’assolutamente fedele e costante.
Se sussistono questi valori, l’infedeltà non ha motivo di essere presente sia in un presbitero e sia in una coppia, ambedue sono forme di “adulterio”, cioè di tradimento dell’amore. L’infedeltà è lo strappo dell’amore, un venir meno a degli obblighi di vita che sono stati scelti, aventi come testimone Dio stesso: «Chi si mette all’aratro – dice Cristo - e poi si volta indietro non è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). Le conseguenze, personali, familiari e sociali, sono devastanti.
E sull’infedeltà desidero fare una riflessione: Se l’infedeltà è un disvalore in ambedue i sacramenti perché esiste una valutazione diversa? Se un prete abbandona il percorso voluto da Dio con il suo consenso, perché può accedere a tutti i sacramenti, compreso il matrimonio? Non è stato infedele al disegno di Dio? Mentre se un coniuge lascia il partner (a volte per motivi non imputabili alla sua volontà), si separa, divorzia, non può accedere al sacramento della Confessione o dell’Eucaristia e, men che meno, di un altro Matrimonio?
Nel Giudizio finale saremo giudicati tutti sull’amore e sulla fedeltà a Lui, Amore unico e Signore della storia!
SALVATORE AGUECI