"La felicità di Emma" di Claudia Schreiber

Creato il 19 settembre 2011 da Sulromanzo

La felicità di Emma è, al tempo stesso, un romanzo mordente e una sceneggiatura con i fiocchi. Non mi stupisce che in Germania, dove il libro è uscito nel 2003 con il plauso di critica e pubblico, ne abbiano già tratto un film (Emmas Glück, di Sven Taddicken, 2006). Non avendolo ancora visto – sembra che non sia stato distribuito in Italia, se non all’interno dei circuiti del Goethe-Institut ­– posso solo augurarmi che la trasposizione, indubbiamente facilitata dal taglio visivo della narrazione, non abbia sacrificato la convincente tangibilità di Emma, avvolta in quella coltre terrena che nei film spesso evapora.
In una fattoria nel cuore della Germania, la trentenne Emma vive sola e allo stato brado allevando maiali come se fossero suoi fratelli. Abbraccia la scrofa come una figlia si stringerebbe a sua madre, sussurra ai lattonzoli passando le dita fra le loro setole e li bacia sul grugno umido.
 

"La pelle suina assomiglia alla pelle umana. Anche gli organi interni si assomigliano, e sono anche sistemati più o meno nella stessa posizione. Nessun altro animale è tanto simile all’uomo come il maiale”. Orwell non aveva scelto a caso. Un’umanità che Emma cerca di preservare durante le sue macellazioni solitarie e fuori legge. Chiama a sé i maiali prescelti, li accarezza sul dorso parlandogli fino all’ultimo, ringraziandoli per la leale compagnia, e taglia loro la gola con un lungo coltello affilatissimo, “senza esitazioni, con un movimento rapido e preciso”. Nessuna paura per i suini. Nessun lamento strazia le orecchie. Solo il sangue che zampilla e torna alla terra. Per mano sua, i maiali muoiono felici.   Éall’interno di questo ciclo ben oliato che fa il suo ingresso casuale, e un filino Hollywoodiano, Max. Per Emma non sarà solo l’arrivo dell’amore ma anche l’occasione per affrontare il suo mal sepolto trauma infantile, una storia di animali a metà strada fra l’incubo di Jodie Foster ne Il silenzio degli innocenti e lo svezzamento di Mowgli ne Il libro della giungla. Le orme dei suoi defunti genitori non la fanno dormire. Sua madre: “passi minacciosi che si avvicinavano”. Suo padre: “passi codardi che si allontanavano”.

Leggere i pensieri di Emma ti stende. Le insicurezze senza ricami del suo scoprirsi donna, impacciata, goffa e fuori luogo, bruciano sulla pelle a ogni pagina. La seguiamo aprirsi a Max, venditore d’auto piovuto dal cielo con 50 mila dollari ma anche con un tumore al pancreas in fase avanzata. Rifugiato in una vita metodica, lui che ha sempre vissuto a metà per paura di esistere, fa ordine nella “sporcizia” della casa di lei, quel sudiciume che Emma chiama “la mappa della sua anima”. Lei, contadina ruvida e indipendente, abituata ai ritmi degli animali, riesce a stagli vicino lucida, dignitosa e solida. Alcuni passaggi li ho letti con gli occhi a fessura. Da una parte, le descrizioni ultra grafiche delle fasi della macellazione: Emma e lo scuoiamento dei maiali, Emma e l’eviscerazione della scrofa, dall’altra, la vita che fugge e i dolori del corpo di Max. Come per la vicenda sentimentale, neanche nel narrare i rituali della macellazione Claudia Schreiber si serve di frasi ad effetto. Non è un libro melenso o strappalacrime. La potenza arriva nuda e cruda sulla pagina senza giri di parole. Si narra la vita, costituzionalmente troppo breve e paradossale, dolce e amara, inesorabilmente lanciata verso il distacco. Non ci sono scappatoie o happy end alla malinconia di esistere e all’inevitabile certezza di doversi separare. Per carità, c’è una cornice pittoresca al dramma ineluttabile (senza contare la copertina rosa, confortante per l’occhio). Emma è divertente, con le sue abitudini da giungla, le sue vestaglie fuori moda e il galateo sotto i piedi. I personaggi del paesino che fa da contorno sono buffi e danno vita ad alcune situazioni molto comiche. Ma Emma è una donna che non chiude gli occhi, neanche sul finale, durante la sua “macellazione d’urgenza”, come scrive il suo amico poliziotto nel rapporto della vicenda che chiude il libro.  Nell’ultimo capoverso Schreiber tenta la virata verso la speranza ma, per rimanere in tema, è solo una fetta di prosciutto che ci cala sugli occhi. Ormai l’abbiamo già smascherata per quella che è: una narratrice soda e ostinata che non addolcisce la pillola.

Per gli animali la cosa peggiore è la paura di morire, non la morte in sé”.

 
 

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