Potrei citare decine di esempi solo io, ma credo che ognuno di noi potrebbe fare altrettanto, di esempi felici senza soldi e di infelici ricchi. Penso anche che potremmo fare altrettanto anche con i contrari: ricchi infelici e poveri infelici. Ma per fare questo, dovremmo avere come misura la questione economica. Ma noi pensiamo davvero che la questione economica sia davvero il metro unico per questa questione? Mi viene in mente il pensiero di Davide Segre su Useppe ne "La storia" di Elsa Morante..." tu sei una persona felice di ...tutto. Della vita, di tutto ciò che vedi sul mondo.." Coloro che mirano ai soldi e al potere, si giustificano col fatto che senza sarebbero degli infelici, quelli che non ci riescono si nascondono dietro al fatto che " a te basta poco, beato te..." ma non credeteci. In realtà pensano " cos'ha da ridere felice questo stronzo? non ha un cazzo, non è nessuno e ride..." Anche chi sorride felici alla vita pensa che chi corre, si affanna, si vende e si compromette, sia un perfetto cretino che non ha pace. I gradi di ricchezza sono come gli scalini di una piramide: c'é sempre un livello superiore ed uno inferiore. Ma pure diventa difficile sostenere che non correre dietro ai soldi, al potere, possa di per sè essere garanzia di saper essere felice. Allora forse é giunto il momento di entrare nel particolare e valutarne le sfumature. Certo che chi cerca di fare carriera, di fare soldi, di accedere a delle posizioni di potere, ha poco da concedere alla disincantata visione del mondo, sia sotto l'aspetto emozionale che pratico. non ci si concede molto tempo a guardare la natura, almeno se non si ha un progetto di come sfruttarlo per un progetto di sfruttamento e di ritorno economico. Non ha nessuna possibilità di scrivere pensieri, bigliettini o poesie per la donna che intende conquistare, poiché chi è di successo, chi ha soldi, tende a conquistare la sua preda, con regali costosi, con cose di valore monetario.
Mentre chi ha poco tende (per forza) ad esprimere con parole e azioni piene di significati emozionali, senza spendere niente altro che la sua intelligenza. Mi rendo conto benissimo che mi avvito su prove e opzioni a favore dell'una e dell'altra posizione me come se ne esce? Non ho la stoffa, nè gli strumenti per poterlo fare un discorso che abbia un giudizio finale. D'altronde io riempio i miei poveri scritti di puntini sospensivi proprio perchè non sono mai completamente sicuro che il mio pensiero sia finale nei confronti di qualsiasi argomento, non so usare il simbolo dell'infinito, altrimenti finirei ( meglio sospenderei) ogni mio pensiero con quel simbolo. devo allora (per forza) rifarmi alla mia esperienza personale e dire che cosa io pensi abbia determinato, nel sottoscritto, questa propensione alla felicità di essere vivo, membro di un mondo imperfetto, ma sicuramente felice di farne parte. la mia infanzia cosciente, quella che (ahimè) ricordo con dolore, inizia la morte di mio padre all'età di cinque anni. nella mente di un bambino questa é una lacerazione che permane tutta la vita, non ti lascia neppure un momento. e quando inizia la tua vita con un avvenimento tragico di questa misura, tutto ciò che può avvenire in seguito, quasi grasso che cola. Mia moglie dice sempre, ogni volta che io trovo un parcheggio, che io devo averne mangiata di merda nella mia vita, quasi che qualcuno si toglie, nel momento opportuno, per concedere un premio, che risani quel mio lontano dolore. Mi sto convincendo che, in qualche modo, lei abbia ragione: dopo che si è tanto sofferto all'inizio, si assume la coscienza che tutto ciò che può avvenire, nella vita, non può che essere migliore. Ci vuole coraggio a darle torto. Aver iniziato la vita con la morte di chi te l'ha data, non può che convincerti, che tutto cioò che ti può aspettare non può che essere meglio. Voi che ne dite?
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