La Fenice, simbolo d'immortalità

Creato il 21 settembre 2012 da Greta
 Ci sono idee che sono nate nella mente dell'uomo fin dai primi tempi e che non sono più scomparse. Sembrano quasi dei chiodi fissi, che si sono inculcati in tutte le culture e mitologie del mondo e che sopravvivono tutt'ora, anche se in altre forme. Un concetto che ritorna insistentemente in tutte le popolazioni antiche è quello di rigenerazione. Questa idea si è concretizzata in diversi modi: attraverso i riti propiziatori che favorivano la ciclicità dei fenomeni naturali, o rituali di passaggio che purificassero il defunto perché potesse rinascere nell'al di là, o ancora concezioni cicliche del tempo, che era destinato inesorabilmente a ripercorrere i propri passi.

 Per rappresentare il concetto di rigenerazione, però, i popoli antichi ricorrevano anche a delle creature immaginarie, che si configuravano come veri e propri simboli del pensiero degli uomini. Una di queste è la Fenice, l'uccello mitologico che dopo la morte rinasce dalle proprie ceneri.    I primi a parlare di questo favoloso pennuto furono gli Egizi, che nel loro pantheon annoveravano il Benu o Bennu (letteralmente "brillare", "Splendere" o "librarsi in volo"), che dapprima aveva le sembianze di un passeraceo e poi divenne un trampoliere dal becco lungo e sottile, con due piume dietro il capo. Tale uccello venne associato al sole e alla divinità solare Ra, quindi rappresentava il cammino dell'astro nel cielo, che sorgeva e tramontava. Il Bennu era identificato inoltre con il pianeta Venere, chiamato la Stella del Mattino, come dimostra questa invocazione:«Io sono il Bennu, l'anima di Ra, la guida degli Dèi nel Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch'io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.»


Bennu, la "Fenice" egiziana

 A causa del suo aspetto simile a un airone, il Bennu era una figura che annunciava il ritorno di un periodo fertile e prospero. L'airone, infatti, era solito comparire sulla sommità delle rocce del fiume Nilo dopo la periodica inondazione che fecondava la terra con il limo. La connessione con la fertilità e con le forze vitali è dimostrata anche dal fatto che il Bennu divenne una rappresentazione di Osiride, il dio che muore e risorge. Un mito egizio della creazione narra, addirittura, che il Bennu fosse il primo essere animato a sorgere sulla collina emersa dal caos delle acque primordiali. Secondo la leggenda, il Bennu sarebbe nato dal fuoco che ardeva sul sacro salice di Eliopoli. Di Bennu ne poteva esistere solo uno alla volta, proprio come il sole. Era sempre di sesso maschile e viveva in prossimità di una sorgente d'acqua fresca, in un'oasi dell'Arabia (da qui l'epiteto "araba fenice") che era pressoché introvabile. Lì, ogni mattina faceva il bagno nell'acqua della fonte e intonava una melodia talmente soave che il sole fermava il suo corso per ascoltarla. Talvolta lo si poteva veder volare a Eliopoli per depositarsi sul salice sacro o sull'obelisco all'interno della città.

 Dall'Egitto, la leggenda si diffuse in Grecia grazie a Esiodo ma soprattutto a Erodoto, il primo che descrisse in modo preciso l'aspetto della Fenice e le sue caratteristiche. Secondo lo storico greco l'uccello era più o meno della grandezza di un'aquila e il suo piumaggio era in parte oro brillante e in parte rosso cremisi. Nonostante l'aspetto dell'animale sia profondamente cambiato rispetto alla tradizione precedente, Erodoto si riallaccia comunque al culto egiziano, affermando che la Fenice giungeva dall'Arabia a Eliopoli ogni cinquecento anni, in occasione della morte del genitore, le cui salme erano state imbalsamate in un uovo di mirra. La nuova Fenice portava con sé l'uovo per depositarlo e bruciarlo sull'altare del dio del sole.  

 Sempre Erodoto ci svela che, prima di morire, la Fenice si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido di incenso e cannella sopra una quercia o una palma, accatastando le piante aromatiche in modo da formare un uovo. Dopodiché, adagiatasi nel giaciglio, lasciava che i raggi del sole incendiassero il nido e si lasciava consumare dalle fiamme. Incendiandosi, le piante aromatiche diffondevano un dolce profumo, che accompagnava sempre la morte della Fenice. Dalle ceneri, poi, spuntava una larva o un uovo, che i raggi del sole contribuivano a trasformare in una Fenice adulta in tre giorni attraverso il loro calore. In seguito, come già accennato, la nuova creatura si dirigeva verso Eliopoli e si posava sull'albero sacro.

La Fenice greco-romana

  

 Ovviamente questa figura non poteva non essere citata anche da scrittori romani, che dibatterono molto su alcune caratteristiche della Fenice (il cibo di cui si nutrisse, sulla modalità della sua morte), ma mantenendo in generale inalterati i tratti fondamentali fissati da Erodoto. Per esempio Ovidio, nelle sue Metamorfosi, scrive:
si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto cinquecento anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Eliopoli in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole.
 Ovidio, quindi, rimane fedele alla storia tramandata da Erodoto, aggiungendo però alcuni particolari: il nutrimento della Fenice e il fatto di trasportare a Eliopoli non solo le salme del genitore, ma anche il proprio nido. Sempre per quanto riguarda la morte del genitore, anche Tacito riprese le informazioni di partenza, dicendo che la nuova Fenice portasse l'intero corpo del genitore morto a Eliopoli per bruciarlo all'altare del sole.
 E' bene evidenziare che il continuo riferimento a Eliopoli non era casuale. Lì, i sacerdoti di Ra erano soliti conservare i testi dei tempi passati in archivi. Se si tiene presente questo dato importante, la Fenice diveniva così il nuovo profeta, il nuovo messia che distruggeva gli antichi testi sacri per far rinascere una nuova religione dalle ceneri di quella precedente.
 Durante l'impero romano, la Fenice smise i panni del sole che tramontava e risorgeva ogni giorno e assurse a simbolo dello stesso impero che, pur alterandosi, si rinnovava sempre ed era immortale.
 Ma l'idea di rinnovamento e rigenerazione legata alla Fenice non poteva restare confinata solo al mondo classico. Infatti, il favoloso uccello era presente già nella tradizione ebraica, dove assunse il nome di Milcham. Una leggenda narra che Eva, divenuta mortale dopo aver mangiato il frutto proibito, costrinse anche tutti gli altri animali dell'Eden a fare altrettato, poiché era invidiosa della loro purezza e immortalità. L'unico animale che si rifiutò di mangiare il frutto proibito fu proprio la Fenice. Per questo, Dio volle ricompensarla dandole come dimora una fortificazione nel paradiso terrestre, dove l'uccello leggendario avrebbe potuto vivere in pace per mille anni. Proprio con una frequenza di mille anni, la Fenice bruciava e si rigenerava da un uovo, che veniva ritrovato tra le ceneri dell'animale defunto.
 La religione cristiana riprenderà in seguito la simbologia di questo animale, che ben si addiceva alla figura di Gesù Cristo che, proprio come la Fenice, muore per poi risorgere. In questo contesto la Fenice non è solamente simbolo di Cristo vittorioso sulla morte, ma più in generale anche della rinascita spirituale dell'anima, che è immortale.
 Ben presto, quindi, la Fenice divenne parte dei bestiari dell'epoca medievale. Uno di questi, chiamato Fisiologo, riportava le caratteristiche dell'animale, che erano state in parte modificate. Secondo il bestiario, la Fenice era originaria dell'India  e ogni cinquecento anni si dirigeva verso il Libano, dove si profumava le ali con piante aromatiche e si annunciava al sacerdote di Eliopoli. Costui, ricevuto il segnale, preparava sull'altare una pira di sarmenti di legno dove l'uccello si sarebbe posato e avrebbe preso fuoco. Dopo la morte sul rogo, il sacerdote trovava un piccolo vermicello, che in tre giorni si sarebbe trasformato nella nuova Fenice. Il Fisiologo stesso spiega la simbologia di questo essere prodigioso:

l'uccello prende l'aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell'Antico Testamento, come egli stesso disse: «Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla». 

La Fenice in un mosaico cristiano


 Creature molto simili alla Fenice europea ed egiziana si possono trovare anche negli altri continenti. Nella mitologia cinese, l'uccello leggendario compare tra le quattro creature sacre che presiedono al destino della Cina, le quali impersonano le forze primordiali di tutti i tipi di animali (piumati, corazzati, pelosi e dotati di squame). I quattro animali magici sono Bai Hu (la tigre bianca) o Ki-Lin (l'unicorno) per l'Ovest, Gui Xian (la tartaruga o il serpente) per il Nord, Long (il drago) per l'Est e, per il Sud, Feng (la Fenice). Quest'ultimo rappresentava le forze primordiali dei cieli, il potere e la prosperità, perciò l'imperatore e l'imperatrice erano gli unici a poter portare il simbolo del Feng. I Cinesi ritenevano che il Feng possedesse i più begli attributi di tutti gli animali e lo rappresentavano con due pergamene nel becco o una scatola che conteneva i testi sacri.

 Feng era l'imperatore di tutti gli uccelli, poiché il suo corpo era l'insieme dei sei corpi celesti: la testa simboleggiava il cielo, gli occhi il Sole, le ali il vento, gli artigli la terra, il dorso la luna e le piume i corpi astrali; inoltre, la coda di Feng conteneva i cinque colori primari. Egli era nato dal fuoco sulla Collina del Falò del Sole e viveva con la sua compagna (o con il suo compagno, visto che il Feng può essere sia maschio che femmina) nel Regno dei Saggi, cibandosi di bambù e bevendo acqua purissima. Feng aveva una voce melodiosa e tutti i galli lo accompagnavano nell'intonazione della sua canzone, che conteneva le cinque note della scala musicale cinese. Egli appariva solamente in periodi di pace e prosperità e durante il concepimento di un bambino, per consegnare l'anima del nascituro al grembo della madre.

Fenghuang


 In Giappone, la Fenice ricompare con il nome di Ho-ho e assume le sembianze di un'aquila enorme coperta di gemme che sputa fuoco. Ho-ho si annovera tra i kami, gli spiriti della natura, e annuncia l'arrivo di una nuova era. Un altro nome di Ho-ho è Karura, che altro non è che la storpiatura del nome sanscrito Garuda, con cui la Fenice è nota in India.
 Nella cultura induista e buddista, Garuda è uno dei supremi veggenti. Ha un corpo umano dorato, ali scarlatte, becco d'aquila e faccia bianca. Sua madre venne imprigionata da Kadru, la madre di tutti i serpenti e Garuda, per liberarla, assunse il Soma, l'elisir che rende immortali. Il dio Viṣṇu, fu molto colpito da ciò e scelse Garuda come avatar (l'incarnazione terrestre) o come suo destriero. Fatto sta che dal rapimento della propria madre, Garuda mantenne un feroce odio nei confronti dei Naga, la famiglia dei serpenti e dei draghi.
 Tracce della Fenice, infine sono presenti anche in America. Quetzalcoatl, il serpente piumato del Messico, aveva la facoltà di risorgere dopo la propria morte e i Maya lo ritenevano un grande sovrano e portatore di civiltà. I Toltechi identificano con questo nome un vero e proprio sovrano, che era anche sacerdote di Tollan, il quale morì arso sul rogo nello Yucatan, proprio come la Fenice.
 Nell'America settentrionale, invece, troviamo Wakonda, che per i Dakota era l'uccello del tuono, mentre per i Sioux er ail "grande potere superiore", una divinità generosa che donava potere e saggezza.  

 Alla ricerca della Fenice abbiamo percorso in lungo e in largo il mondo. Si può vedere bene, dunque, quanto stia a cuore all'uomo l'idea della rinascita. E non potrebbe essere altrimenti, perché anche nella vita quotidiana abbiamo bisogno di pensare che, nonostante le sconfitte e le disgrazie, si può sempre ricominciare.

 Per questo dedico questo articolo a una mia carissima amica, che ora si trova con un pugno di cenere in mano. Le auguro con tutto il cuore di essere come l'araba Fenice, più forte della morte (in questo caso in senso figurato) e in grado di diventare ancora più splendida.
 Se l'uomo è riuscito a concepire una figura tanto bella, significa che anche noi abbiamo nella nostra natura il gene della Fenice che non muore mai e che non si arrende. 
Fonti:- MENEGATTI, Alessandra, "La fenice, animale mitologico";- Wikipedia, voce "Fenice";- Wikipedia, voce "Benu"; - Sito internet Astrocultura UAI, articolo "Un mito, una costellazione, un teatro - La Fenice: l'eterno ritorno";- VAGHI, Fabio, "Il canto della fenice".

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