La Festa di Natale a scuola prima del “proibizionismo”.

Creato il 30 novembre 2015 da Freeskipper
di Grazia Nonis. Mio nonno era ateo, ma suonava il clarinetto nella banda musicale della parrocchia. Su volontà di mia nonna, fece battezzare i figli ed entrò in chiesa anche quando si sposarono. Non obiettò mai contro il crocifisso appeso in cucina, l’albero di Natale davanti al camino o il presepe in salotto. Tradizioni di famiglia che, tramandate negli anni, andavano accettate. Non si poneva neppure il problema, così era e così doveva essere.
Sugli alberi di Natale s’appendevano mandarini e angioletti fatti a scuola col Das, mentre nel presepe c’erano solo il bambinello, la Madonna, Giuseppe, il bue, l’asinello e un po’ di muschio qua e là. Noi bambini si giocava con le statuine dei Re Magi, che scomparivano e per “miracolo” riapparivano a seconda degli anni. Non ricordo una Festa di Natale a scuola senza il presepe e i canti di noi bambini: Tu scendi dalle stelle o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo … O Dio beato...! E come scordare quelle dei miei figli, i presepi e i loro canti. E come vorrei assistere, prima o poi, a quelle dei miei nipoti, ai loro presepi ed ai loro canti. Non so se farò in tempo, perché alcuni buonisti del “religiosamente corretto” stanno schiacciando sotto i piedi tutto ciò che ci è stato tramandato.E prima o poi, ci costringeranno a radunare i nostri figli nelle cantine del condominio, con una sentinella davanti il portone, per passar loro il testimone, per non fargli dimenticare come si svolgeva la Festa di Natale a scuola prima del “proibizionismo”. Nel frattempo, ci stiamo anche battendo contro lo scippo del nostro crocifisso dalle scuole, dagli ospedali e dagli uffici pubblici, in difesa delle nostre usanze, del nostro passato. Ricordo che il crocifisso era appeso sul muro della classe sopra la testa dell’insegnante: Gesù sulla croce, corona di spine in testa, mezzo nudo, chiodi e sangue a mani e piedi. Vegliava su di noi, tranquillizzava gli animi, donava pace. Alzavamo gli occhi e lui era lì, con noi. Non eri obbligato a essere credente o a porti domande sul perché. Egli doveva stare proprio lì, su chi l’aveva appeso, su chi aveva deciso che quello era il Suo posto. Era una tradizione, e come tale doveva essere rispettata. Deve essere rispettata. E poco mi frega se urta, importuna, infastidisce o schifa la “sensibilità” del nuovo arrivato. Nel paese d’origine del novello italiano, che mai potrà definirsi tale se non disposto ad accettare i nostri usi e costumi, è vietato importare, imporre, suggerire o consigliare di abolire o sostituire simboli diversi da quelli tradizionali o religiosi del luogo. In quei paesi, cari buonisti anti-italiani, è vietato mostrare addirittura la caviglia, mentre in altri è fortemente “consigliato” il velo. Esigono il rispetto delle regole da parte di tutti, stranieri inclusi. Forse è il caso che noi si faccia altrettanto. Sarà banale, ma il proverbio: “paese che vai, usanza che trovi” dovrebbe essere più che mai attuale, imposto per legge o addirittura inserito nella Costituzione. Pare, invece, che della nostra sensibilità non freghi un tubo a nessuno. Anzi, chi si lamenta, contesta e polemizza affinché il presepe ed il crocifisso vengano tutelati (mi sembra di riferirmi ad animali in via d’estinzione) viene tacciato di razzismo e d’insensibilità verso le religioni altrui. Insomma, ci danno delle bestie. Mi sfugge una risata amara, mentre penso che la maggior parte di quelli che ci remano contro, e che vorrebbero cambiare le regole e la nostra italianità, sono proprio i nostri concittadini, gli insegnanti, i dirigenti d’istituto, gli intellettuali chic e molto scioc del nostro stivale e dei nostri stivali. E tra questi, proprio quelli che fino a ieri s’emozionavano durante la festa di Natale a scuola, quelli che s’asciugavano la lacrimuccia assistendo rapiti alla recita della propria figlia nei panni della Madonna, o del nipote che, con le ali posticce dietro la schiena, nella parte dell’angelo, cantava a squarciagola “Tu scendi dalle stelle …”.

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