La filosofia dei contrasti - parte 1

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Sin dagli esordi in cucina mi sono spesso posto degli interrogativi di carattere filosofico.
Perché un cibo è buono? Perché alcune persone non tollerano una cottura al sangue, quando quest’ultima è oggettivamente preferibile, oppure perché taluni adorano il tartufo e altri lo detestano?
In pratica: come e con che strumenti si classifica e si giudica un sapore?
Quale sarebbe il metro di giudizio, ammesso che ci sia, o lo strumento di misurazione che un individuo può utilizzare, oltre naturalmente al “palato” o al proprio retaggio gastronomico famigliare?
Un famoso proverbio latino dice: “de gustibus non est disputandum”, questa citazione può essere accolta in modo assoluto o è relativa?…
E soprattutto, è verosimile?
Insomma sin da giovane cuoco che sfornava quotidianamente pasti e pietanze, classificavo il livello dei clienti secondo la loro capacità di analizzare il valore, l’accostamento o il sapore di un piatto.
Tuttavia tali questioni erano e restano legate alla personale sensibilità e percezione di chi assaggia: in sostanza una questione soggettiva.
In quegli anni, durante il mio lavoro quotidiano, ero molto infastidito se un cliente non capiva la cottura al sangue del tonno o di un petto d’anatra e sfogavo la mia frustrazione contro i commensali tacciandoli d’ignoranza gastronomica o anche peggio… ancora non capivo che il problema non era la loro ignoranza ma la mia rigidità!
Sono passato attraverso svariate correnti gastronomiche effimere e riscoperte culturali, ho vissuto nelle grandi capitali ciascuna con le proprie tendenze, così come nelle località di mare o di montagna con i loro prodotti e la loro cucina tipica. In questo percorso di vita ho apprezzato le suggestioni caratteristiche delle più affascinanti regioni italiane e le relative culture enogastronomiche e ho viaggiato abbastanza da capire come l’essere umano si esprima molto meglio attraverso ciò che mangia e beve piuttosto che ciò che dice e pensa.
È notorio come nel nostro mondo professionale non si finisca mai di imparare e non si dovrebbe mai arrogarsi il diritto di considerarsi “finiti”, credo tuttavia di aver raggiunto una maturità sufficiente per riuscire a spiegare scientificamente le risposte che mi ponevo.
Questo “tarlo”di voler oggettivare il valore di un piatto non nasce all’improvviso ma, piuttosto lentamente, durante il lavoro di ricerca che quotidianamente approfondisco per offrire a miei allievi dei corsi di cucina un’esperienza, un prodotto, in pratica un’emozione nuova.
Ma, mentre spiegavo le mie ultime intuizioni e capivo il feed back dei miei clienti, maturavo l’idea che poteva essere possibile dimostrare ciò che in gastronomia è eccellente da un punto di vista quasi scientifico e quindi in modo OGGETTIVO.
Credo che solo un tarlo malsano possa indurre una persona e tanto più un cuoco a dimostrare una cosa di questo genere, soprattutto se il cuoco in questione ha sempre creduto in valori assoluti legati al mestiere, al senso artistico, al talento tecnico, alla cultura dei territori e dei prodotti ed infine alla raffinatezza del suo palato.
Considero questi valori ancora assoluti e adeguati a chi intraprende la “nobile professione”; riflettendoci sopra, che cosa vuol dire un palato raffinato? Perché un gusto è definito raffinato?
E soprattutto siamo sicuri che non si confonda il significato di raffinato con quella corrente gastronomica Francese ribattezzata “nouvelle cuisine” che sbarcò in Italia negli anni 80 raccogliendo più critiche che consensi?
Ad un certo punto della mia vita professionale, dunque, ho cercato una definizione di ciò che oggettivamente è eccellente senza che nessun parere soggettivo possa confutarne i contenuti. D’altronde una cosa simile si propone già nel mondo dell’enologia in cui attraverso una chiara e precisa descrizione dell’analisi sensoriale si arriva alla grandezza indiscussa di un vino.
Allora perché non codificare con lo stesso criterio la grandezza di un piatto?
Riconosco che quello che mi pongo è un ambizioso progetto, forse impossibile, assurdo o magari inutile, tuttavia voglio credere che ci possa essere un fondo di sensatezza nel mio obiettivo. In fondo non si vuole dimostrare che la cucina è matematica, sarebbe come dire che lo è la poesia, la pittura o la musica, ma come per tutte queste forme d’arte legate al talento, alla sensibilità e agli stati d’animo di chi le rappresenta, c’è un fondamento tecnico, conoscitivo e progettuale imprescindibile senza il quale ogni forma espressiva non ha senso.

Nel prossimo numero di Maggio, pubblicheremo il seguito de “La filosofia dei contrasti”. Tuttavia, chi fosse impaziente di scoprire le deduzioni di Roberto Dal Seno, potrà leggerle da subito sulla versione online di UP! all’ndirizzo www.upilmagazine.it

Roberto Dal Seno nasce a Genova nel 1970 e dopo il diploma alberghiero comincia alla fine degli anni ‘80 il suo apprendistato nei migliori hotels e ristoranti di quel soleggiato arco di terra della provincia di Genova chiamato “Tigullio”.

Tuttavia la passione per la cucina d’eccellenza lo convince a lasciare quegli incantevoli luoghi e nel 1992 si trasferisce a Parigi presso l’Hotel Balzac, dove cerca la radice della cucina classica per apprendere le basi della cucina francese. Dopo qualche anno, però ha l’occasione di ampliare ancora più la sua formazione gastronomica e, sull’onda delle prime contaminazioni orientali, decide grazie alle collaborazioni con l’Executive-Chef Giacomo Gallina, di trasferirsi a Tokio con un importante incarico nella lussuosa catena “Four Season”, per capire meglio la tendenza della cucina “Fusion”.
Finita l’esperienza nipponica, torna in Italia e forte del suo variegato bagaglio professionale diventa, giovanissimo, Executive-Chef, al Golf Hotel di Madonna di Campiglio.
Consolidata la sua formazione professionale, preferisce lasciare la montagna per tornare all’aria salmastra di mare e quindi entra finalmente nel mondo “Starwood Hotels”, prima come braccio destro dell’Executive-Chef del mitico “Cala di Volpe”, Franco Guardone e dopo qualche stagione diventa Chef di Cucina del ristorante “Pescatore”, locale di punta della Starwood Hotels nell’area della Costa Smeralda.

Durante la sua prima stagione vince il premio “Dinner Around” come migliore “cucina” del gruppo Starwood Hotels.
Siamo all’inizio millennio e Roberto, eclettico e instancabile, durante la stagione invernale avvia una carriera alternativa diventando “Food&beverage manager” , attività cui nei successivi quattro anni ci si dedica a tempo pieno operando in diverse strutture a Chiavari, a Firenze e a Washington DC.
Sono passati 15 anni dal suo primo viaggio e nel 2005 Roberto torna nella sua terra natale e all’antica passione. Fonda infatti un'attività di consulenze chiamata "SOLOCOSEBUONE" dedicata unicamente al variegato mondo della gastronomia cui offre i suoi servizi per nuove aperture, formazione del personale e comunicazione nelle imprese di settore. Opera sia in Italia in alcune strutture alberghiere e di catering, sia negli Stati uniti dove è consulente tecnico e docente in una catena di scuole di cucina molto conosciute.
Nel 2008 è volato a New York come rappresentante dell’ Hotel “Cala di Volpe” per il riconoscimento Condè Nast Traveler, premio al miglior ristorante d’hotel del mondo.

Dal 2009 è consulente fisso di Electrolux Professional, azienda leader mondiale di attrezzature e grandi impianti, con cui collabora per la diffusione e la formazione di nuove tecnologie e tecniche gastronomiche attraverso corsi e seminari che tiene in tutto il mondo.


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