La filosofia del bue

Creato il 23 ottobre 2011 da Marvigar4

LA FILOSOFIA DEL BUE

   Ogni giorno come psichiatra mi confronto con pazienti etichettati come depressi. La Psichiatria è in stretta connessione con la realtà sociale, la cultura e la situazione storica e politica. Questa semplice constatazione rappresenta il trampolino da cui mi sono lanciata per raccogliere certi dati, immergermi in certe riflessioni per alla fine arrivare a parlare della Filosofia del bue. Sia chiaro non voglio rubare il mestiere ai filosofi o ai sociologi, semmai vorrei invitare a riflettere su certi aspetti della Depressione. Con una certa presunzione forse potrei parlare di un caso di Serendipità, perché ero partita da certe osservazioni cliniche e sono arrivata ad altro, un terreno che non mi sarei certo immaginata di esplorare. Non ho la presunzione di aver scoperto l’America….

   Innegabilmente oggi la diagnosi di Depressione è molto frequente. Bisogna anche sottolineare che andrebbe fatta un’accurata revisione, perché attualmente si ha la tendenza a giudicare Depressione le reazioni emotive dell’esistenza di ciascuno di noi. Ciò significa che attualmente non si sopporta più la malinconia esistenziale o la sofferenza per una perdita affettiva o d’altro genere. Direi che oggi il modello culturale diffuso propina l’immagine del beato beota o, se preferite, dell’idiota di stato, o del cretino di routine. Lo vedo nella pratica clinica: se si litiga in coppia, si chiama subito il CMP (Centro Medico Psicologico) perché la coppia ideale, quella televisiva, trova sempre un’intesa felice e condivisa per l’acquisto della carta igienica…. Se un genitore commette il crimine di sgridare a voce troppo alta un figlio discolo, vedi pubblicità della Vodafone, subito si chiama lo psicologo. Se purtroppo muore una persona cara, non si é più liberi di vivere un dolore così personale, bisogna chiedere l’antidepressivo, come se un farmaco riportasse indietro la persona cara deceduta. In altre parole, nella nostra società ognuno di noi “deve vivere” secondo lo stile scintillante della pubblicità.

   “Se la felicità fosse nei piaceri del corpo, diremmo felici i buoi, quando trovano vecce da mangiare.” Eraclito[1]

   Già nella Grecia classica esisteva il problema. Quale? Non certo la Depressione, quella clinica ben inteso, che ha sempre accompagnato la Storia insieme alla Malinconia, emozione squisitamente umana, ma che non è malattia, bensì una finestra intima aperta sulla nostra angoscia esistenziale.
   Il problema cui fa cenno Eraclito é un modo di concepire l’umana esistenza come simile a quella di un bue.

   È un’impostazione trasversale che pervade il contesto sociale, un’apatia morale, una gretta indifferenza al Bello che esiste in ogni esistenza, basta solo saperla cogliere.

   Notoriamente il Bue è un animale di pacifica convivenza: mangia l’erba, rumina a lungo, defeca tranquillamente, certamente non immagina, neanche se ne preoccupa, che il suo post mortem contempli essere bistecca con l’osso o filetto. Neanche gli importa molto sapere se l’erba che rumina è verde, perché per lui il colore non esiste, o meglio non ne ha coscienza. Noi sappiamo che i colori esistono, legati anche a stati emotivi particolari. Di sicuro il Bue trascorre una vita abbastanza comoda… e a parte il finale neanche troppo spiacevole, ma comunque sia, bue o non bue, vivi non se ne esce… Se si fa attenzione l’esistenza di tanti umani è molto simile con l’aggiunta di molta più tecnologia che, nelle intenzioni di chi si è scomodato ad inventarla, avrebbe dovuto indurre gli umani ad usare di più i neuroni che su base genetica possiedono più di un bue. Paradossalmente la tecnologia che ci avrebbe dovuto aiutare ad essere più consapevoli di noi stessi spinge molti di noi ad essere un Bue che rumina e rumina e rumina accettando qualunque erba gli venga rifilata.

   Ho definito i termini della filosofia del bue grazie alla mia pratica professionale, osservando non tanto i miei pazienti, quanto le reazioni dei loro congiunti ed analizzando buona parte delle loro tematiche di colpa ed inutilità.

   Cominciamo con i parenti e gli amici dei pazienti. Va premesso che il depresso di per se stesso é persona antipatica, noiosa e scocciante perché la sua tristezza disturba notevolmente la serena digestione dei famigliari, degli amici, dei colleghi di lavoro. Insomma, per dirla in breve é un rompiscatole. I famigliari sono notevolmente indispettiti: insomma non gli manca niente per stare bene ma che altro vuole? Chiedono irritati mariti e mogli agli psichiatri. Ancora più seccati sono i figli che vedono turbata la loro esistenza. I depressi urtano gli equilibri famigliari, soprattutto quando la persona ha il suo lavoro, la famiglia, il benessere… insomma ha tutto, esattamente come il bue, che di certo non si lamenta, pazienza se poi diventa bistecca. Il depresso é una persona che ha una finestra interiore spalancata sull’angoscia esistenziale, quel sottile male oscuro a cui spesso si chiedono risposte senza soluzioni, l’angoscia di non sapere chi siamo; dove andiamo, cosa e per chi facciamo… Nella società dell’immagine pubblicitaria diventata stile di vita il Depresso è colui che ci richiama alla triste verità che non basta avere tutto per soffrire.

Dr.ssa Franca Colonna Crupi


[1] http://marteau7927.wordpress.com/2011/07/06/eraclito-di-efeso-frammenti-1/



Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :