Una scommessa persa in partenza, e non poteva che essere così. Trasformare in un film un libro inclassificabile, intimo e personale come La fine è il mio inizio era una 'missione impossibile' a priori, e destinata a rimanere tale. Ci sono libri che si prestano molto a un adattamento cinematografico, che sembrano scritti apposta (e a volte lo sono per davvero), e ce ne sono altri invece, come questo, la cui trasposizione risulta ardua non solo dal punto di vista 'tecnico' , ma soprattutto per l'impossibilità di rappresentare degnamente e concretamente attraverso le immagini lo spirito e l'anima del grande reporter toscano.
La fine è il mio inizio è un film debole e irrisolto, di una noia mortale. E anche totalmente inutile: chi conosce, apprezza e condivide la filosofia di vita e la visione del mondo di Tiziano Terzani, troverà in questa pellicola un confuso e trito collage di citazioni e rimandi al testo letterario, che nulla aggiungono a quanto già sa. Chi invece cercherà di avvicinarsi attraverso il film alla figura di Terzani in realtà ne capirà ben poco, in quanto nei 90 minuti di girato non si capisce praticamente nulla del personaggio, colpa anche di una regia miope e pretestuosa che trasforma il grande giornalista in una specie di predicatore new-age capace di raccontare solo ovvietà trite e sconcertanti, ignorando totalmente l'aspetto 'spirituale', filosofico, divulgativo e avventuroso della sua persona.
Il regista Jo Baier compie infatti una scelta stilistica coraggiosa, ma assolutamente controproducente: rinuncia del tutto ai flashback (e, di conseguenza, a mostrarci immagini e testimonianze di viaggio del protagonista) per concentrarsi esclusivamente sul potere evocativo della parola, puntando tutto sulla sceneggiatura e sull'interpretazione di un attore carismatico e di lungo corso come il 70enne Bruno Ganz. Peccato però che la partitura scritta dal figlio di Terzani, Folco (interpretata sullo schermo da un dimesso Elio Germano) e dal tedesco Ulrich Limmer si riduca a una lunga e piatta chiacchierata che non rispecchia nemmeno lontanamente lo stile ammaliante, impetuoso e coinvolgente del libro. Lo stesso Ganz, inoltre, evidentemente a disagio, gigioneggia in modo stucchevole e vuoto in una recitazione fin troppo teatrale e sopra le righe (alla quale, va detto, non giova nemmeno il brutto doppiaggio italiano, che fa parlare Terzani con un ruvido e irreale accento toscano, assolutamente non credibile).
VOTO: * *