“La Kurylenko volteggia flessibile e sinuosa, volteggia tanto, forse troppo, ma quel suo movimento che potrebbe essere scambiato per lo spot di un profumo d’autore, considerata la bellezza senza imperfezione dell’attrice, comunica quel girare su stesso dell’essere umano, quel credere di aver trovato il ritmo giusto per accorgersi dopo un po’ che il beat va nuovamente cambiato.”
Venezia è liquida. Decadente. Irrimediabilmente romantica. E’ fatta di sospiri. Di emozioni immortalate. La si può vivere milioni di volte, ma avrà sempre un sapore e una luce differente. Venezia è introspettiva, quasi fosse una proiezione della mente. Mi piace pensare che sia stata scelta nel 1932 dal conte Giuseppe Volpi di Misurata come luogo del primo Festival Cinematografico del mondo proprio per quel suo essere un set cinematografico naturale. Venezia è un red carpet di per sé. Chiunque passeggi per le sue strade, specialmente di notte, potrà sentirsi un protagonista di celluloide. E la gente del posto ama il cinema dal profondo. Signore di oltre 80 anni che al Lido non se la sentono più di arrivare acquistano l’abbonamento per “Esterno Notte”, iniziativa che si svolge all’arena di Campo di San Polo e che permette di non perdere tanti dei film in concorso.
E Venezia, città fluida come i sentimenti che assumono infinite sfumature e vibrazioni, sembra aderire come un guanto all’intensità emotiva, alla bellezza naturale e alle ombre di “To the Wonder”, ultimo lavoro del regista di culto Terrence Malick. In concorso alla 69. Mostra d’Arte Cinematografica, “To the Wonder” ha diviso pubblico e critica, tra applausi e i fischi, ma alla proiezione ufficiale in Sala Grande domenica 2 settembre alle ore 19:30 gli applausi sono stati di gran lunga superiori alle manifestazioni di disapprovazione. Stessa sorte di “The Tree of Life” presentato alla 64. Edizione del Festival di Cannes nel 2011, pellicola che divise e che poi fece guadagnare al regista texano la Palma d’Oro. Chissà cosa succederà con il Leone d’Oro. Ad accogliere il calore del pubblico c’erano la bellissima protagonista Olga Kurylenko e la nostrana Romina Mondello, fortunata attrice nazionale, agitatissima sul tappeto rosso, riuscita a sopravvivere al final cut dal quale ad esempio non è riuscita a sfuggire l’attrice hollywoodiana Rachel Weisz. Un’unica sequenza d’orgoglio nazionale in cui la Mondello recita in italiano e che le ha regalato l’emozione di essere diretta dall’amato regista filosofo. Malick come al solito grande assente. Non si è nascosto tra il pubblico per assistere alla proiezione come fece a Cannes.
Con “To the Wonder”, nuovo capitolo sulla ricerca dell’esistenza, l’autore sembra voler raccontare la difficoltà di portare avanti la leggerezza e la gioia iniziale dell’amore di coppia.
Visioni ipnotiche che mirano al sublime della natura. Meraviglia. Magia. La macchina da presa gira attorno ai personaggi, penetra i paesaggi, quelli parigini e dell’Oklahoma. Accarezza Marina, l’incantevole figura femminile della Kurylenko, ne segue i sospiri, i piaceri, i dolori, le increspature d’animo. La insegue come un innamorato. Una creatura divina e tormentata che a volte pare amalgamarsi all’ambiente stesso. Ben Affleck, il protagonista maschile Neil, è sempre al margine, inquadrato a metà o di spalle, figura passiva che non parla quasi mai. La Kurylenko, anche voce narrante, recita in russo, in francese e in inglese. Affleck in americano. Ma le battute sono ridotte quasi a zero. L’intenso Javier Bardem, prete in crisi che non riesce a trovare le risposte nella fede, utilizza lo spagnolo. Tante lingue per racchiudere una riflessione universale che non ha bisogno di parole. Un legame non può essere spiegato fino in fondo, sono emozioni che si susseguono, che si evolvono, i protagonisti credono di essere felici per un istante, ma in realtà non costruiscono nulla, le stanze sono spesso vuote o piene di cartoni da svuotare, si brancola nell’incertezza. <<Dove siamo, qual è la verità>>, è la domanda che il regista si pone, quando sentiamo di amare con tutti noi stessi? Le risposte possono essere tante, infinite.
In “To the Wonder” sono le donne ad innamorarsi, il punto di vista è femminile, accade a Marina e poi alla bionda Rachel McAdams, amica d’infanzia di Neil. Lui invece fa ben poco. L’ingranaggio ad un certo punto si spezza. <<Come ha fatto l’odio a sostituirsi all’amore, il mio cuore ad indurirsi>>, si domanda Marina. In realtà un motivo vero e proprio forse non c’è. Ad un certo momento quel qualcosa che ci fa volteggiare, che ci fa sentire oltre il terreno viene meno e si comincia a tornare giù in caduta libera. Perché ci innamoriamo? Perché poi tutto si spezza? La narrazione manca di nessi narrativi, dei rapporti di causa ed effetto, ma questa scelta autoriale sembra rispecchiare quella mancanza di connessione logica che a volte c’è nell’evolversi di un rapporto. Non importano i fatti in sé. Malick mette in secondo piano la contingenza. La Kurylenko volteggia flessibile e sinuosa, volteggia tanto, forse troppo, ma quel suo movimento che potrebbe essere scambiato per lo spot di un profumo d’autore, considerata la bellezza senza imperfezione dell’attrice, comunica quel girare su stesso dell’essere umano, quel credere di aver trovato il ritmo giusto per accorgersi dopo un po’ che il beat va nuovamente cambiato.
“To the Wonder”, distribuito da 01 Distribution a partire dal 14 Dicembre prossimo, merita la visione sul grande schermo, vinca o no il Leone d’Oro. Si uscirà dalla sala pieni di domande che potranno trovare risposta nella ricerca di un altro tipo d’amore, come quello per un figlio, e nella ricerca di libertà. E qui ritorna Venezia con le sue maschere. Si può indossare la maschera della libertà, ma sarà solo un’utopia perché liberi da se stessi non lo si sarà mai.
di Alessandra Recchia