La fonte meravigliosa

Creato il 27 novembre 2014 da Ninapennacchi


Trama: Ispirata a Frank Lloyd Wright, il genio americano dell'architettura, autore di capolavori come il museo Guggenheim, è la storia di Howard Roark, giovane architetto di talento, deciso a rinunciare a fama e carriera e a lottare contro i pregiudizi e le convenzioni, pur di affermare il proprio genio. Nella sua battaglia contro lo status quo e per il diritto all'arte vera, libera e creatrice, Howard si imbatte in ogni variante di corruzione umana, inclusi un rivale senza scrupoli e privo di morale, Peter Keating e un potente critico, Ellsworth Toohey. È anche la storia di un amore contrastato e struggente che si intreccerà indissolubilmente con la vita e la carriera di Howard.


Avevo letto la recensione di questo libro sul blog de La Leggivora e ho cercato subito di impossessarmene, e ora che l'ho letto vi dico che... ma no, prima di parlarvene, voglio fare una premessa. 
Questo romanzo è, per sua stessa definizione, "filosofico". In pratica l'autrice era una filosofa, tipo. Una filosofa individualista e, per dirla tutta, odiava il collettivismo/comunismo al punto da diventare delatrice ai tempi del maccartismo. Una persona che dunque, per valore predefinito, non era propriamente simpatica.
Perché vi faccio questa premessa? 
Perché io ho amato questo libro. Nonostante sulla carta, e nelle intenzioni dell'autrice, esso propugni un'ideologia nella quale non mi rispecchio. 
Come è possibile?
È possibile perché se questo romanzo si legge ancora, non è perché è un romanzo a tesi, ma perché è buona narrativa. E la narrativa ha regole precise e, ancora più importante, la narrativa (quella buona) non è imbrigliabile in semplici traslazioni/metafore di teorie più o meno reazionarie, neanche se è nell'intenzione dell'autrice/autore. Le regole della narrativa sono semplici: dato un eroe e un obiettivo da raggiungere, con un percorso irto di ostacoli e nemici, la storia risulterà interessante se i personaggi risulteranno realistici e se il conflitto tra essi sarà credibile all'interno del mondo creato dal libro.
E questo accade nel libro della Rand: la trama del romanzo è trascinante, i personaggi sono tratteggiati a tutto tondo e la storia d'amore è emozionante. Cosa più importante, il destino del protagonista ci sta dannatamente a cuore.
Inoltre, se in questo libro la tesi da dimostrare è nelle intenzioni della Rand "l'individuo è superiore alla massa", quello che ho letto io è stata la storia di un uomo geniale in lotta contro le convenzioni e la staticità di una società/cultura ottusa. In pratica, la Trama per Eccellenza, quella che da sempre attrae lettori e scrittori. Mettete Galileo al posto di Howard Roark e capirete cosa voglio dire. Questo libro non risulta bello per quello che in teoria voleva essere il suo messaggio filosofico, ma perché si appella alle nostre emozioni primarie, scatenate da contrapposizioni archetipiche, come "lealtà VS tradimento", "coraggio VS codardia", "intelligenza VS stupidità". 
Terminata la lunga e, a mio avviso, necessaria pippa, posso finalmente parlarvi di questo libro.
Mi è piaciuto moltissimo. Gli ho dato quattro stelline e non cinque perché a volte la Rand fa fare lunghi comizi ai suoi personaggi, aggiungendo parti che non appartengono strettamente alla narrativa e che dunque io, leggendo, ho saltato. Non tanto perché fossero propaganda, ma perché appesantivano il tutto in modo non spontaneo e soprattutto perché le didascalie, in narrativa, non. Ci. Devono. Essere.
Sfoltiti alcuni capitoli, dunque (ma meno di quel che potreste temere, dunque non lasciatevi condizionare da questo), quel che resta è altamente dopante, le pagine si girano da sole, le storie e le parole non sembrano mai abbastanza, così come i nostri occhi che vorremmo moltiplicare per leggere più in fretta.
Il libro ha una trama originale, che si fonda su una passione (l'architettura — o arte creativa tout court — o la pura e semplice forza d'animo?) che vibra nelle pagine. I suoi personaggi originali e vivi. Sia gli eroi che gli anti-eroi. Forse persino più questi ultimi. Perché Howard Roark, il protagonista, è talmente granitico nella sua genialità che, pur soffrendo per lui e per il fatto che venga osteggiato, riusciamo a gioire di ogni sua apparizione: sappiamo che non tradirà se stesso e la sua personale visione artistica, e la cosa ci tranquillizza fin da subito: non si venderà, a differenza dei tanti disposti a rinunciare all'integrità per fare strada. Dunque vedere la sua battaglia, nella quale ci identifichiamo, ci fa penare ma anche ci riempie di orgoglio, se capite cosa intendo, ci fa stare bene con noi stessi anche se abbiamo paura di soccombere. 
Seguire la storia degli altri, dei "nemici", ci affascina in modo diverso. Perché la creazione del vissuto di ognuno di loro ci colpisce per pathos ed empatia. Riusciamo a capire perché si vendono e la cosa ci spaventa. Gli aneddoti narrati, le conversazioni buttate lì che creano la scenografia, non sono fredde e repellenti, ma frammiste a malinconia e sentimento — pensiamo alle parole che si scambiano Peter Keating e Catherine Halsey, mentre leggiamo dei loro primi incontri; o a un passaggio come questo, che crea il passato dell'editore Wynand, un uomo che presenta luci e ombre: 
Aveva quindici anni, quando un mattino venne trovato nel fango, privo di conoscenza, con entrambe le gambe spezzate, battuto a sangue da qualche scaricatore ubriaco del porto. Era stato lasciato solo in un vicolo oscuro quando era stato percosso così ferocemente, ma non aveva subito perduto del tutto la conoscenza. Aveva visto una luce all’angolo di una strada ed era riuscito a trascinarsi fin là, strisciando perché poteva muovere solo le braccia, lasciando una lunga riga di sangue sul marciapiede. Aveva bussato ad una porta. Era un’osteria. L’uscio venne aperto e l’oste uscì sulla strada. Quella era stata l’unica volta in cui Gail Wynand aveva chiesto aiuto in vita sua. L’oste aveva gettato un’occhiata indifferente, che esprimeva una stolidità bovina, al ragazzo sanguinante ai suoi piedi. Poi, senza dire una parola, era rientrato nell’osteria sbattendo la porta in viso al ferito. Non voleva seccature, lui, non desiderava aver nulla a che fare con banditi o con le loro questioni. Molti anni dopo, quando ormai Gail Wynand era l’editore del «New York Banner», ricordava ancora i nomi dello scaricatore del porto e di quell’oste. Non fece mai nulla allo scaricatore, ma mandò in rovina gli affari dell’oste, gli fece perdere casa e risparmi, lo condusse al suicidio.

C'è una storia d'amore in questo libro, tra Howard Roark e Dominique Francon, una storia complessa tra due caratteri che bucano la pagina e rimangono impressi. Menti appassionate e non plasmabili, hanno un avvicinamento che è in realtà uno scontro di volontà, talmente violento che il primo rapporto sessuale tra i due è più una battaglia che un atto d'amore
E stato tratto un film da questo libro, nel 1949, che ho recuperato non appena terminata la lettura del romanzo. A differenza del libro, i personaggi secondari risaltano poco e Howard Roark non ha i capelli rossi (cosa imperdonabile). Mi ha comunque aiutato a chiarire alcuni punti nel difficile rapporto tra Howard e Dominique. Molti lo considerano un buon film ma io, sarà perché avevo letto prima il libro, non l'ho trovato particolarmente appassionante.

Come forse avrete capito, ragazze, io credo che questo libro sia non solo scritto molto bene ma, soprattutto, emozionante; e i suoi personaggi, se darete loro una possibilità, vi entreranno dentro.

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