Luis Devin, La foresta ti ha, Castelvecchi.
Una piccola premessa. Volevo scrivere questo post domani mattina, ma in verità sarò qui.
Alla presentazione del 26° Salone del Libro, a Torino. Alle 11.
C'è un motivo per cui sarò lì domani, oltre al piacere di farlo. Sarò lì anche perché è molto facile che ben presto, da gennaio, mi troverò a collaborare proprio con il Salone. Davvero, è così. Ma vi racconterò al momento giusto. Era solo per dirvi che la mia vita potrebbe un po' cambiare, non lavorando più solo da casa, ma che farò del mio meglio per mantenere un buon ritmo qui sul blog, e per raccontarvi sempre di volta in volta dei libri che leggo e che mi piacciono.
Dunque lo scrivo adesso, perché ci tengo molto. Questo è un libro che mi ha colpita per molte ragioni. Come spesso mi accade, è stato proprio il suo autore a segnalarmelo.
Non altrettanto spesso accade che gli scrittori siano così garbati, o che i libri segnalati siano poi davvero belli, secondo il mio modesto parere.
Luis Devin invece, oltre a essere gentile, a giudicare dalla piccola corrispondenza che abbiamo avuto (non è un mio amico), però, è anche, per me, davvero bravo come romanziere.
Ma, soprattutto, ha scritto un libro che ha svegliato nella mia mente sensazioni profonde e ancestrali.
Il romanzo, il cui sottotitolo è Storia di un'iniziazione, racconta la sua esperienza in Africa centrale, nella foresta, e di un rito di iniziazione con i pigmei Baka. Ovvero lui è andato lì, e si è integrato a loro, vivendoci insieme, compiendo studi e ricerche antropologiche. E questa la nuda trama.
Ma poi, c'è lo Spirito della Foresta.
Dovete sapere che, come vi dicevo qui, ho sempre sognato di diventare una scrittrice di romanzi. Fin da bambina, avevo le idee chiare. Solo che a me le cose troppo belle hanno sempre spaventata, quindi ho faticato molto a mettermi nell'ordine di idee e pensarci bene sul serio. Ci ho messo tanti anni a capire, cioè, che tipo di lavoro andava fatto. Detto questo, però, avevo un sacco di idee per la testa. E alcune le realizzavo anche, nel segreto della mia cameretta.
Una di queste era un romanzo ambiziosissimo, tutto magico e poetico ed espressionistico, ambientato nella foresta pluviale! La foresta era una mia ossessione. La vedevo, la temevo, la sognavo.
Facevo forse terza media e questo era un romanzo complicatissimo, e semplice insieme. Era la storia di una ragazzina di nome Shanì (il nome che avevo dato alla mia bambola: perché era quell'età in cui abbandonavi i giocattoli di pochi anni prima, ma li avevi ancora un po' freschi nella mente).
Questa ragazzina dunque si ritrovava sperduta in questa foresta e doveva sopravvivere. Evidentemente, mi avevano molto turbata a scuola le lezioni sulla deforestazione, mi terrorizzava l'idea di restare senza ossigeno. Come avremmo fatto a respirare, senza le foreste?
Il respiro in generale è un mio forte interesse ancora oggi.
Ci giro intorno, perché questo libro alla fine mi ha condotta dunque verso ritmi e tempi lontani, lentissimi, primitivi e candidi; quelli insomma di cui ho bisogno. Mi sono trovata quindi a cacciare con loro un elefante, e non ho potuto non pensare a Moby Dick. E ad ascoltare, non con le orecchie, lo Spirito Jenghi, che è colui da capire, da conoscere, da studiare, che determina le sorti.
Ho avuto un Maestro. L'ho visto tra queste pagine. Ne sono rimasta sorpresa. Non sapevo infatti che l'avrei trovato mai, e per di più nei libri. Che l'avrei trovato, cioè, dentro di me e non fuori. Non fuori.
Il Maestro dell'iniziazione ci esamina uno per uno, controlla che la pelle sia luccicante di olio e decorata e protetta a dovere.
Un Maestro che interpreta lo Spirito della Foresta, che lo traduce per te. E che controlla che tu sia abbastanza luccicante, che ti protegge.
Nel mezzo della foresta, tra i pericoli bui, nell'imminenza del pericolo vero. Lui ti protegge. Quanto desideravo questa cosa. Quanto è dolce la scrittura, quando fa questo. Quando ti prende per mano. Solo te, nessun altro, senza nemmeno darlo troppo a vedere. Nemmeno ti stringe o ti indirizza. Ti sfiora una mano. Ti guarda per vedere se ci sei, se brilli bene, se sei viva.
Dunque. Ogni singola riga di questo romanzo è piena di spirito, di respiro, di anima. E insieme di cose piccole, pesci, frutti, foglie, bambini. E di questo rituale che si prepara.
È un attimo.Tutto ti succede davanti. Intorno. Dentro. Un attimo dopo è tutto finito. Le grida della gente non fanno rumore, adesso, i tamburi vibrano sotto le mani senza emettere suono.
E ancora.
Atemè diceva sempre che ciò che siamo veramente, quello che diventiamo quando il battito del nostro cuore è più forte dei tamburi è qualcuno che neanche noi conosciamo. Io e gli altri ragazzi, i ragazzi qui vicino a me, non abbiamo più fiato. Il tempo comincia già a rallentare, rimane impigliato ai rami degli alberi. Ci sono pozze di sangue nero che scompare sotto terra. Pugnali buttati nell'erba alta, gli insetti che ci volano sopra. Con la faccia e le mani nel fango cerchiamo dentro di noi quello che i Baka chiamano njele. Il coraggio feroce. La furia del leopardo ferito alla zampa da una trappola, il morso del gorilla che protegge il suo branco. La rabbia sepolta in ognuno di noi che ci consente di non crollare, di andare avanti nonostante tutto. Dobbiamo solo trattenere il cuore più forte che possiamo, hanno detto gli anziani, dobbiamo impedire che salga troppo in alto, che si arrampichi fino alla gola.
Il coraggio feroce. Se non lo avete adesso per qualche ragione, il libro vi potrà aiutare, spero, come ha fatto con me.
E vi darà la notte scura. L'avventura. Il cuore.
Il coraggio feroce, però, soprattutto.