Lavorio interiore e purificazione
Se dovessimo definire il perdono nell’accezione più ampia, potremmo dire che è un atto privato che la persona offesa compie verso chi la offende e indica la rinuncia, dettata da un sentimento d’indulgenza e di comprensione, a punire chi si è macchiato di una colpa. Etimologicamente significa concedere un dono, cessando di provare risentimento verso chi ha fatto un torto. Nella Bibbia il termine greco “perdonare” significa letteralmente “lasciar andare”, come chi rimette un debito.
Non sono tutti predisposti all’atto del perdono e, se dal punto di vista etico o religioso molti possono essere d’accordo sul principio, metterlo in pratica appare difficile, perché l’onta è difficoltosa spazzarla via dalla mente. Eppure tutti abbiamo bisogno di questo esercizio: perdonare e farci perdonare.
Parecchie sono le motivazioni per cui si concede il perdono: per bontà, per altruismo, per empatia oppure perché aiuta a raggiungere un maggiore benessere personale; ma esso può essere concesso anche per convinzione religiosa e per una perfezione che si distacca dal sentire umano per essere vicini a una “sapienza” divina: «Credere – afferma Tony Blair - permette, soprattutto, di perdonare», e Alexander Pope dice che «Errare è umano, perdonare è divino», mentre Carlo Carretto afferma che nel perdono c'è veramente il volto di Dio; è più facile, infatti, e naturale rispondere all’offesa che perdonare.
La legge del taglione prevedeva anticamente che al male si rispondesse con uguale danno «occhio per occhio, dente per dente». Nell’Antico Testamento si fa dire a Dio quello che è il modo di sentire naturale. Così nel 2 Samuele (12, 9-13) Dio fece mettere per iscritto gli errori di Davide in modo tale che non venissero dimenticati; il perdono, infatti, non fa cessare il male commesso.
Perdonare non significa mai riconoscere un’azione sbagliata o come se non fosse mai accaduta, equivale a metterla da parte. Significa essere comprensivi perché tutti siamo imperfetti, «tutti commettiamo molti errori» (Gc 3, 2). La comprensione è data anche dal capire che se siamo contenti quando qualcuno ci perdona, allo stesso modo dovremmo agire con chi commette un errore verso di noi: «Fate anche agli altri tutto quel che volete che essi facciano a voi» (Mt 7, 12).
Dovrebbe indurci al perdono il fatto che forse non avevamo una valida ragione per offenderci: «Controlla i tuoi scatti d’ira: è da stolti lasciarsi dominare dalla rabbia» (Qo 7, 9). Anzi, come ci ricorda S. Paolo, bisogna cercare di perdonare prontamente, prima che la rabbia ci corroda: «prima del tramonto del sole» (Ef 4, 26).
Il perdono cristiano scaturisce da un atto gratuito dell’Amore per Dio e per i fratelli, senza tentennamenti, alla stregua di come Dio ha amato gli uomini dando per essi la propria vita: «Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno» (Lc 23, 34), «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6, 36). Qui la misericordia indica avere compassione, pietà col cuore (miserere aver pietà, e cor cuore), facendo traboccare i sentimenti in un atto di totale soccorso. Il perdono è, infatti, un atto che fa sciogliere i cuori più induriti.
Perdonare gli altri è la chiave per ricevere il nostro perdono da Dio: «Se voi perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è in cielo perdonerà anche a voi. Ma se non perdonerete agli altri il male che hanno fatto, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6, 14-15). E Sant’Ambrogio avverte: «Quando domandi perdono per te, allora è proprio quello il momento di ricordarti che devi concederlo agli altri». Dio pospone la preghiera che è rivolta a Lui allo stesso perdono ed esorta, prima di riconciliarci e, poi, presentare l’offerta (Mt 5, 23-24). E nella preghiera del Padre nostro ci fa dire «Perdona i nostri debiti, come noi li abbiamo rimessi (significato originale del termine, piuttosto che “li rimettiamo”) ai nostri debitori» (Lc 11, 4).
Gesù indica il metodo di approccio agli altri: «Se un tuo fratello ti fa del male, tu rimproveralo! Se poi si pente di quel che ha fatto, tu perdonalo! E se anche ti fa del male sette volte al giorno e sette volte al giorno torna da te a chiederti scusa, tu perdonalo» (Lc 17, 4). E aggiunge a Pietro: «No, non dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette!» (Mt 18, 22), ossia sempre. Spiegava un prete cinese, alcuni anni fa, che il termine dono deve essere moltiplicato all’infinito, per… innumerevoli volte.
Non basta dare perdono, siamo, a sua volta, oggetti di ricevere perdono. E per poterlo ottenere il primo passo è chiederlo, ciò vuol dire che si è presa coscienza del proprio sbaglio (presupposto per un corretto pentimento). Dio è lì pronto a correre incontro e a buttare le braccia al collo del figlio che a lui ritorna, come nella parabola del Figliol prodigo, ma non perdona chi commette peccati volontariamente e crudelmente e chi rifiuta di ammettere i propri errori, di cambiare e di chiedere scusa a chi ha fatto del male (cf. Proverbi 28, 13), a chi non mostra la sincerità della conversione (At 26, 20), a chi continua imperterrito nell’errore: «Se noi volontariamente continuiamo a peccare anche dopo che abbiamo imparato a conoscere la verità, allora non c’è più nessun sacrificio che possa togliere i peccati» (Eb 10, 26). Chi, infatti, non si pente diventa nemico di Dio, ed Egli non ci chiede di perdonare chi lui stesso non ha perdonato (cf. Sal 139, 21-22).
Anche se in quasi tutte le religioni viene insegnato a perdonare, il Sacramento del Perdono è una delle più straordinarie “ideazioni” che Cristo ha portato sulla terra: amare e, una volta rotto il legame dell’amore, ritornare a essere idonei ad amare e a essere amati.
Il perdono ha anche un valore umano e personale di non poco conto. Rinunciare alla rabbia e al risentimento può essere utile a mantenere la calma, a restare in salute e a essere più felici (cf. Pr 14, 30; Mt 5, 9).
Alcune riflessioni che mettono in risalto il valore del perdono meritano attenzione, anche se ce ne sono altre contrarie: Voltaire affermava che «chi perdona al delitto ne diventa complice» e Nietzsche riteneva che chi perdona è un debole, incapace di far valere i propri diritti; mentre Freud diceva che è una pretesa assurda, dannosa per la salute psichica dell’individuo, perché avrebbe fatto toccare il limite di sopportazione dell’Io rispetto alle pressioni pulsionali interne, producendo o una rivolta o la nevrosi.
Oggi da parte della psicologia c’è un interesse nei riguardi del perdono, perché in una terapia riuscita (richiede tempo e sforzo), induce il paziente a perdonare le offese, avendo un effetto catartico e di liberazione di energie, usate per riconquistare la fiducia in se stessi, per ristabilire relazioni dolorosamente interrotte, per rinegoziare le regole di un rapporto, ecc.: la pace e la serenità che produce non è paragonabile a qualsiasi altra vittoria.
Il perdono non è mai un gesto di debolezza ma di forza interiore non comune. Non è minimizzare il male ricevuto, né rifiuto di assunzione di responsabilità, paradossalmente è un atto egoistico di benessere e di tranquillità interiore.
Perdonare non vuol dire dimenticare anche se questo significherebbe liberarsi da un nemico interiore che è l’odio e l’odio ha bisogno di parecchie energie per essere sostenuto.
Il perdono suscita in chi lo riceve sentimenti di rimorso, di revisione dell’atto compiuto, aiuta a fare un percorso di ravvedimento: «Queste cose - fa dire il Manzoni a fra’ Cristoforo - non fanno più per me; ma non sarà mai ch’io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire di aver goduto la sua carità, d’aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono».
Il perdono richiede una certa empatia, significa mettersi nei panni dell’altro e accettarlo nella sua identità, cosa non sempre facile ma neanche impossibile. Richiede un lavorio interiore per abbattere la vendetta e la rabbia che solo una persona allenata può raggiungere.
Dopo queste considerazioni, mi piace concludere con una riflessione di Chuck Palahniuk, scrittore giornalista statunitense: «Se riusciamo a perdonare ciò che gli altri ci hanno fatto... Se riusciamo a perdonare ciò che noi abbiamo fatto agli altri... Se riusciamo a prendere congedo da tutte le nostre storie. Dal nostro essere carnefici o vittime. Solo allora, forse, potremo salvare il mondo».
SALVATORE AGUECI