Cristiana Raffa ci racconta il suo mentore. Una figura che nonostante le difficoltà della guerra e della vita ha saputo superarle con la forza d’animo. Fino al 30 settembre è possibile donare due euro inviando un sms al numero 45507 o cinque euro dal telefono fisso per “Cambia la vita di un bambino” iniziativa di Mentoring Usa Italia Onlus
Il 19 luglio del ’43 faceva un gran caldo, l’aria era pesante e umida. Mia nonna era sul tram quando sentì suonare le sirene, quello si fermò e scese di corsa insieme agli altri, si rifugiarono dentro un portone. “I botti che sentivo. Stavano bombardando lì vicino. Non ero distante da San Lorenzo, pareva che crollasse il mondo. Una paura che non ti faceva ragionare. Eravamo abituati alle sirene e a nasconderci nei sotterranei, ma quella volta stavano veramente distruggendo tutto”. Poi uscì dal portone e si avviò a piedi al lavoro, ché il negozio andava comunque aperto, forse. Arrivata lì decise di no e con una sua collega ripresero la strada di casa. A piedi, la circolare era bloccata. “Passai dentro San Lorenzo, era una via obbligata per me che dovevo arrivare dai Parioli a San Giovanni. Quel che ho visto non lo dimenticherò mai: fumo, grida, pianti, case sventrate. Fili dappertutto, blocchi di polizia e tutti dicevano che stava arrivando il Papa”.
Arrivò a casa nel pomeriggio, sua madre vedova e i suoi due fratelli stavano bene. Preparò una valigia e trascorse la notte seduta sulle scale del palazzone del quartiere popolare. “Mica lo so dove pensavo d’andare con quella valigetta, ma tanto a casa non riuscivo a starci”. Poi invece all’alba tornò su e si mise a letto per un po’, prima di tornare a lavoro. Solo che la sua vita non fu più la stessa. Arrivarono gli americani e lei era bellissima. Troppo bella per andare a lavorare sola ogni giorno, con due fratelli maschi che non la lasciavano respirare. Doveva a quel punto sposarsi e sistemarsi.
Per lei scelsero un operaio: stipendio fisso e poche pretese. Lei non lo amava, nelle foto del matrimonio ha una faccia da funerale. Lui giocava a biliardo e la tradiva, tornava spesso tardi la notte. Poi lui, mio nonno, morì presto per una malattia che lo costrinse a letto tanti anni, e lei continuò a lavorare sodo per mantenere il figlio e la casa. “Io veramente felice non lo sono stata mai. La guerra, tuo nonno assente, la fame, sempre tanto lavoro. Tu invece devi cercarla la felicità, sei intelligente, studia, vivi, cerca sempre di stare bene”. Oggi ha 84 anni, e, anche se la schiena è curva per tutto il peso dei dolori, è sempre bella, sempre elegante. Mia nonna mi ha insegnato la forza e mi ha insegnato le favole.
Lei, che ha mezzo secolo più di me, capisce tutto di noi trentenni. Perché l’Italia sta messa come negli anni del dopoguerra? Forse. Ma forse anche peggio. Io però guardo lei, le chiedo di raccontare quella storia, e penso che ce la farò sempre.
Ho deciso di raccogliere i suoi racconti per mio figlio, per spiegargli un giorno come era Roma città aperta e come si viveva con poco. Ma soprattutto vorrei raccontargli la forza.