Mascara X, 1993. Courtesy Paci Contemporary
Nato a Salvador, Bahia, nel 1947 Mario Cravo Neto è cresciuto in una famiglia di artisti, (il padre Mario Cravo Junior e’ considerato il piu’ importante scultore brasiliano ed uno degli artisti più significativi dell’America Latina) e ha iniziato a interessarsi di scultura e fotografia all’età di diciassette anni.
Ama dire: «O baiano é uma família à parte do resto do Brasil» (La gente di Bahia è una famiglia a parte dal resto del Brasile).
Infatti, Bahia è uno sposalizio felice di credi religiosi e filosofici che, l’artista, cerca di comunicare attraverso le sue immagini. Bahia, la città magica del sincretismo religioso, dove chiunque, a qualsiasi credo appartenga, sente l’influenza del Candomblé, e non si sottrae Mario Cravo Neto, anzi lo “studia” e trae quegli insegnamenti che lo arricchiscono. Il Candomblé è l’universo di credenze importate dagli schiavi africani. È una struttura religiosa come tutte le altre: liturgia, cerimonie, sacerdoti, santi protettori, gli orixas, e un dio supremo. Gli orixas, re e regine del lontanissimo passato, furono i progenitori dell’umanità e divennero semidei. Il loro compito è fondamentale, santi protettori e intermediari fra gli uomini e dio, governano tutte le attività e ogni manifestazione della natura. L’essenza della religione degli orixas è l’armonia fra gli esseri umani e gli elementi della natura.
Adolescente, viaggia con la famiglia in Europa dove scopre musei e luoghi storici e incontra numerosi artisti. In particolare, Emilio Vedova e Max Jakob dischiudono nuovi orizzonti creativi al giovane Mario Cravo Neto.
Rientrato in Brasile nel 1965 termina gli studi e nel 1968 si iscrive al “Art Student League” di New York, diretta da Jack Krueger, uno dei precursori del movimento concettuale. Due anni di studio che sono stati fondamentali per la sua formazione di uomo e di artista. A New York, produce la serie di fotografie a colori On the Subway e una serie di fotografie in bianco e nero sugli aspetti dell’abbandono e della desolazione dell’essere umano in una grande metropoli. Nel suo studio di Soho, sviluppa anche una ricerca tridimensionale sul terrarium: la cultura delle piante in uno spazio chiuso. Rientra in Brasile nel 1970, sull’orlo di una crisi nervosa da stress. In questi anni espone per la prima volta alla XII Biennale di San Paolo. L’opera è una grande installazione delle “sculture viventi” create a New York. A questa prima esperienza, seguiranno numerose mostre personali e collettive in Brasile e all’estero.
Nel 1975 è vittima di uno spaventoso incidente automobilistico che lo costringe a letto per quasi un anno. In quel periodo di inattività, la sua attenzione si concentra sulla fotografia “messa in scena”, avvalendosi della collaborazione degli amici che lo vanno a trovare (i soggetti delle sue immagini) e di oggetti di uso comune. Dall’esperienza di allora Mario Cravo Neto si è dedicato alla fotografia, sviluppando il suo stile inconfondibile che ha raffinato negli anni successivi, fino ai recentissimi lavori.
Dal testo critico di Giuliana Scimé: “È l’arte di Mario Cravo Neto, che sì è fotografia nella fisicità dell’oggetto, ma soprattutto è lucidità intellettuale nel saper far emergere l’universo del nostro sentire che ignoriamo, volutamente soffochiamo, e che è in noi. Carne, sangue e muscolo di un’altra natura inconcreta e terribilmente palpitante. Però, Cravo Neto deve compiere dei passaggi di conoscenza per svincolarsi e giungere alla lucidità intellettuale dell’opera compiuta. L’opera è come una lastra di cristallo purissimo che protegge verità ignorate. Si guarda attraverso i segni incisi sulla superficie e avviene la rivelazione. Le esperienze plasmano l’essere, se le sa accogliere e filtrare“.
L’artista è mancato nel 2009.
Premi:
1980/1995 the award for Best Photographer of the Year from the Paulista Association of Art Critics (APCA);
1996 the National Prize of Photography Funarte;
2004 the Mario Pedrosa Award from the Brazilian Association of Art Critics.
Galleria d’Arte Paola Meliga (meliga.artgallery@gmail.com)