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La fotografia di matrimonio anarchica: intervista al fotografo Daniele Muratore

Da Ragdoll @FotoComeFare

Muoversi nell’ambito della fotografia di matrimoni non è facile, emergere ancora meno. La concorrenza è eccessiva, anche se non sempre è una concorrenza di buona qualità.

E poi, diciamoci la verità, questo genere fotografico è altamente predisposto alla ripetitività, alla mancanza di verve. In quante occasioni ti sei annoiato mentre guardavi le fotografie di matrimonio di qualche conoscente?

Per questo, quando incontro qualcuno che è in grado di affrontare il percorso del professionismo nella fotografia di matrimoni con eleganza, manifestando una forte impronta personale, resto colpita.

Ho conosciuto Daniele alcuni anni fa, in occasione del matrimonio di un’amica, e i suoi scatti mi sono piaciuti tantissimo.

Per questo motivo ho voluto intervistarlo, perché anche i lettori potessero imparare qualcosa dalle sue “lezioni”. Per me, lezioni di spontaneità, freschezza, ma anche di maturità professionale.

In questo articolo curiosiamo nella professione di Daniele, ci lasciamo ispirare dalle sue foto, cerchiamo di scucirgli qualche segreto. E spendiamo alcune interessanti parole sull’importanza di restare “anarchici” in fotografia (continua a leggere per capire di cosa stiamo parlando).

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Ciao Daniele e grazie per avere accettato questa intervista. Per presentarti ai nostri lettori vorrei iniziare con una domanda semplice: quando e come è nato il tuo interesse per la fotografia?

Ciao Eleonora, grazie a te per questa possibilità.

Rispondo a questa domanda diretta, direttamente e senza giri di parole. Mio padre, essendo già a suo tempo un amatore di quest’arte, mi ha fin da piccolo messo in contatto con gli strumenti fotografici.

Ho cominciato a fare le mie prime foto con una vecchia e affascinante Rolleiflex biottica. Vedere l’immagine riflessa e capovolta dal mirino a pozzetto per me era magico.

Già da adolescente mi regalarono la mia prima reflex, una Yashica 108 multiprogram! Me la ricordo ancora: mi sentivo già un professionista con quella macchina al collo.

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In quale momento hai sentito di volere (o dovere) passare dalla fotografia amatoriale al professionismo?

Ho cominciato quasi per caso. Inizialmente pensavo alla fotografia solo come una passione che mi accompagnava nei vari momenti di svago o ispirazione.

Poi, nel 2002, un amico che apprezzava le mie foto mi propose di presentarmi a uno studio fotografico dove egli stesso lavorava. Da lì iniziai un paio di collaborazioni freelance con alcuni studi fotografici nella mia città, Catania.

La cosa cominciò a piacermi e continuai ad approfondire e a perfezionare le mie conoscenze tecniche. Anche frequentando corsi organizzati dalla regione o da associazioni fotografiche.

Tutt’ora non smetto mai di studiare, in quanto credo che un professionista vero debba sempre tenersi aggiornato tecnicamente e sulle nuove tendenze.

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Perché hai scelto proprio la strada della fotografia di matrimonio?

Inizialmente ho visto nella fotografia di matrimonio una pura fonte di guadagno.

Nel senso che non essendo la mia città paragonabile a Milano, o a qualsiasi altro centro dove svariati settori fotografici e commerciali sono più attivi, quello del matrimonio mi sembrò il più immediato per guadagnare qualcosa in più.

Poi però, col tempo, mi sono accorto che vivere quei momenti di gioia, tipici di questi eventi, mi faceva stare bene e spesso mi emozionava davvero, personalmente.

Con l’ingresso del digitale professionale poi, come penso abbiano potuto fare in molti, ho dato libero sfogo alla creatività, potendo sperimentare cose nuove e rompere gli schemi standard che in fin dei conti l’analogico ti costringeva a seguire.

E ho così scoperto che la fotografia di matrimonio può diventare una vera “arte nell’arte”.

Oggi, quando torno a casa con delle belle immagini di matrimonio, alla fine di una giornata intensa di lavoro, sono felice come quando riesco a realizzare cose che magari non hanno niente a che fare con i matrimoni, ma sono considerate più artistiche.

Credo, insomma, che per un fotografo matrimonialista che prenda sul serio il suo lavoro, ogni matrimonio è un’ opportunità per poter esprimere la sua sensibilità, il suo gusto, la sua visione, come si fa in qualsiasi espressione artistica.

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Quali difficoltà hai avuto all’inizio? È filato tutto liscio?

Non ho avuto particolari difficoltà. Forse gli unici intoppi li ho avuti quando ho deciso di creare un sito: sappiamo tutti che oggi è un corredo fondamentale per un professionista che si voglia proporre ai nuovi media.

Ho sempre fatto tutto da solo e quindi ho dovuto applicarmi un bel po’ prima di realizzare qualcosa di accettabile. Ma con il tempo sono riuscito a capire molte cose e adesso sono più che soddisfatto.

Qual è stato il fattore determinante per il tuo successo, quella cosa che ti ha permesso di aumentare il tuo giro d’affari?

L’essermi connesso al mondo della rete!
I primi tempi sono stato, un po’ per l’età, un po’ per formazione culturale, un tantino restìo alle nuove forme di comunicazione.

Sono stato tra gli ultimi dei miei amici a essersi iscritto su Facebook. Poi poi ho capito e visto che, invece, volente o nolente, ci si deve adattare e anzi sfruttare il più possibile le potenzialità comunicative e commerciali di questi mezzi.

E, come ti dicevo, ho creato un mio sito personale e cerco di pubblicare e tenere aggiornati i miei profili social: Facebook, Instagram, Google plus, ecc.
Questo per i fotografi di nuova generazione è sicuramente fondamentale: nessuna foto, per quanto bella possa essere, riuscirà mai a vendersi da sola.

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Il famoso fotografo matrimonialista Jonas Peterson ha detto: “Non penso che il problema sia trovare la tua voce creativa, secondo me si tratta più di accettare quella che già possiedi dentro di te”. Sei d’accordo con questa affermazione? La tua voce creativa ti ha colto alla sprovvista?

Io penso sia un misto: bisogna naturalmente capire le proprie emozioni, seguire i propri gusti e cercare di esprimere sempre sé stessi anche quando si parla di matrimoni, dove il fattore commerciale gioca un ruolo comunque molto importante.

Dall’altra parte bisogna anche cercarla fuori di sé, traendo ispirazione nel mondo esterno, guardando le creazioni di altri artisti o semplici amatori. La nostra interiorità è nulla se non si confronta col mondo esterno.

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Pensi che ci siano dei cambiamenti in atto nel settore della fotografia di matrimonio? Cosa sta cambiando e perchè?

Credo che dall’avvento del digitale tutta la fotografia, e non solo quella matrimonialista, abbia subito un radicale cambiamento!

Certo qui non possiamo scendere nei particolari, ma in generale è cambiato l’approccio nell’interpretazione del matrimonio.

Con l’analogico si aveva un atteggiamento più o meno statico e uguale negli anni. Si lavorava molto in posa e con schemi ben stabiliti e uguali a se stessi. Tanto che ancora oggi si fa fatica a togliersi di dosso l’immagine di fotografo di matrimonio vecchio stile.

Oggi invece si sperimenta di più, l’avvento del digitale ha permesso a molti fotografi in erba di tirare fuori il proprio talento nascosto, un talento che, forse, i mezzi di un tempo non avrebbero evidenziato.

Certo c’è più concorrenza, ma dal punto di vista qualitativo si è prodotto un vantaggio: ci sono molti più bravi fotografi e tante più belle foto.

Questo naturalmente ti costringe, nonostante l’età e se vuoi restare sulla cresta dell’onda, a tenerti sempre aggiornato sulle nuove tendenze e le nuove attrezzature, ad una velocità che per i fotografi delle vecchie generazioni sarebbe stata inconcepibile.

Per non parlare, come accennavo prima, del settore marketing e web, di cui si devono conoscere almeno gli elementi base per una buona ed efficace comunicazione.

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Voglio fare l’impicciona: cosa c’è nel tuo zaino fotografico? Facci curiosare…

Non posso fare a meno di portare due reflex full-frame con due ottiche zoom montate: in genere un 24-70 mm e 70-200 mm. E un paio di flash che però tendo ormai a usare pochissimo, solo lo stretto necessario.

Mi piace la luce naturale e preferisco mantenere l’atmosfera reale.

Le nuove reflex full-frame hanno un’ eccellente resa anche in scarse condizioni di luce, se associate anche a dei buoni obiettivi luminosi.

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Se dovessi scegliere un solo obiettivo da portare su un’isola deserta… scherzo, volevo dire a un servizio di matrimonio, quale sarebbe e perché?

Beh, su un’isola deserta, però, porterei sicuramente un grandangolo spinto, così da potermi fare tanti selfie ambientati! Peccato però poi non poterli pubblicare sui social e fare finta di essere in vacanza a divertirmi…

Per il matrimonio invece scelgo sicuramente uno zoom, il 24-70 ad esempio, che è quello che uso di più.

Innanzi tutto perchè è un tipo di ottica che mi permette di lavorare più velocemente e di cambiare prospettiva quando proprio non riesco a muovermi e nei matrimoni capita spesso di trovarsi in case piccole e affollate di gente o chiese in cui non puoi spostarti liberamente.

E poi perché con il 24-70 posso creare sia immagini ambientate, che sono quelle che preferisco, sia ritratti più ravvicinati. Insomma un’ottica abbastanza versatile.

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Mi sembra di capire, leggendo il tuo blog, che non sei tra i detrattori della fotografia fatta con gli smartphone, anzi la apprezzi. Pensi che la fotografia con i cellulari potrà ritagliarsi uno spazio persino nell’ambito della fotografia di matrimoni, oppure secondo te è giusto che esistano generi fotografici da preservare nella loro “purezza”? In altre parole: esistono generi fotografici che andrebbero percorsi esclusivamente reflex alla mano?

Credo più che altro che bisogna rimanere aperti nei confronti di qualsiasi innovazione o tendenza. È poi il gusto di ognuno che sceglierà se quella cosa gli piace o meno. Non amo affatto il termine “purista”. I cosidetti puristi rimangono fermi e non si evolvono.

Sono piuttosto per un’anarchia del metodo e delle tecniche. Solo così si ha progresso, in tutti i settori, compresa la fotografia di matrimonio. Chi si cristallizza in un metodo non potrà mai gustare la bellezza della vita e dell’arte, che è in continuo movimento.

Anzi, credo proprio che questo dovrebbe essere un atteggiamento generalizzato in una società libera. Bisogna lasciarsi “contaminare”.

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Alcune tra le tue foto che mi colpiscono di più sono quelle che propongono tanti “livelli”, tanti strati che si sovrappongo nell’immagine e offrono quindi più visioni della stessa scena. Si tratta di riflessi sui vetri, suppongo. Ti va di spiegare ai nostri lettori come ottenere immagini simili?

Le foto che giocano su piani diversi secondo me sono le più interessanti. L’occhio è guidato dai vari elementi ad interpretare il tutto, costringendo l’osservatore a fare un lavoro attivo di lettura e immaginazione.

Spesso, in situazioni come il matrimonio, è facile trovare degli specchi con cui giocare e richiamare all’attenzione una scena che magari sarebbe rimasta nascosta dietro la macchina fotografica o il soggetto principale.

Oppure vetri su cui si riflette un’altra scena, così da dare, a volte, anche un tocco più astratto alla scena ripresa.

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Post produci le tue fotografie? Che genere di regolazioni fai e quali programmi usi?

Sì, lavoro molto in post-produzione. Non ho delle regole ben precise e di solito seguo l’ispirazione del momento.

I programmi che uso di più sono naturalmente Photoshop e da qualche anno Lightroom, che oramai ha quasi soppiantato Photoshop per l’elaborazione e lo sviluppo dei file raw (e non solo).

Quest’ultimo è un ottimo strumento per la lavorazione e l’organizzazione del flusso di lavoro, che mi sento di consigliare a chi non lo ha ancora acquistato come strumento principale del proprio lavoro.

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Qual è stato il tuo peggiore momento, professionalmente parlando?

Non ho mai vissuto momenti davvero brutti. Ho sempre avuto un approccio molto rilassato al mio lavoro e cerco sempre di analizzare ogni problematica una alla volta, con la convinzione che qualsiasi cosa si possa risolvere.

Tuttavia, durante il primo periodo in cui ho iniziato a fare questo lavoro professionalmente, è stata dura.
Non avevo molta esperienza riguardo gli aspetti commerciali e comunicativi, di cui mi sono dovuto occupare mettendo da parte la macchina fotografica.

E il migliore?

Il migliore è stato completare il mio primo servizio fotografico da solo. Ero molto giovane e anche tanto spaventato. Una grossa responsabilità.

Però appena ho avuto l’album tra le mani è stata una grande soddisfazione. E ho capito che essere pagato per ciò che ti piace fare è una gran bella cosa!

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Qual è la cosa che avresti voluto sapere quando hai iniziato a fotografare ma che non sapevi ancora?

Probabilmente il fatto che, oltre alla tecnica, bisogna esercitare la mente e il cuore per ottenere foto che hanno un valore. Che ogni regola di composizione o estetica si può mettere da parte se dietro una foto c’è qualcosa da raccontare.

Insomma: che è bene sì, soprattutto all’inizio, imparare le regole classiche della fotografia, ma che è altrettanto importante fregarsene.

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Cosa suggerisci a chi vuole diventare professionista oggi? È ancora possibile diventarlo? Cosa dici a quelli che danno la colpa delle loro difficoltà al fatto che oggi tutti hanno una reflex?

Non è assolutamente colpa della diffusione di massa delle reflex. Sono solo cambiati i modelli e le strategie commerciali.

Ho conosciuto tante persone molto amareggiate delle loro foto di matrimonio, perché le hanno fatte fare ad amici o parenti solo perché appassionati di fotografia e avevano comprato una bella macchina fotografica. Poi, vedendo le foto si rendevano conto che il servizio era penoso, e, se gli andava bene, si salvavano fortunosamente solo un paio di scatti.

ll bisogno del professionista c’è ancora e ci sarà sempre, perché non basta avere delle buone reflex per fare buone foto.

Il mio consiglio è di tenersi sempre aggiornati e di guardare tanto le foto di altri professionisti come esercizio visivo.

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Al di là del tuo lavoro come professionista di matrimoni coltivi dei progetti fotografici personali? Vuoi parlarcene?

Mi è sempre piaciuta l’idea di poter rappresentare la vita quotidiana, le cose semplici, anche gli oggetti inutili che ci circondano.

Non so ancora spiegarti bene il perché, ma probabilmente per portare l’attenzione alla superficialità e insignificanza che la società di oggi vive, appesantita da modelli e stili di vita allucinanti, distratta da oggetti che gli servono solo per alienarsi sempre di più. Vorrei realizzare immagini scarne, quasi anonime, lontane dalla patinatura sempre più in voga.

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Chi sono i tuoi fotografi di matrimonio preferiti?

Non c’è ne uno in particolare. Però mi piacciono i reportagisti. E comunque guardo spesso le foto dei miei colleghi.

Ci sono dei siti internet dove si possono trovare degli ottimi professionisti e prendere ispirazione. Wedding Photojournalist Association (wpja), Mywed, o la stessa Associazione Nazionale Fotografi Matrimonialisti (ANFM).

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E negli altri generi fotografici?
Beh lì vado a colpo sicuro: Cartier Bresson per la composizione e le geometrie, Sebastião Salgado per la purezza delle immagini. 
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Tutte le fotografie di questo articolo sono di Daniele Muratore, ogni diritto appartiene all’autore. Puoi guardare l’intero portfolio di Daniele sul suo sito personale.


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