La fuga delle lepri di Caccinaccio

Creato il 22 dicembre 2010 da Zarizin

(Alla Clo, perché qualche gioia al mondo c’è)

Venti anni fa, nella valle di Caccinaccio era in atto la fuga delle lepri. E da cosa mai fuggissero non si poteva immaginare.

La valle era in piena di belle lepri carnicine, le si poteva vedere fin dalla malga. Discendevano in larghi marosi sommossi lungo le coste delle colline, levandosi con potenti colpi di frusta in salti violenti e rapinosi. Comparivano di sopra le gronde dei monti, dai cunicoli interrati, dai cespi dei sentieri, come piccoli fiori sbocciati, e venivan trasportate via dal vento in nugoli rossicci attraverso i verdi della primavera. Fluivano queste da un versante quelle dall’altro, congiungendosi in frotte unite unite lungo le colline e la pianura, nella loro folle corsa inarrestabile.

Io me la ricordo, la fuga delle lepri, perché c’ero anch’io quando successe, e stetti insieme a Nini e a tutti gli altri a guardarle correre dalle colline. Nini non era piú un ragazzo, aveva la Clara giú in paese e pensava a maritarsi, ma tutti continuavano a chiamarlo Nini come da quando era bambino. Noi già eravamo troppo vecchi per tenerci i soprannomi della nostra gioventú, ma con Nini si faceva un’eccezione. Lui, quando tutti si era ragazzi, era il piú giovane di noi, e cosí il soprannome gli era rimasto. Mi ricordo ancora che lo guardammo saltare come un cerbiatto che scendeva in piana su dalla malga. E mi ricordo tutti, Che ciai, Nini, che ciai? E Nini, Le lepri, son tutte che scappano come il Diavolo le insegua. Che dici? E Andammo a vedere.

Avreste dovuto vederci, noi che non si credeva di aver già trent’anni, a sgambettare come ragazzi su per i colli, e a sbucciarci e sporcarci le mani e chi se ne importa. La prima cosa, pensai io d’in cima, era che quando eravamo stati ragazzi sul serio ci saremmo venduti le fionde per poter raccontare una storia del genere, e ora con tutti quegli anni di ritardo mi pareva un’ingiustizia. Stavamo tutti ritti ad ammirarle da un minuto ormai, ma Nini ci guardò tutti e disse: Eccole.

Dovevano andare da mezzora, ci disse Lorco, perché lo scalpiccio degli animali sulle piagge le aveva tutte quante rinfangate. Ma quelli continuavano a sbucare da ogni fosso, come polle del terreno, e parevan non dover finire mai. Nini e Lorco ci fecero strada per un viottolo lungo la costa, a vederle piú da vicino. Era dove un tempo andavamo a giocare e a arrampicarci dopo la scuola, coi vecchi faggi incanutiti che si lasciavano scalare tolleranti, come vecchi nonni che pazientassero ai pizzicotti dei loro nipoti. Ora ci andavamo solo a funghi quand’era stagione, coi cestini e i paraorecchie, e i vechi faggi sembravamo noi.

Da un ciglio rialzato ci sporgemmo tutti a guardare di sotto. Fatemi spazio, diceva Nini, che di qui non si vede niente. Nardi scese qualche passo lungo il declivio, badando di non scivolare, come era accortezza dei pescatori di torrente. E proprio tali e quali al correre di un fiume parevano le lepri, spumando coi ciuffi levati delle loro code ed esondando di quando in quando dagli argini del loro corso come spruzzi di corrente. Non paion spaventate, ci disse Nardi. E che fanno? Corrono. E Nini, Io, ragazzi, mi ci tuffo.

Nini ci era cascato davvero, una volta, nel torrente della Longa, sopra la malga. E noi a corrergli dietro dalla riva, coi bordoni in mano, e a schiamazzare come ossessi. Era cosí che Nini si era trovato a conoscer la Clara, perché lei abitava a valle e aveva la finestra che dava sul torrente. Ce lo pescò tutto fradicio, la Clara, ma senza un osso rotto, e se lo tenne in casa una settimana con le borse d’acqua calda che sua madre gli infilava fra le cosce nude, e Nini che arrossiva come un bambino. Questa volta, Nini, gli dicevamo tutti, questa volta…

Di’, Nini, te la ricordi l’ultima volta che sei sceso in un torrente, lo raccomandammo, te la ricordi la volta della Longa? Ma Nini si era già buttato disotto. Noi ci dicemmo, Cauti, e lo seguimmo. Le lepri scorrevano e scorrevano, infilandoci le caviglie, scivolando contro gli scarponi, ma senza temerci. Fuggivano, fuggivano le lepri, ma da cosa mai fuggissero non si poteva immaginare. Ce n’erano che la corsa aveva azzoppato, ma pur si spingevano giú per la valle, e di tanto piccole da esser di nidiata, ma pur seguivano le loro madri, e di vecchie, e di asciutte, e di grasse, e tutte pur si precipitavano per la valle, fuggendo, fuggendo, ma da cosa mai fuggissero non si poteva immaginare.

Scendemmo il corso della corrente fino alla valle. Allora Nardi ne acciuffò una per la collottola. Era vivida, muscolare, con cosce di nervi che frustavano l’aria come bracci d’alberi, e la pupilla liquida, vivace. E lasciala correre, disse Nini. Ma da che scappano? Chi lo sa. Giunti alla foce, in fondo alla valle, le correnti di lepri confluivano in una fiumara viva e ribollente che si perdeva oltre i boschi e le colline.

Seguimmo il corso ancora qualche metro, ma già la corrente di lepri si faceva piú fitta, e didietro, dai picchi, dalle falde e dai pendii, il fiume animale rombava e tonava, e cavalloni scendevano aprendosi e sperdendosi per tutta la valle. Nini levò le braccia voltandosi verso di noi, invaso dal corso dirotto di animali, come a godersi una brezza fiumana, e cominciò a ridere, assordato dalla valanga reboante. Anche noi, uno dopo l’altro, cominciammo a ridere insieme a Nini in quella tempesta in fuga. E prima che lui ci gridasse: Andiamo! Correvamo già tutti assieme con le lepri lungo la valle di Caccinaccio, fuggendo, fuggendo, ma da cosa mai fuggissimo non si poteva immaginare.

Emiliano Garonzi

http://lalepreilghiroelachimera.blogspot.com/

Pubblicato in: Racconti

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