Ogni tanto, mi capita di essere distratto da uno strepitio insistente proveniente dal mio giardino, simile al gracchiare del corvo ma più gradevole. So già di che si tratta ma il più delle volte non resisto all’idea di affacciarmi o uscire per godermi lo spettacolo di due gazze che hanno nidificato su un albero. Ignoro le ragioni del loro schiamazzo ma ho come l’impressione che vogliano farsi notare. Eh già, perché la Pica pica (è questo il nome che Linneo diede alla gazza) è un uccello vanitoso oltre che iperattivo. Ne ha ben donde, la sua silhouette elegante e raffinata merita d’essere ammirata. Per colpa di Rossini, questo corvide gode di una fama ingiusta. La gazza ladra, è così che la definì il compositore romagnolo, o meglio definì la povera Ninetta, la ladra di posate protagonista dell’opera lirica di cui è molto famosa l’ouverture. In realtà, anche se la gazza è attirata da tutto ciò che luccica, non è più ladra di quanto non lo sia qualsiasi scimmia o rapace. Si dice che nasconda nel nido gli oggetti metallici che trova in giro e che ami depredare i nidi degli altri volatili. Ho letto recentemente che in una ricerca fatta esplorando cinquecento nidi di gazza in un grande parco non è stato trovato alcun oggetto scintillante, neppure un pezzo di stagnola. Cionostante, la sua fama di Arsenio Lupin è incrollabile. Basta osservarla per qualche istante e ci si rende conto che se proprio volessimo paragonarla a un essere umano, non importa se reale o personaggio di fantasia, sarebbe più giusto attribuirle il titolo di Lord George Brummel. Questo nobile inglese detto il “Beau”, cioè il Bello, vissuto a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo, è infatti considerato l’arbiter elegantiae per eccellenza. Pare che nessuno sapesse vestirsi con gusto come lui e gli attribuisce il merito di avere inventato la divisa maschile classica “giacca blu con pantaloni grigi” in un’epoca in cui si preferivano i colori sgargianti. Fateci caso, l’eleganza della gazza è inequivocabile, come quella di Lord Brummel. Il suo piumaggio bianco e nero, dai riflessi che variano dal blu notte al verde metallico, è semplice ma degno di una sfilata di moda in uno Yacht Club. Si ha l’impressione che indossi uno smoking lucente. Ma è da come saltella fra i rami o nel prato che si evince la grazia, la levità, la finezza di questo ballerino con le ali arrotondate. Quando le spiega in volo, rendendosi protagonista di lunghe planate e veloci battiti, ricorda il triplano del celebre asso dell’aviazione tedesca Manfred von Richthofen, il “Barone rosso”. A dire il vero, il suo Fokker era verniciato di rosso ma ciò che balzava agli occhi era la croce patente nera su fondo bianco. A proposito di Germania, è proprio nella mitologia tedesca che la gazza figura come la messaggera degli dei. Peccato che taluni la considerassero anche l’uccello della dea della morte Hel, e perciò fosse additata come un uccello del malaugurio. Sempre in Germania, dove non era molto amata, le fu attribuito il titolo di uccello delle streghe e degli stregoni, e quindi del patibolo. Sciocchezze! Mi è difficile ravvisare nelle gazze del mio giardino questi caratteri nefasti. Per la maggior parte della giornata, le gazze se ne stanno sui rami degli alberi e non dettano cattivi presagi. Scendono al suolo solo per procurarsi il cibo e non è raro che saltellando sul prato, sollevando la lunga coda, si avvicinino al punto dove mia moglie lascia briciole di pane e riso cotto destinato a chiunque (dai passerotti alle lucertole) sia di passaggio e abbia fame. So che le gazze temono le cornacchie e i rapaci, le cui sortite sono frequenti nella zona collinare in cui vivo. Quando un falco monitorizza il territorio, le mie gazze si agitano oppure cambiano aria. Consentitemi una battuta: non devono nemmeno cambiarsi d’abito qualora decidessero di andare a teatro. Delle gazze apprezzo un’altra caratteristica; sono una specie monogama. Le coppie, una volta formatesi, restano insieme per tutta la vita. Le femmine depongono una sola covata all’anno, solitamente in primavera. Entrambi i genitori si occupano dei piccoli, che imparano a volare e lasciano il nido mediamente 22-24 giorni dopo la nascita. Osservando le gazze insediatesi chez moi, ho avuto modo di notare altre caratteristiche. Mi sento di affermare che sono furbe, guardinghe e sospettose, molto territoriali e perciò combattive. Non temono i mie cani (interessati solo ai piccioni) e tanto più l’uomo. In caso di pericolo, i loro strilli acuti sono vertiginosi. L’estate scorsa, dopo il tramonto, si scatenò il putiferio in un fondo abbandonato e incolto che confina con la mia proprietà. Grazie al fascio di luce di una pila, mi accorsi che le mie gazze stavano cercando di dissuadere un predatore notturno, forse un gatto selvatico. Ci riuscirono. Ho letto da qualche parte che condividono con l’uomo, i primati e i delfini la prerogativa di riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio. Mi piace immaginare che non sappiano resistere alla tentazione di chiedere allo specchio delle brame chi sia la gazza più bella del reame. So, inoltre, che sono in grado di usare gli oggetti come strumenti. È dunque impossibile, oltre che ingeneroso, rimanere indifferenti di fronte a una creatura così ingegnosa. Certamente non ci riescono i poeti. Ada Merini fu colpita da questi uccelli; nel 1958, scrisse venti poesie-ritratti dal titolo La gazza ladra. Di Salvatore Quasimodo amo una bellissima poesia, contenuta nella raccolta Ed è subito sera, che si conclude con queste parole “Ride la gazza, nera sugli aranci”. Anche oggi è scesa la sera e sono contento di avere ammirato le mie gazze. A un tratto, mi è venuto in mente che secondo una vecchia leggenda la gazza è l’unico animale che si rifiutò di entrare nell’arca di Noè. Pur tuttavia, restò appollaiata sul tetto della mastodontica imbarcazione per tutta la durata del diluvio. Questo mito ha generato la credenza che quando una gazza costruisce il nido sul tetto di una casa, il proprietario della stessa deve compiacersi perché quella casa non crollerà mai. Sarà vero? Poco importa. A me basta sapere che il mio Lord Brummel e la sua compagna se ne stanno sui rami dell’acero per provare una piccola emozione e un presentimento. Non può crollare la casa in cui regnano il rispetto e l’amore.
Ogni tanto, mi capita di essere distratto da uno strepitio insistente proveniente dal mio giardino, simile al gracchiare del corvo ma più gradevole. So già di che si tratta ma il più delle volte non resisto all’idea di affacciarmi o uscire per godermi lo spettacolo di due gazze che hanno nidificato su un albero. Ignoro le ragioni del loro schiamazzo ma ho come l’impressione che vogliano farsi notare. Eh già, perché la Pica pica (è questo il nome che Linneo diede alla gazza) è un uccello vanitoso oltre che iperattivo. Ne ha ben donde, la sua silhouette elegante e raffinata merita d’essere ammirata. Per colpa di Rossini, questo corvide gode di una fama ingiusta. La gazza ladra, è così che la definì il compositore romagnolo, o meglio definì la povera Ninetta, la ladra di posate protagonista dell’opera lirica di cui è molto famosa l’ouverture. In realtà, anche se la gazza è attirata da tutto ciò che luccica, non è più ladra di quanto non lo sia qualsiasi scimmia o rapace. Si dice che nasconda nel nido gli oggetti metallici che trova in giro e che ami depredare i nidi degli altri volatili. Ho letto recentemente che in una ricerca fatta esplorando cinquecento nidi di gazza in un grande parco non è stato trovato alcun oggetto scintillante, neppure un pezzo di stagnola. Cionostante, la sua fama di Arsenio Lupin è incrollabile. Basta osservarla per qualche istante e ci si rende conto che se proprio volessimo paragonarla a un essere umano, non importa se reale o personaggio di fantasia, sarebbe più giusto attribuirle il titolo di Lord George Brummel. Questo nobile inglese detto il “Beau”, cioè il Bello, vissuto a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo, è infatti considerato l’arbiter elegantiae per eccellenza. Pare che nessuno sapesse vestirsi con gusto come lui e gli attribuisce il merito di avere inventato la divisa maschile classica “giacca blu con pantaloni grigi” in un’epoca in cui si preferivano i colori sgargianti. Fateci caso, l’eleganza della gazza è inequivocabile, come quella di Lord Brummel. Il suo piumaggio bianco e nero, dai riflessi che variano dal blu notte al verde metallico, è semplice ma degno di una sfilata di moda in uno Yacht Club. Si ha l’impressione che indossi uno smoking lucente. Ma è da come saltella fra i rami o nel prato che si evince la grazia, la levità, la finezza di questo ballerino con le ali arrotondate. Quando le spiega in volo, rendendosi protagonista di lunghe planate e veloci battiti, ricorda il triplano del celebre asso dell’aviazione tedesca Manfred von Richthofen, il “Barone rosso”. A dire il vero, il suo Fokker era verniciato di rosso ma ciò che balzava agli occhi era la croce patente nera su fondo bianco. A proposito di Germania, è proprio nella mitologia tedesca che la gazza figura come la messaggera degli dei. Peccato che taluni la considerassero anche l’uccello della dea della morte Hel, e perciò fosse additata come un uccello del malaugurio. Sempre in Germania, dove non era molto amata, le fu attribuito il titolo di uccello delle streghe e degli stregoni, e quindi del patibolo. Sciocchezze! Mi è difficile ravvisare nelle gazze del mio giardino questi caratteri nefasti. Per la maggior parte della giornata, le gazze se ne stanno sui rami degli alberi e non dettano cattivi presagi. Scendono al suolo solo per procurarsi il cibo e non è raro che saltellando sul prato, sollevando la lunga coda, si avvicinino al punto dove mia moglie lascia briciole di pane e riso cotto destinato a chiunque (dai passerotti alle lucertole) sia di passaggio e abbia fame. So che le gazze temono le cornacchie e i rapaci, le cui sortite sono frequenti nella zona collinare in cui vivo. Quando un falco monitorizza il territorio, le mie gazze si agitano oppure cambiano aria. Consentitemi una battuta: non devono nemmeno cambiarsi d’abito qualora decidessero di andare a teatro. Delle gazze apprezzo un’altra caratteristica; sono una specie monogama. Le coppie, una volta formatesi, restano insieme per tutta la vita. Le femmine depongono una sola covata all’anno, solitamente in primavera. Entrambi i genitori si occupano dei piccoli, che imparano a volare e lasciano il nido mediamente 22-24 giorni dopo la nascita. Osservando le gazze insediatesi chez moi, ho avuto modo di notare altre caratteristiche. Mi sento di affermare che sono furbe, guardinghe e sospettose, molto territoriali e perciò combattive. Non temono i mie cani (interessati solo ai piccioni) e tanto più l’uomo. In caso di pericolo, i loro strilli acuti sono vertiginosi. L’estate scorsa, dopo il tramonto, si scatenò il putiferio in un fondo abbandonato e incolto che confina con la mia proprietà. Grazie al fascio di luce di una pila, mi accorsi che le mie gazze stavano cercando di dissuadere un predatore notturno, forse un gatto selvatico. Ci riuscirono. Ho letto da qualche parte che condividono con l’uomo, i primati e i delfini la prerogativa di riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio. Mi piace immaginare che non sappiano resistere alla tentazione di chiedere allo specchio delle brame chi sia la gazza più bella del reame. So, inoltre, che sono in grado di usare gli oggetti come strumenti. È dunque impossibile, oltre che ingeneroso, rimanere indifferenti di fronte a una creatura così ingegnosa. Certamente non ci riescono i poeti. Ada Merini fu colpita da questi uccelli; nel 1958, scrisse venti poesie-ritratti dal titolo La gazza ladra. Di Salvatore Quasimodo amo una bellissima poesia, contenuta nella raccolta Ed è subito sera, che si conclude con queste parole “Ride la gazza, nera sugli aranci”. Anche oggi è scesa la sera e sono contento di avere ammirato le mie gazze. A un tratto, mi è venuto in mente che secondo una vecchia leggenda la gazza è l’unico animale che si rifiutò di entrare nell’arca di Noè. Pur tuttavia, restò appollaiata sul tetto della mastodontica imbarcazione per tutta la durata del diluvio. Questo mito ha generato la credenza che quando una gazza costruisce il nido sul tetto di una casa, il proprietario della stessa deve compiacersi perché quella casa non crollerà mai. Sarà vero? Poco importa. A me basta sapere che il mio Lord Brummel e la sua compagna se ne stanno sui rami dell’acero per provare una piccola emozione e un presentimento. Non può crollare la casa in cui regnano il rispetto e l’amore.
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