La gentilezza è una pratica in disuso – salvo eccezioni

Da Mizaar

Non sono ancora rientrata a scuola; mi ” godo ” il ripristino delle funzioni ottimali del mio piede, a casa. Non è che ozi, figuriamoci, sono facente funzione della mia funzione di referente tramite i soliti mezzi tecnologici. Ma stamani sono stata  in sede per completare una procedura che altrimenti non avrei potuto fare. Si trattava di inviare all’Ufficio Scolastico Regionale le ” solite ” carte per rabberciare un’altra manciata di ore utili ai nostri ragazzi disabili. Anno nuovo, cose vecchie. Tuttavia tra le novità abbiamo un nuovo dirigente reggente, il terzo in tre anni. Sicché anche questo si divide tra due scuole con quello che l’essere in due sedi, e non possedere il dono dell’ubiquità e dell’onnipresenza, ne consegue. Andiamo dunque con A., nell’altra sede, a fargli firmare un po’ di carte. Tornando a scuola, la nostra, mi squilla il telefono. Numero sconosciuto, ma rispondo: Pronto sono A. Attimo di panico, A. chi? Ah sì preside, buongiorno mi dica. Senti volevo ringraziarti per quello che hai fatto stamattina e per quello che stai facendo a casa. Imbarazzata rispondo: Non si preoccupi preside, è quello che faccio sempre, da sempre, non ci sono problemi. No, voglio davvero ringraziarti, non è da tutti e… bla bla bla. Chissà per quale strana ragione abbiamo – ho – perso l’abitudine alla gentilezza. Chissà per quale strana ragione pensiamo che tutto sia dovuto e ci comportiamo di conseguenza – che non è per niente così, ma davvero per niente. In tanti anni di scuola non m’è mai capitato, e dico mai, che un dirigente mi telefonasse per ringraziarmi di qualcosa, qualsiasi cosa. Che sia una tattica di gestione aziendale del personale della scuola? Una scorciatoia per procurarsi il consenso unanime e indiscusso? Un accattivarsi ” furbo ” della collaborazione fedele dei collaboratori? Non mi faccio illusioni e non voglio pensare che un sistema possa cambiare ad un tratto, ma una parola gentile, un sorriso amichevole – un vero sorriso amichevole – cambiano l’aspetto del quotidiano, dell’impegno – il mio sempre quello, ma incentivato forse da qualcosa di più concreto che un: Abbiamo questo problema, risolvilo! detto come pretesa senza appello.