Sandman è un’opera maestosa per diversi motivi, ma uno in particolare sta nel fatto che Neil Gaiman non si focalizza troppo sul protagonista che dà il titolo alla serie, preferendo spesso e volentieri mettere in primo piano gli uomini comuni, scrivendo storie di quotidiano dolore o di semplice gioia invece che immaginarie battaglie tra potentissimi dei o supereroi.
Ma sbaglieremmo nel pensare che, per far questo, l’autore sacrifichi la componente fantastica di un fumetto che appartiene dichiaratamente a quel genere narrativo. Anche quando Gaiman parla delle persone normali, lo fa con un tocco di magia che rende speciali quelle storie: può essere l’incontro con Morfeo stesso o con un altro degli Eterni, o può essere perché la persona in questione finisce in una situazione ben poco normale (come accade nel ciclo La Locanda alla Fine dei Mondi).
Ma, più semplicemente, per raccontare quello che gli sta a cuore l’autore sfrutta quella che è la base logica di tutto il fumetto: il sogno.
Il sogno è l’essenza stessa di questo fumetto, e del suo protagonista, che dei sogni è signore e padrone. Non è un caso se spesso e volentieri nella serie viene evidenziata la connessione tra “sogni” e “storie”, come se Morfeo attraverso lo stato onirico delle persone avesse anche influenza e potere sulla narrazione, intesa nel suo senso più ampio. E la cosa è messa in evidenza nei suoi incontri con William Shakespeare
Il lavoro certosino compiuto dall’autore in tal senso si può notare in alcune storie più che in altre, storie nelle quali l’influenza che il sogno ha sui protagonisti diventa determinante e quasi inquietante, come da abitudine della scrittura di Neil Gaiman e come normale per una situazione che appare ai margini della sfera del conoscibile.
Il primo esempio da portare all’attenzione si rintraccia in Un Sogno di Mille Gatti. In questa storia s’ipotizza che, in passato, i gatti fossero la razza dominante sulla Terra, mentre gli uomini erano minuscoli esseri al loro servizio. La situazione sarebbe cambiata allorquando tutti gli uomini sognarono il rovesciamento di quell’ordine delle cose: questo sogno collettivo portò al mondo attuale, dominato dagli esseri umani. La gatta che ha ricevuto da Sandman, ovviamente in forma di gatto, questa informazione continua a predicare questa storia, sperando di convincere un numero sufficiente di suoi simili a sognare insieme di tornare a dominare il mondo, modificando nuovamente la realtà.
Un secondo esempio è Il Gioco della Vita. In questo caso non si tratta di una singola storia, ma di un intero ciclo di largo respiro, decisamente significativo per quanto riguarda le coordinate che l’autore fornisce su come interpretare il reame dei sogni.
Con quest’avventura, Neil Gaiman ha modo di mettere due punti fermi: da un lato conferma quanto già affermato poco sopra, cioè che i sogni e chi vive al loro interno possono, in determinate circostanze, interagire con la nostra realtà, riuscendo anche a modificarla in modo sensibile. Dall’altro viene sconfessato il mito per cui un sogno è per forza qualcosa di bello e fatato oppure è un incubo. Esattamente come nel mondo della veglia, anche nel sogno esistono le sfumature di grigio fra il bianco e il nero e quindi un mondo originariamente positivo può macchiarsi assumendo ombre e ambiguità. Sostanzialmente, Gaiman sottolinea che un nostro sogno, una volta creato, smette di essere solo nostro e può prendere la sua strada, trasformandosi in qualcosa di imprevedibile rispetto a quello che era in partenza
L’ultimo caso che qui si vuole analizzare è la storia Ramadan.
In questa celebre novella si racconta del califfo Hārūn al-Rashīd, tormentato dalla caducità delle meraviglie del suo regno che, come tutto ciò che è mortale, presto o tardi sarebbero svanite e consumate. Per questo motivo propone a Morfeo di portare la città di Baghdad nel regno dei sogni, di modo che si conservi per sempre nello stato di splendore in cui era in quel momento.
In questo caso, il sogno assume una funzione conservativa, strettamente legata al ricordo. Il regno di Sandman non conosce lo scorrere del tempo, per cui è particolarmente adatto a trattenere in “stato di grazia” persone o cose che immesse nel flusso temporale della realtà non esistono più, o non sussistono nella loro forma migliore. Il ricordo è l’unico posto, ancorché metafisico, in cui ritrovare quanto si è perduto nel passato e quindi una qualche consolazione. Ma il ricordo si sviluppa tramite il racconto, e, come si è visto, la narrazione e il sogno sono due situazioni che spesso coincidono. Da qui, la suggestiva teoria che, partendo dall’esempio di Baghdad, rende lecito immaginare il regno del sogno come un’enorme banca dati in cui sono realmente custodite le reliquie del passato, conservate nel loro stato ideale e disponibile alla memoria delle persone che le portano nel cuore.
La cura con cui Neil Gaiman ha analizzato le caratteristiche del sogno si riflette in questi tre esempi, che spiccano per l’energia con cui le teorie dell’autore sui sogni vengono espresse. Le storie in questione lasciano il segno perché mettono in evidenza la connessione stretta tra la forza del racconto e il fascino delle tesi che vengono veicolate attraverso le storie di Sandman. In esse più che in altre, si vede come il sogno possa influire sulla realtà, essere un rifugio e un deposito in cui lasciare qualcosa fuori dalla transitorietà del tempo.
Questi esempi mostrano chiaramente come l’autore inglese abbia impostato ogni storia raccontata attorno al concetto di “sogno” in ogni sfaccettatura che gli ha riconosciuto e attribuito, rendendolo causa e conseguenza al tempo stesso di tutto quello che vediamo nel corso dei 75 albi di cui è composta la testata.
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