di Giuseppe Leuzzi. È settembre 1939, la guerra è sopra Danzica. Grass ha “quasi dodici anni” e gli piace “ancora stare in grembo alla mamma”- ci starà ancora “a quattordici anni”. Era un’altra infanzia, i nipoti di Grass nonno oggi “penano tra brutte pagelle o insegnanti pateticamente agitati”, e “gemono come se dovessero trascinare pietre pedagogicamente soppesate, come se i loro anni di scuola trascorressero in una colonia penale. C’era Hitler. C’era già stato in Grass, nella poesia “Kleckenburg, castello di pace”, 1965, nel ritratto in casa – ma quante case non ne avevano il ritratto? Qui invece Hitler è soprattutto una “trascuratezza”.
La memoria di Grass è puntata sulla confessione dell’arruolamento precoce nelle SS. Anzi, di più: Grass confessa subito la pratica di non chiedere, per non sapere – per fingere di non sapere. Dello zio Franz, padre di quattro figli, fucilato a Danzica dopo l’occupazione, come tutti gli altri combattenti, per essere stato coinvolto nella difesa del palazzo delle Poste Polacche, senza che nessuno
in famiglia ne faccia poi il nome. Del compagno di scuola Wolfgang Heinrichs, che ha il padre socialista e ascolta radio Londra, per poi scomparire a un certo punto, forse nello Strutthof, il lager vicino a Danzica, i ragazzi ne conoscevano bene l’esistenza – gli Heinrichs sopravviveranno, passando dalla Danzica polacca del dopoguerra alla Repubblica Democratica, anche Wolfgang, che alla riunificazione sarà “valutato”, cioè “ridotto a uno zero assoluto”. O di Questecosenonlefacciamo, il dolicocefalo biondo da manuale della razza germanica, compagno di Grass al servizio civile obbligatorio, ubbidiente in tutto ma non all’uso del fucile, e per questo anche lui scomparso, per sempre. Ma presto lo scrittore se ne dimentica e noi pure.
Leggendo la memoria a distanza, smaltite le polemiche artefatte del lancio editoriale, sul Grass imberbe volontario di Hitler, c’è umanità in questa Germania – non insolita in Grass, nella sua burbera polemica antitedesca. Anche i tedeschi sono bambini, a lungo. E anche loro mangiano cipolle, sbucciandole, una sfoglia dopo l’altra, e lacrimandoci sopra come tutti – se non sono cipolle di
Tropea. Ma è, involontariamente, anche una memoria molto informativa, più di molte opere di storia, per quanto voluminose. I tedeschi sapevano, e non gliene fregava. Degli ebrei, e degli antinazisti. Anche dei paesi che aggredivano. Anche Grass, all’epoca e per lungo tempo, prima della “politica”..
Grass è sempre pieno di umori e si fa leggere. Ma, poi, al di fuori di tutto, non solo delle cose che tutti i tedeschi non vogliono sapere. Racconta due viaggi in Italia. Il primo, dopo una delusione d’amore, nel 1947 o 1948, lo dice mai più eguagliato, per emozioni ed esperienze. A
Palermo viene anche accettato all’Accademia di Belle Arti, a scuola di scultura, la sua grande ambizione, senza i tanti preamboli dell’analoga Accademia di Düsseldorf. E s’innamora ricambiato di una diciassettenne, Aurora Varvaro, che poi abbandonerà come tutto nella sua vita. Dichiarando però Aurora“il mio amore non vissuto ma sopravissuto”, per cinquant’anni. Senza più, anche se Aurora non è nessuno: è una pittrice e ceramista conosciuta, una delle personalità di spicco delle Eolie, dove risiede. Solo per la Lettera 22 Olivetti, sua compagna immarcescibile di lavoro, ne ha tre, Grass si commuove, dedicandole l’ultimo capitolo.
La colpa è degli altri
Più che la confessione dell’arruolamento volontario nelle SS, per cui è diventata famosa, questa “Cipolla” è un esercizio in egotismo, l’ennesimo, di Günter Grass. Con la tecnica malapartiana, da lui perfezionata, del vero-inverosimile, di cui si porta testimone, ineccepibile. Non c’è il nazismo, non c’è neppure la guerra, c’è un grande Grass. E un po’ la mamma, poco – liberato, Grass se ne dimentica: non ha “nessuna nostalgia di casa”,come non ha “nessun senso di colpa”. Il Gruppo ’47 è una manica di burocrati, poche righe. Le donne sono trasparenti, meri trastulli per sgravarsi, anche le innamorate, talvolta degnate di un nome. Perfino papa Ratzinger, che Grass si annette compagno di dadi e di filosofia tra i prigionieri di guerra, è poca cosa. Il genere confessione non diluito, pesante –
τι μοι και σοι si è tentarti evangelicamente di dire: che ce ne frega e te e a me (donna)? così, pare, secondo la traduzione dei Settanta, che Gesù abbia detto a sua madre a Cana. Tra “Kaputt” e “La pelle”.
Malaparte è dappertutto, in questa guerra perduta e dopoguerra di fame. Grass è di suo beffardo, qui come altrove, il quotidiano trasmutando in assurdo. E il suo “tirocinio” ricorda qui di sfuggita d’averlo fatto su Döblin, a partire da “Berlin Alexandeplatz”, e per il “turgido guazzabuglio di tempi narrativi” su Charles de Coster, l’“Ulenspiegel”, oltre che naturalmente sul “Simplicissimus”. Tutte, eccetto il “Simplicissimus”,letture da adulto, spiega, in casa della fidanzata svizzera Anna, poi sua prima moglie – Grass, come ogni tedesco di successo, ha avuto quattro mogli\compagne, non tutte insieme naturalmente, per il bisogno di ringiovanirsi. Ma è Malaparte. Con un più di cinismo. Nell’occhio di vetro del sottufficiale reduce dalla Russia, che lo mette e guardia del rancio, che nessuno glielo rubi mentre va a gabinetto. Le persone che scompaiono, e di cui nessuno chiede nulla: lo zio di Danzica, padre di quattro affezionati cuginetti, ucciso dalla Wehrmacht dopo l’occupazione della città, i professori, i compagni di scuola, i compagni di servizio obbligatorio. Magari denunciati da“liceali zelanti”. E lunghe teorie di soldati impiccati, nella ritirata, soldati tedeschi dichiarati “disfattisti”, se sprovvisti di documenti, giovani e vecchi.
La tela di fondo invece non è detta. Si impiccavano i soldati tedeschi sul fronte orientale per proteggere la ritirata di un generale verso Ovest, verso gli americani. Il generale Schörner, anzi feldmaresciallo, un ufficiale della riserva che Hitler a guerra perduta aveva messo a capo di uno Stato Maggiore del partito Nazista. E in tale veste poi a capo delle armate dell’Est. Un personaggio, senza’altro, di cui però Grass non dice nulla – vivrà indisturbato dopo la guerra, a
Monaco di Baviera, eccetto una breve condanna, pro forma. Il sordido non manca, ma Grass gigioneggia sul suo “nazisteggiare giovanile”.
Irritante. L’arruolamento volontario non è un colpo di testa. Si fa una domanda. Si viene selezionati. Si passa per un lento viaggio da Danzica a Berlino, in fiamme per i bombardamenti. Quindi a Dresda, ancora non toccata dalla guerra ma sempre con treni notturni, attardati dai bombardamenti. Ma non ci sono dubbi, né ne insorgono. La divisione che si va costituendo, anzi, s’intitola a Jörg von Frundsberg, capo della Lega Sveva al tempo delle guerre dei contadini (contro i contadini), patrono dei servi di campagna. La tragedia è pettegola. Né manca a Grass, purtroppo, la chiamata di correo: “E poi le Waffen-SS avevano un che di europeo: concentrati in divisioni, volontari francesi, valloni, fiamminghi, olandesi, molti norvegesi, danesi, perfino svedesi neutrali combattevano sul fronte orientale una battaglia difensiva che, così si diceva, avrebbe salvato l’Occidente dalla marea bolscevica”. La Germania alla difesa dell’Occidente: da quale storia Grass la tira fuori (da quella ex post di Kennedy)?
Günter Grass,
Sbucciando la cipolla, Einaudi
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