La giustizia è ottusa. La storia di Faith Aiworo

Creato il 30 luglio 2010 da Andreaintonti
Bologna (Italia) - Nel precedente post sostenevo che l’Italia è un paese mafioso. No, niente riferimenti a Dell’Utri, Berlusconi e simili, ma un riferimento che a me sta molto più a cuore delle “male pratiche” del governo. L’Italia è un paese mafioso perché gli omicidi su commissione sono prerogativa della criminalità organizzata, come tante volte abbiamo visto nei film. Ma questo non è un film. Questa è la storia di una ragazza di 23 anni, che il nostro “civile e democratico” paese ha mandato a morte – non si sa se già eseguita, visto che non si riesce ad averne notizia – in Nigeria, il suo paese natale. Questa ragazza si chiama Faith Aiworo, è arrivata in Italia due anni fa, dopo che nel suo paese ha scontato due anni di prigione – uscendone dietro cauzione – per aver ucciso quattro anni fa il suo datore di lavoro che l’aveva violentata. Due anni fa arriva a Bologna, dove però non riesce a trovare né un modo per ottenere il permesso di soggiorno né fa domanda di asilo politico, visto che nessuno le ha mai spiegato che esisteva questa possibilità, cosa che mai viene fatta con gli stranieri (e poi ci lamentiamo se non rispettano le regole: se qualcuno si prendesse la briga di spiegargliele forse staremmo tutti meglio!) Qualche giorno fa alla porta dell’appartamento bolognese di Faith suonano le forze dell’ordine, chiamate dai vicini allarmati dagli strani rumori che provenivano dal suo appartamento, dove due suoi connazionali stavano tentando di violentarla di nuovo.
Essendo in Italia, secondo voi chi ha pagato? Visto che in questo paese la giustizia è ottusa, e gli uomini che la rappresentano non hanno l’ordine di far funzionare il cervello, Faith viene prima spedita nel Centro di Identificazione ed Espulsione in via Mattei, e poi, martedì 20, viene rispedita in Nigeria, dove il processo a suo carico si è concluso con una sentenza di impiccagione, visto che nel paese africano non esiste il concetto di “legittima difesa”.
Lo Stato, lo sappiamo, è assassino per definizione. E il nostro – nonostante qualche anno fa si fece promotore della moratoria contro la pena di morte – è forse uno dei peggiori, visto che si uccidono (pardon, si lasciano morire) persone il cui unico desiderio è quel futuro che a noi è dato per fortuna geografica in mezzo al Mediterraneo e, nel caso in cui riescano a salvarsi, vengono lasciati morire nei C.I.E.
Secondo “le carte” il nostro paese ha violato non solo gli articoli 2, 10 e 27 della propria carta costituzionale (ma vabbè, con quella non solo i leghisti ci si puliscono il culo)
ma anche l’art.19, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella quale si dice che «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».
Non si sa se il parlarne abbia ancora un’utilità, perché allo stato attuale delle cose non si sa se la sentenza di morte di Faith sia già stata eseguita o, come si spera, la ragazza sia ancora detenuta nelle carceri nigeriane. Quello che io personalmente so è che a 23 anni non si può morire, tantomeno se la tua unica colpa è quella di esserti difesa.
Il nostro Stato si rende sempre più complice di un genocidio quotidiano che è la lotta ai migranti. Ed il provvedimento preso nei confronti di Faith non fa altro che creare un pericoloso precedente per tutte le donne che, vittime di stupro o semplicemente vittime di vessazioni, in caso di posizione giuridica irregolare avranno paura di denunciare i propri aggressori. Un provvedimento degno della cultura machista che pervade questo paese.
Non possiamo stare a guardare. Dobbiamo fare pressione affinché Faith venga salvata. Stare a guardare o ancor peggio girarsi dall’altra parte sarà una correità nel suo – eventuale – omicidio. Ed io, francamente, le mani non me le voglio macchiare del sangue di una ragazza innocente la cui unica colpa è stata quella di essere violentata tre volte: due volte fisicamente, una terza dall’ottusità delle leggi italiane. Paese “civile e democratico”.
Forse non servirà a nulla, ma si può tentare quanto meno di fare pressione facendo circolare la storia di Faith in tutti i luoghi e modi possibili, contattando le associazioni che si occupano di casi come questo come Amnesty International o, più direttamente telefonare o bombardare di mail i seguenti indirizzi:
Questura di Bologna
Piazza Galileo Galilei, 7 – 40123 Bologna
telefono: 0516401111 – fax: 0516401777
email: urp.quest.bo@pecps.poliziadistato.it
Ministero dell’Interno – Dipartimento Libertà Civili Immigrazione
http://www.interno.it/mininterno/site/it/sezioni/ministero/dipartimenti/dip_immigrazione/
liberta.civiliimmigrazione@interno.it
Prefettura di Bologna Area IV – Diritti Civili, Cittadinanza, Condizione Giuridica dello Straniero, Immigrazione e Diritto d’Asilo
Email Dirigente dell’Area: fabrizio.stelo@interno.it
Associazione Progetto Nigeria
e-mail: info@progettonigeria.it
e-mail: simone.marzocchi@progettonigeria.it / rossella.denunzio@progettonigeria.it
web site: http://www.progettonigeria.it
On Line Nigeria http://www.onlinenigeria.com/default.asp – Portale nigeriano in inglese dove inserire un messaggio in difesa di Faith
 
Faith non deve morire. Fate girare la notizia il più possibile.
 
P.s. per le e-mail, si può inviare il decalogo creato da Donne Pensanti,un’associazione – bolognese – che si occupa delle problematiche legate alla nuova questione femminile. Basta ricopiare questo testo e firmarlo con il proprio nome e cognome:
 
Il decalogo *
  • Faith ha 23 anni e quattro anni fa ha ucciso un potente connazionale, per difendersi dai suoi tentativi di violenza sessuale.
  • E’ stata condannata a morte nel suo paese (che non contempla per le donne l’attenuante della legittima difesa).
  • E’ scappata dal paese che la vuole morta.
  • Si è rifugiata a Bologna credendo di essere al sicuro.
  • Hanno tentato di violentarla nuovamente.
  • Ha denunciato il suo aggressore.
  • E’ stata fermata dalla Questura.
  • E’ stata rimpatriata nel suo paese.
  • In questo momento forse è già stata impiccata.
E’ l’elenco puntato che riassume la vita di una donna di soli 23 anni. Dieci punti che pesano come se fossero 10.000 E’ difficile seguire i dedali della Giustizia ma ancora più difficile comprenderne il disegno quando proprio questa si trasforma in Ingiustizia. La costituenda Associazione Donne Pensanti, che ha sede proprio a Bologna, la città nella quale Faith aveva scelto di cercare rifugio, quella stessa città che ha deciso di rimpatriarla nonostante una condanna a morte, chiede al Comune di Bologna di considerare la gravità del provvedimento di espulsione ordinato per Faith Aiworo. Il provvedimento, che equivale ad una sentenza esecutiva di messa a morte di una donna che scappava per sopravvivere non colpisce solo Faith. Apre, infatti, un pericoloso precedente che intimidirà e zittirà tutte quelle donne che in situazione di irregolarità, volessero denunciare una violenza subita nel nostro paese, nella nostra città. Come cittadine, come Associazione, come donne esprimiamo il nostro sconcerto davanti alla decisione presa dalle autorità competenti in materia nel comune di Bologna. Esistono casi in cui la Giustizia, quella che ancora si chiama tale perché difende i diritti umani, deve saper ponderare, prendere tempo, valutare il singolo caso cercando la via che difende prima di tutto i diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Esistono casi di In-Giustizia in cui i provvedimenti vengono applicati perentoriamente, ciecamente, irrevocabilmente. Donne Pensanti è dalla parte della Giustizia.