La globalizzazione, la cina e le scope dei contadini

Creato il 10 agosto 2012 da Carturco @carturco

La globalizzazione, si sa, viene indicata come causa ultima e perversa dei più diversi mali che affliggono oggi la nostra società.

Domenica scorsa, 5 agosto, la Repubblica dava spazio ad una lettera del Signor Mario Bergami, di Anacapri: un vero e proprio scoop, in quanto rivelava uno di questi mali che finora, a meno di una mia particolare ignoranza, non mi risulta essere mai stato messo sufficientemente in luce.

Lamentava, infatti, il Sig. Bergami, di aver dovuto sborsare la somma di € 7,90 per acquistare una scopa del tipo chiamato “scopa della Befana o scopa della strega”, scoprendo che essa risultava prodotta in Cina. Per cui concludeva con perentorio sarcasmo:

Questi sono i vantaggi della globalizzazione: un oggetto costruibile con materiali di scarto localmente, lo importiamo a un costo enormemente superiore a settemila km di distanza.

E ciò perché, secondo il Signor Bergami, questa scopa è “fatta di tanti rametti secchi legati a un manico” e, fino a pochi anni fa, “i contadini se la costruivano da soli: un’ora di lavoro a costo zero.”

Ora, non mi è chiaro cosa si voglia intendere esattamente con quest’ultima affermazione: che i contadini  hanno recentemente  scoperto passatempi più congeniali in cui spendere il proprio tempo libero rispetto all’hobby della costruzione di scope della strega? Oppure che un’ora di lavoro del contadino dedicata alla costruzione di scope della strega, a differenza di qualche anno fa, vale qualcosa più di nulla, per cui non è più contabilizzabile a costo zero?

Ma sia nell’uno che nell’altro caso, mi sembra, non possiamo che rallegrarcene, quanto meno per i contadini.

D’altronde, chi mai si sognerebbe di impedire a tutti i Signori Bergami di questa Italia  di costruirsela da sé la scopa – magari approfittando di una gita in campagna, a pochi km da casa propria -   legando a un manico dei rametti secchi: assolutamente a costo zero.

Ma poi, se, con un minimo sforzo, ci si dà carico di informarsi un po’ meglio sulle cose del mondo che ci circonda, gettando uno sguardo al di là della cerchia dei nostri bisogni egoistici più immediati, si potrebbe agevolmente scoprire che le scope in questione – costruite a regola d’arte con diversi tipi di materiali (bambù, giunco, erica, saggina, sorgo,  ecc.) – vengono importate non solo dalla Cina, ma anche da Paesi dell’Europa Orientale. Che in questi ultimi vi sono produzioni artigianali locali che si sono trasformate in attività industriali. Certo, la sopravvivenza di produzioni artigianali tradizionali è messa a rischio dalle produzioni cinesi, più economiche anche se meno durevoli, come racconta Antonio Gregolin. Eppure c’è qualche azienda italiana  che continua a produrre anche scope di questo tipo, costruite usando le tecniche tradizionali migliori, ed assai selettiva nella scelta dei materiali, addirittura nella loro coltivazione – altro che rametti secchi legati a un manico – o che ha integrato la produzione di scope in una più ampia produzione industriale, con insediamenti… persino in Cina!

In altri termini, evidentemente, quello delle “scope della strega” non è più principalmente un’attività abborracciata confinata all’iniziativa occasionale di abitanti della campagna con nulla di meglio da fare, ma una industria in grado di soddisfare – anche a migliaia di km di distanza –  mercati di consumatori dalle esigenze particolari e diversificate.

Se questi fenomeni debbono ascriversi alla “globalizzazione”, non mi sembra che siano vantaggi da poco, con buona pace per la personale delusione dei Signori Bergami che piangono il buon tempo passato.

Analogamente, magari, a chi ha pianto e piange il tempo in cui l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ha cominciato a complicare o a diminuire – per quanto modestamente – la costante e piena disponibilità, tra le mura di casa, della preparazione dei pasti, delle pulizie domestiche, della cura di figli ed eventualmente anche di quella di ascendenti, specie se malati: tutto rigorosamente a costo zero.