La grammatica cinematografica/1

Creato il 22 settembre 2014 da Kymaera Edizioni

Trascorsi i mesi estivi, eccomi ancora qui, a riprendere in mano gli scritti, gli approfondimenti e le riflessioni riguardo il cinema. Il clima che sta lentamente dimenticando le tiepide giornate di agosto (non veramente calde quest’anno al Nord), il cielo che cattura via via i toni più plumbei dell’intera gamma dei colori offertici dalla Natura, mi portano a ritrovare il mio posto sulla sedia davanti alla scrivania, con il mio portatile e circondata da volumi che nel corso degli anni ho letto e che probabilmente ho anche un po’ ho dimenticato!

LA GRAMMATICA CINEMATOGRAFICA. Parte prima

La scorsa volta abbiamo accennato alla grammatica cinematografica che, a spanne, sembrerebbe un argomento molto semplice, ma è proprio in virtù di questa semplicità presentata all’apparenza che in realtà si rivela essere particolarmente ostico, ricco di trappole in cui si può facilmente cadere.

Innanzitutto, quando parliamo di grammatica cinematografica non dobbiamo dimenticare che ci troviamo di fronte ad un linguaggio e che sebbene sia diverso da quello verbale ci sarà utile compararli entrambi per facilitare la nostra comprensione. Cosa viene in mente quando si pensa al linguaggio verbale? Beh, ovviamente la parola, che ne costituisce la base a cui tutto poi si unisce e si orchestra: proprio come da una nota si può comporre una canzone, da una parola si può costruire una frase, una poesia… e da un’inquadratura, un film!

Inquadratura. Significato e classificazione

Inquadratura dunque generalmente intesa come la porzione di spazio ripresa dall’obiettivo, delimitata dai bordi del quadro, separata dalle altre anche in fase di montaggio attraverso il taglio. Si annoverano diversi tipi di inquadrature, classificate in base al rapporto di grandezza del corpo umano rispetto allo sfondo:

  1. Dettaglio o Particolare: si parla di dettaglio quando ci si riferisce ad un oggetto, in particolare quando il protagonista è un essere umano;
  2. Primissimo piano: va dagli occhi alla bocca di un volto;
  3. Primo piano: comprende il volto e le spalle del soggetto;
  4. Mezza figura: arriva fino alla cintura;
  5. Piano americano: scende fino ad includere le ginocchia nell’inquadratura;
  6. Figura intera: inquadra la persona nella sua totalità:
  7. Campo medio: la figura occupa la stessa percentuale di spazio dell’ambiente;
  8. Campo lungo: è l’ambiente a predominare, ma s’intravede ancora l’essere umano;
  9. Campo lunghissimo: l’ambiente occupa tutta l’inquadratura.

Linguaggi a confronto

Ora, considerando ciò che abbiamo detto rispetto all’analogia parola/inquadratura,  saremmo  portati a fare questa equivalenza:

parola (nel senso di nome) = inquadratura

dalla quale deriverebbe che

frase (successione di parole) = sequenza (successione di inquadrature)

In realtà non c’è niente di più sbagliato! Se prendessimo ad esempio la più piccola unità dell’inquadratura, ossia un dettaglio o particolare, comunque non riusciremmo a creare una perfetta analogia con il linguaggio verbale. Consideriamo magari l’inquadratura di un insetto:

nel campo visivo: immagine di un insetto

nel campo verbale: la parola insetto

Sue due piedi potremmo riscontrare un’uguaglianza in quanto abbiamo due unità semantiche: una lessema e un piano, entrambe irriducibili. Il significante (aspetto percepibile del segno linguistico) è diverso però nei due linguaggi: in campo verbale corrisponde alla parola scritta o parlata i cui segni grafici e sonori corrispondono alle 7 lettere e ai sette suoni I – N – S – E – T – T – O. In campo cinematografico il significante è l’immagine dell’insetto e il segno è la sua riproduzione.

Anche il significato è distinto: il significato verbale di insetto non è altro che la sua definizione da vocabolario, quindi generico, mentre il significato cinematografico sta a suggerire, al contrario, la particolarità di quell’insetto, quello e nessun altro.

Quindi l’inquadratura, più che richiamare una parola, a questo punto potrebbe essere più simile ad una frase: “Ecco quest’insetto!”

In definitiva, la specificità alla quale arriva il cinema è dunque completamente sua, peculiarità che lo distingue nettamente dal linguaggio verbale, che per sua natura mette in gioco la dilatazione, le rappresentazioni mentali, i simboli: potremmo così brevemente concludere che il primo è un linguaggio analogico, il secondo simbolico.

Mettere in luce queste discrepanze serve proprio a capire come il cinema non sia il surrogato di nessun’altra forma di espressione. Il cinema certo attinge, utilizza e si ispira volutamente alle altre arti (oratorie, linguistiche, teatrali) ma lo fa in modo da mantenere il suo centro ben equilibrato, e sta a noi comprendere come sia un mezzo del tutto autonomo e capace di esprimersi attraverso le sue potenzialità.

Valentina Maniezzo