La grande abbuffata di monteluce. storia di un vero affare?

Creato il 01 giugno 2012 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria
di Giampiero Tasso Per capire il vero valore di quella pietra posta oggi… occorre ricordare come sono andate veramente le cose. A ricostruire la storia con molta attenzione e professionalità sono stati Zaffini, De Sio e Corrado… di seguito la parte più significativa… Nel 2004, spiega Zaffini “la Regione Umbria decide di costituire un ‘Fondo chiuso con apporto” per dismettere e valorizzare l’area dell’ex ospedale di Monteluce a Perugia e, in accordo con gli altri proprietari, Comune di Perugia, Università degli Studi e Azienda ospedaliera di Perugia, affida al ‘solito’ istituto finanziario Nomura, partner abituale delle amministrazioni umbre, il coordinamento dell’operazione di costituzione di un fondo immobiliare, cui i partner pubblici apportano un valore immobiliare di 52 milioni di euro, ricevendo in cambio un numero di quote di 250 mila euro di valore ciascuna. Occorre sempre ricordare – sottolinea il capogruppo di AN-Pdl – che stiamo parlando di immobili di grande pregio e che allora, nel 2004, in una fase positiva del mercato avevano un notevole valore”. L’istituto Nomura, ricorda ancora Zaffini, individua come soggetto gestore della collocazione sul mercato delle quote la Sgr (Società gestione risparmio)-Bnl: “In base alla normativa – spiega – Nomura avrebbe dovuto concludere il collocamento di queste quote entro il 20 agosto 2008, a 18 mesi dall’ultimo apporto di immobili” pena l’immediata liquidazione del fondo e la restituzione degli immobili a Regione Umbria e Università. Avvicinandosi la data del 20 agosto 2008 senza che alcuna delle quote sia collocata, spiega ancora Zaffini, la Giunta regionale, cosciente del fatto che la liquidazione del fondo avrebbe comportato la restituzione degli immobili e delle relative passività, “decide di vendere a Nomura (collocamento a fermo) il 60 per cento delle azioni di sua proprietà ad un prezzo che non può essere definito che di favore, visto che il valore nominale iniziale era di 250mila euro e che una valutazione del dicembre 2007 di Nomura la fissava a 225mila euro”. La Regione Umbria ricava 20milioni di euro dall’operazione “vendendo, a ‘prezzi di saldo’, un pacchetto di azioni che ne valeva almeno 28 (valutazione ‘prudente’ Nomura del dicembre 2007)”. Zaffini completa il quadro della vicenda spiegando che dopo il secondo tentativo di Nomura andato a vuoto (31 ottobre 2009) di collocare le quote, la Regione “per limitare i danni” decide (13 novembre scorso) “di riacquistare per la finanziaria regionale Gepafin 63 azioni al prezzo di 142mila euro ciascuna per un totale di 9 milioni di euro a carico della Regione. Aggiungendo quindi 4 milioni di spese per la gestione del Fondo da parte di Sgr-Bnl e 1milione 600mila euro ‘per bonifica di agenti inquinanti’ (sic!). Ad oggi il risultato di questo ‘capolavoro di finanza suicida’ è che a fronte di un valore di 52milioni di euro, dopo cinque anni, il ricavo è di appena 5 milioni. Sempre che – conclude -, e non è da escludersi, non saltino fuori altre spese prodottesi tra il 2007 e il 2009” Numerosi i quesiti posti nell’interrogazione. In primo luogo si chiede di spiegare “tutti i passaggi della vicenda, e se siano stati acquisiti i pareri dei soggetti sottoscrittori”; perché “è stata concessa a Nomura e Sgr-Bnl una proroga di un anno per il collocamento del 60 per cento delle quote”. E poi ancora: “l’ammontare delle spese di commissione corrisposte”; “su quali fondi regionali sono stati reperiti i 9 milioni di euro per il riacquisto delle quote, e quale l’incremento del capitale sociale di Regione e soci Gepafin”; “a quanto ammontano le passività cui la Regione dovrebbe far fronte per la liquidazione del Fondo”; “come si intende rispettare il vincolo di destinazione sanitaria”.

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