La grande bellezza

Creato il 25 maggio 2013 da Kelvin
(id.)
di Paolo Sorrentino (Italia, 2013)
con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Galatea Ranzi, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Massimo De Francovich, Isabella Ferrari, Roberto Herlitzka
VOTO: *****/5
Che cosa hanno in comune Baz Luhrmann e Paolo Sorrentino? A prima vista apparentemente nulla, eppure ci piace pensare che sia stato un meraviglioso scherzo del destino il fatto che i loro film siano usciti in sala a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, quasi come la continuazione ideale di un discorso. Sì, perchè Il Grande Gatsby e La Grande Bellezza sono in realtà due film molto simili: entrambi parlano di decadenza e di solitudine, di ipocrisia e apparenza, della lenta e costante disgregazione della società e dei suoi valori vista dagli occhi di chi in quel sistema ci sta dentro fino al collo, come protagonista assoluto.
Con una differenza però: mentre Jay Gatsby è un personaggio a tutto tondo, idealista e romantico, votato all'autodistruzione pur di raggiungere l'unico scopo della sua vita (un amore cieco per una donna appartenente a un mondo che è infinitamente più piccolo di lui), il protagonista del film di Sorrentino ne è l'esatta antitesi, forse la sua traslazione in un'epoca, se possibile, ancora più buia e cinica di quella descritta da Fitzgerald: probabilmente se Jay Gatsby fosse riuscito a sopravvivere sarebbe diventato proprio come Jep Gambardella, personaggio brillante, affascinante, ma allo stesso tempo pietoso e sconfitto, un uomo capace di scrivere quarant'anni prima un unico romanzo di enorme successo, per poi dissipare il suo talento diventando giornalista di gossip e lasciandosi trascinare nella cupa mondanità dei salotti romani...
Ed ecco che il collegamento tra i due film diventa lampante: se la New York opulenta, rutilante e falsa degli anni '20 stava precipitando inconsapevolmente verso il baratro della Grande Depressione, la Roma di oggi non è che la conseguenza di quella crisi: il film di Sorrentino è un incubo ad occhi aperti, che contrappone in ogni momento la mirabilante ed 'esagerata' bellezza di una città davvero eterna con lo spaventoso deficit culturale e morale di chi oggi ci vive e la vive. Non a caso, nel film si sente dire che 'oggi i veri abitanti di Roma sono i turisti', gli unici che guardano ancora questa città con gli occhi estasiati e il rispetto che le competono.
Non ci vuole molto a capire che Jep Gambardella non è altro che l'alter-ego del regista dentro questa specie di 'viaggio allucinante' nella movida della capitale, alla scoperta di individui che sono più 'mostri' che persone, gente senz'anima che popola un universo molto simile a un girone dantesco, dove più ti perdi e più vai a fondo nel 'vortice della mondanità' e dove la cafonaggine e l'ignoranza dei nuovi 'vitelloni' si esplicita nelle feste sfarzose e volgari sopra gli attici delle lussuose dimore con vista sul Colosseo, dove si canta e si balla facendo il trenino sulle note di Raffaella Carrà, assistendo a  'sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi allo squallore disgraziato dell'uomo miserabile'. Feste che non sono poi tanto diverse da quelle che Jay Gatsby regalava al jet-set della sua epoca, all'interno della sua sontuosa villa-prigione...

E' in questa cornice che Paolo Sorrentino affonda il coltello, costruendo un film affascinante e tetro, visivamente superlativo, ricreando negli occhi dello spettatore lo stesso stato di straniamento e perdizione di tutti i suoi protagonisti: il direttore della fotografia Luca Bigazzi compie il suo capolavoro immortalando in ogni angolo una Roma stupefacente e ossessivamente bella, all'interno della quale si muovono tante anime dannate, tutte più o meno inconsapevoli della propria perdizione, e che non a caso non ottengono risposta quando nel finale nemmeno una Santa stile Madre Teresa di Calcutta sarà in grado fornire loro risposte sull'aldilà: il futuro non esiste, come non esiste alcuna possibilità di salvezza per un'umanità ormai troppo egoista, volgare e cinica.

Non sappiamo se La Grande Bellezza sia un capolavoro, questo solo il tempo ce lo dirà. Ma possiamo dirvi con certezza che è un film stupefacente, affabulatorio, indubbiamente ruffiano (Sorrentino è un regista molto narciso, uno che 'se la tira' parecchio)  eppure assolutamente da vedere, proprio perchè di una bellezza quasi 'morbosa' capace di rapirti nella visione e farti partecipe dell'incubo in cui stai per cadere... buona parte del merito bisogna darla agli attori (e ovviamente a chi li ha diretti), tutti splendidamente in parte: se per Toni Servillo è ormai inutile cercare altri commenti che esulino dalla banalità riguardo la sua bravura, è doveroso spendere parole di elogio per gli altri comprimari. Due su tutti: una bravissima Sabrina Ferilli e un immenso Carlo Verdone, figure straordinarie e drammatiche, indispensabili per la comprensione del film. E' infatti attraverso i loro personaggi che riusciamo a renderci pienamente conto della frustrazione del nostro tempo, due ruoli difficili di due persone normali che cercano, invano, di ritagliarsi un posto al sole in un mondo che le respinge senza pietà. E, guardacaso, trattasi degli unici due attori romani di una pellicola che dipinge una Roma stupenda e spietata, elegante e lugubre, dalla quale, seppure col cuore in gola, si è costretti a fuggire.
 

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