Il 21 maggio La Grande Bellezza è stato presentato a Cannes e lo stesso giorno è uscito in Italia. Domenica scorsa è stata assegnata la Palma d’Oro a Blue is the Warmest Colour (La Via d’Adele) del tunisino Kechiche e la maggior parte dei giornali italiani ha pianto lacrime di delusione e incomprensione.
Perché La Grande Bellezza è prima di tutto un’opera di grande bellezza. Prima di rischiare di essere un film troppo italiano, troppo romano per essere apprezzato a livello internazionale (anche se comunque è già stato comprato da almeno 20 paesi). Ogni fotogramma è una fotografia perfetta, ogni scena un’opera d’arte, ogni sequenza un capolavoro. Le interpretazioni, a partire da quella magistrale di Toni Servillo per finire con quella sorprendente di Sabrina Ferilli, testimoniano una regia, quella di Paolo Sorrentino, che può essere solo di un vero maestro.
Jep Gambardella è un giornalista e vive a Roma da tanti anni. Conosce la gente giusta e frequenta i salotti e i circoli più altolocati della città. E’ protagonista della vita mondana romana, ma anche spettatore più o meno critico. Ne è stufo, ma è il suo posto e ci si crogiola. E’ la cerniera tra gli amici frivoli che fanno conversazioni sul niente solo per riempire il tempo tra un drink e l’altro e quelli più scontenti che ogni tanto reagiscono (Romano e Ramona, non a caso soli dalla stessa parte).
La Grande Bellezza sono due ore e mezza di vita quotidiana e mondana, piccole occasioni e grandi eventi, amici sinceri e conoscenze giuste, puttane e suore (addirittura sante), Roma virtuosa e Roma corrotta, bellezza che resta, bellezza che passa. E’ una riflessione intensa e complessa sulla bellezza nel suo senso più frivolo ed effimero, la bellezza che dura un quarto d’ora, quella del bisturi e delle feste eleganti. Ma non è mai solo questo, sullo sfondo c’è la bellezza nel suo senso più alto, quella della virtù, dell’amore, delle vie di Roma, della purezza.
In una scena una bambina di dieci anni viene letteralmente esposta al pubblico di un ricco mecenate perché si esibisca in un pianto disperato e in uno sfogo violento con secchi di pittura contro una tela. La scena del dolore di una bambina messa in mostra è straziante, ma nonostante questo il risultato è un enorme dipinto di colori mescolati cui lo spettatore non può restare indifferente (il regista ce lo mostra solo per un istante). La bellezza ci violenta, indipendente com’è da tutto il resto, dalla morale, dalla giustizia, dall’onestà. Ma la bellezza, quella vera, non può prescindere da tutte queste cose. La bellezza senza virtù è solo apparenza, solo forma, involucro e, a uno sguardo attento, solo bruttezza.
Questo film è un grande circo di suore, nani, elefantesse, lenoni, giraffe, mecenati, fenicotteri, spogliarelliste e latitanti. La sala d’attesa per la seduta di botox settimanale si confonde con la cerimonia di accoglienza di suor Maria, la Santa. Gli artisti “illuminati” tirano testate contro i muri. I giovani cercano la morte con l’acceleratore. I latitanti vivono al piano sopra. Chi un tempo è venuto dal paese nella capitale adesso vi ritorna. L’amore di gioventù non è mai passato e ricompare a capovolgere una vita intera.
E’ un film che andrebbe visto e rivisto per riuscire a coglierne tutti gli spunti. Anche solo per vedere quante volte viene usata la parola “bello” e con quale significato (con che espressione Jep dice al vedovo del suo amore di gioventù e alla sua nuova compagna «Che belle persone che siete» e cosa intende quando ricorda all’amica Stefania con cui non è mai andato a letto che per fortuna resta loro «ancora qualcosa di bello da fare»?).
Il finale mi è poco decifrabile. Perché una Santa? L’intero film è continuamente percorso da suore, quelle che educano i bambini, quelle che corrono per il convento, quelle che si fanno il botox per non farsi sudare le mani. E infine ecco una santa, che ha fatto voto di povertà, dorme su un cartone e mangia solo radici (perché le radici sono importanti) e che sale la Scala Santa in ginocchio a cent’anni passati. Quando gli viene chiesto perché non scrive un altro libro, Jep risponde «pensavo di trovare la grande bellezza e invece…». Ma siamo sicuri che non l’abbia trovata? Siamo sicuri che la chiave non ce la dia la Santa quando ci spiega che la povertà «non si racconta, si vive»? Siamo sicuri che la Grande Bellezza si possa spiegare? No non lo siamo, quindi andate al cinema e vivetela di persona.
VOTO: 9
Titolo: La Grande Bellezza
Regia: Paolo Sorrentino
Anno: 2013
Cast: T. Servillo, S. Ferilli, C. Verdone, I. Ferrari