La grande bellezza

Creato il 03 gennaio 2014 da Alexcorbetta

Jep Gambarella. Un unico romanzo scritto da giovane, che gli ha dato il successo. Una carriera riconosciuta, ma non tropp0, come giornalista. Un’esistenza vissuta all’insegna delle feste nei luoghi più belli di Roma. Una vita che, secondo il protagonista stesso, fa schifo e che non gli lascerebbe nessuna speranza…

Paolo Sorrentino e Toni Servillo. Il primo è il regista di capolavori del cinema italiano contemporaneo quali Le conseguenze dell’amoreIl divo, pellicole aventi il loro protagonista in Servillo (3 volte Miglior Attore ai David di Donatello, . Due nomi che basterebbero già da soli a spiegare la bellezza de La grande bellezza (chiedo venia per il gioco di parole), candidato al Golden Globe 2014 come Miglior film Straniero e fra i possibili vincitori dell’Oscar nella medesima categoria.

Il punto più forte di questo film, che di punti deboli oggettivamente non ne ha, non sta però nella regia, non sta nel protagonista e nemmeno dei vari comprimari presenti (da Carlo Verdone a Sabrina Ferilli a Carlo Buccirosso, nemmeno uno fuori posto). E’ la storia raccontata. E cosa racconta Sorrentino, ovviamente sceneggiatore del film? Una Roma fatta di lucido marmo e di marciume. Diverse scene sono dominate dalla nostra capitale, dalle rovine dei più bei palazzi storici (stupenda la parte del film in cui Gambardella e Ramona visitano alcuni di questi, grazie alla complicità di uno degli amici del giornalista) che a dirla tutta stanno meglio di molte persone della “Roma bene”, esponenti di un’alta borghesia dedita a feste e all’ingordigia più sfrenata.

La realtà in cui Jep Gambardella vive è qualcosa di desolante, di vuoto e insignificante. Di niente e nulla più.

«Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?» (Jep Gambardella/Toni Servillo).

Bastano cinque/sette minuti per capire che per Sorrentino tutte queste persone e tutta questa nostra realtà odierna non valgono niente. Precisamente i cinque/sette minuti in cui una delle amiche di Jep si vanta di tutti i suoi successi: il suo matrimonio (con un uomo che vive quasi apertamente la sua omosessualità), l’aver cresciuto i suoi figli (affidandoli praticamente in ogni momento a qualcuno della servitù), i suoi romanzi di formazione (pubblicati da una casa editrice compiacente) e l’aver scritto la storia del partito di sinistra a cui appartiene (grazie al fatto di essere andata a letto con il segretario del medesimo partito). Tutte vittorie di Pirro (povero Pirro, tirato in ballo…) puntualmente smentite dal giornalista di fronte ai suoi amici.

Si diceva che il punto di forza del film è l’argomento, questo ritratto di una Roma letteralmente putrefatta. Tuttavia parte del merito va riconosciuta agli attori coinvolti. Di Toni Servillo non c’è bisogno di dire alcunché. Parecchio si potrebbe dire degli interpreti comprimari, ognuno perfetto nel suo ruolo grande o piccolo che sia. Sarà il rapporto più profondo con il protagonista ma sono i personaggi di Carlo Verdone e di Sabrina Ferilli a essere, a mio modo di vedere, quelli più riusciti. A dispetto di ovvie differenze, Romano e Ramona (a chiunque non sfuggirà come non sia un caso la scelta dei nomi) comprendono ciò che va seguito e ricercato, ovvero la semplicità. L’amico cerca di scrivere un’opera teatrale colta e di portarsi a letto un’attricetta tossica, capendo solo alla fine che i testi migliori sono quelli che vengono dal cuore e che Roma non è che una grande delusione. La spogliarellista è l’unica a rimanere disturbata dal mondo di Jep (soprattutto di fronte alla bambina costretta dai genitori con la forza a dipingere di fronte a tutti, anche se lei preferirebbe solo essere una bambina).

Di fronte a La grande bellezza si può solo decidere di inchinarsi. E chiedersi, qualora si pensi ai vip d’oggi con un pizzico d’invidia, se non dovrebbero essere loro a invidiare noi.



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