La Grande Bellezza ha vinto l'Oscar come Miglior Film Straniero, ma questo sicuramente già lo sapete. Condivido di seguito un articolo che ho scritto un po' di tempo fa sulla Roma di Sorrentino e la Roma di Pasolini.
Questo articolo è uscito sulla rivista digitale e-Mood #5 e sul blog della casa editrice GoWare.
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Per me il film di Sorrentino vince soprattutto perché Roma è una città che significa Esistenza, Amore, Vita.
La Bellezza nella Città Eterna è viaggiare all'infinito su percorsi già tracciati, su strade già costruite, storie poi distrutte, su parole già scritte e immagini già riprodotte. Le metafore su Roma potrebbero sprecarsi, ma poi ci ritroveremmo come in un salotto borghese di una delle tante terrazze romane che si vedono nel film.
La Bellezza di Roma è autentica e, allo stesso tempo, effimera, è una pulsazione profonda e sotterranea che ti sembra di sentire per la prima volta, camminando sulle sue strade, come un Primo Amore che ti porterai sempre dietro.
Roma, culla dell'umanità, radice più profonda del nostro essere culturale e storico, vince soprattutto perché è cosa nostra, res pubblica. pure degli Ammmericani...
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Raccontare la Città Eterna è una grande sfida che da sempre gli autori e i registi più audaci, classici e moderni, hanno deciso di affrontare. Scavare in profondità sotto gli innumerevoli strati della città più conturbante del mondo significa diventare archeologi-poeti alla ricerca di verità e vibrazioni senza tempo.
Grazie alla potenza del romanzo e della cinepresa, i luoghi della Città Eterna non sono solo mere ambientazioni degli eventi narrativi o filmici, ma diventano nodi essenziali della struttura, pilastri portanti dell’intera architettura dell’opera, punti di vista critici da dove poter lanciare sguardi e osservazioni nuove.
Spesso così il racconto della città moderna è un interessantissimo viaggio a tappe, alla scoperta del cosiddetto “dark side of the moon”, ovvero del lato oscuro dell’Urbe.Cosa nasconde Roma dietro la sua proverbiale Bellezza?
All’ombra dei grandi monumenti de La grande bellezza, nella notte della Storia, si cela la stessa città infernale pasoliniana, presente in grandi opere come Alì dagli occhi azzurri, Ragazzi di vita, Una vita violenta e in film come Accattone, Mamma Roma e Uccellacci uccellini.
Se, però, l’inferno di Pasolini sono le borgate e i suoi abitati, per Sorrentino i fantasmi della città eterna e i grotteschi esseri notturni della modernità si nascondono nei salotti della borghesia parassitaria e senza speranza.
Jep Gambardella, il protagonista del film, infatti, è una specie di “cantore supremo, divo disincantato” di un girone dantesco d’alto borgo: intellettuali vuoti, poeti senza voce, attrici cocainomani fallite, imprenditori che fanno del sesso un business e spogliarelliste cinquantenni che amano solo il potere del denaro.I personaggi di questa Roma decadente abitano una Roma antica, che Paolo Veronesi su La Lettura definisce «magnificente, languida e immortale, la cui struggente bellezza, per l’appunto, appaga fino a stordire».
Uno stordimento che porta inevitabilmente alla dissoluzione, la stessa che scorre nelle vene ferite della Roma pasoliniana. L’enorme lacerazione non solo appartiene all’interiorità dell’autore, ma anche allo stesso tessuto metropolitano.
Nella pluralità infinita del nuovo mondo romano, infatti, si aprono delle fessure, dalle quali Pasolini spia la brulicante vitalità della città, osservando le numerose scene di vita quotidiana. Queste immagini confluiranno, poi, nei suoi romanzi e racconti, sotto forma di indimenticabili e minuziose tranches de vie.
Pasolini scrive di una Roma che sanguina, cioè che straripa di novità dalle sue ferite. In questa immagine, la modernità sembra assumere quelle caratteristiche di liquidità teorizzate, peraltro, molto più tardi, dal sociologo polacco Zygmunt Bauman.
La Roma di Pasolini è bella e in dissoluzione perché in preda al cambiamento del boom economico degli anni Cinquanta, mentre la Roma di Jep Gambardella è ostaggio della noia e dell’accidia della Dolce Vita, viziata dai tempi del benessere e del lusso facile. Antica perché addormentata su se stessa, senza prospettive e senza vitalità.
Sia nella prospettiva pasoliniana che in quella sorrentiniana, Roma è protagonista assoluta, immenso corpo da scoprire e da osservare. Attraverso il lungo viaggio dei protagonisti nella città, si scopre che, ogni luogo di questo immenso spazio è parte essenziale di questo corpo. La continua ricerca di luoghi d’osservazione è funzionale alla creazione di punti di vista sempre nuovi, da cui poter descrivere la città.
Bertrand Westphal in Geocritica. Reale, Finzione, Spazio sostiene che «la costruzione di luoghi si fonda su una relazione vissuta quasi carnalmente con gli spazi che lo scrittore traspone in seguito nell’opera».
Credo, infatti, che per poter riuscire nell’ardua impresa di raccontare una città immensa e contraddittoria come Roma siano necessari una profonda conoscenza dello spazio urbano, un grande esercizio dello sguardo e una raffinata sensibilità poetica, virtuosismi che sia Pasolini che Sorrentino dimostrano ampiamente di padroneggiare.
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Pier Paolo Pasolini giunge a Roma, in treno, una mattina d’inverno del 1950, dopo aver abbandonato la provincia friulana. La fuga da Casarsa rappresenta una vera e propria avventura verso un nuovo mondo sconosciuto: la città moderna. Lo stretto rapporto che si instaura tra Pier Paolo Pasolini e la grande metropoli dà vita alla narrativa cosiddetta “romana”, che è un insieme complesso di racconti e romanzi, studi e appunti in prosa, nei quali Roma, con i suoi spazi urbani e i suoi abitanti, è l’assoluta protagonista.Per restare sempre aggiornato sull'argomento di questo post, puoi seguirmi su Twitter, su Facebook, su Google+ o su Pinterest. Se invece preferisci ricevere i post direttamente nella tua mail, aggiungiti agli altri lettori di BhoBlog qui.
Alì dagli occhi azzurri è l’opera di Pasolini che contiene i racconti scritti nei primi anni Cinquanta, subito dopo l’arrivo a Roma, che vennero pubblicati, però, in forma definitiva, solo nel 1965. I testi che ho analizzato comprendono l’arco temporale della primissima fase del periodo romano, ovvero quelli compresi tra il 1950 e il 1954. In questo primo gruppo di testi, posti all’inizio del volume, non solo si trovano molti racconti che anticipano personaggi e atmosfere dei successivi romanzi romani, Ragazzi di vita e Una vita violenta, ma anche interessanti appunti e studi dell’autore, che registrano le sue impressioni sul sottoproletario romano e sugli ambienti più degradati di Roma: le borgate. Ho cercato di descrivere analiticamente questo vero e proprio laboratorio narrativo, nel quale l’autore sperimenta nuove forme narrative e linguistiche e nuove modalità espressive che verranno poi riprese nelle successive produzioni letterarie e cinematografiche, alle quali fa da sfondo la complessa vita moderna di Roma, con tutte le sue grandi contraddizioni storiche, urbane e antropologiche. Lo sguardo urbano di Pasolini, così, restituisce una lettura profonda della città romana. Non si limita a descrivere la realtà urbana che osserva intorno a sé, e che ama spassionatamente, ma, penetrando nei suoi complessi strati, cerca di studiarla e interpretarla con l’occhio critico della ragione. «Prima passione, ma poi ideologia», d’altronde, scrive Pasolini.
L’ottica pasoliniana spesso è così minuziosa nel cogliere gli aspetti della realtà urbana che certi brani narrativi assomigliano ad approfondimenti etnologici o antropologici, pur senza pretendere di fissare criteri scientifici precisi e assoluti sulla Roma degli anni Cinquanta. La città è in preda alla trasformazione: le ricostruzioni postbelliche e i nuovi piani edilizi stanno rimodellando la fisionomia del territorio urbano. Nuove case, palazzi, ponti e strade sembrano risolvere solo apparentemente i problemi della popolazione romana. Essi, invece, rappresentano i poli estremi della contraddizione storica. Infatti, di fronte al restauro moderno dell’arredo urbano, nella capitale governativa, morale del Paese e sede papale del Cattolicesimo, il sottoproletariato urbano vive nella povertà e nell’indigenza più estreme, in case-tuguri e baracche improvvisate, lontane dal centro della città. La sontuosa Roma delle grandi vedute, dei monumenti antichi, del Colosseo e dei Fori imperiali, delle strade del centro, sviluppandosi ed espandendosi all’esterno, verso la periferia, degrada nello squallore della borgata. Tra le due città, quella bella e quella brutta, quella buona e quella cattiva, quella moderna e quella pre-storica vi sono percorsi fisici che mettono in collegamento il Paradiso con l’Inferno. Le strade di Roma, infatti, nell’esperienza urbana dell’autore sono fondamentali. Attraverso il movimento fisico all’interno di esse, egli scopre che la realtà contemporanea è polisemica fino all’ossimoro. La contraddizione e la contaminazione delle forme sono, infatti, le cifre caratteristiche che contrassegnano l’intera opera pasoliniana, costituita da un vasto corpus di poesie, racconti, romanzi, saggi, sceneggiature e opere filmiche.
Il lungo viaggio di Pasolini dentro Roma ricorda per molti aspetti il viaggio infernale di Dante. Roma, nelle descrizioni di questi racconti, assume spesso le terribili connotazioni di una città di Dite del XX secolo. Immagini infernali del paesaggio, figure grottesche, colori cupi, atmosfere noir, rimandi e citazioni dantesche influenzano l’immaginario pasoliniano di questi primi racconti romani di Alì dagli occhi azzurri. L’universo orrendo di Pasolini, inoltre, è caratterizzato dalla sporcizia e dalla dissoluzione, simboli della corruzione e del continuo, metamorfico incedere della società moderna-borghese. La scrittura rabdomantica del narratore-profeta intercetta le forze magiche e oscure, sottese alla modernità, e le convoglia in descrizioni dal potente effetto immaginifico. La pluralità di Roma si complica nello sguardo urbano di Alì dagli occhi azzurri, da una parte, visione registrata dalla disarmante oggettività di alcune descrizioni, dall’altra, immagine visionaria di un mondo onirico e straniante, filtrata da una complessa e contraddittoria soggettività poetica. La città di Dio, luminosa, paradisiaca e inarrivabile, è insediata dall’oltretomba della città infernale: i luoghi del sesso e della morte costituiscono le roccaforti di questo ambiente dis-umano, custodite da figure allegoriche come il Serpente e la Comare Secca. Solo attraverso i luoghi citati dal testo è possibile una ricognizione su questa città labirintica e disorientante. Infatti, essi si stagliano nella pagina con una concretezza impressionante, quasi come se lo spazio fisico di Roma si fondesse nella struttura narrativa dei racconti di Alì dagli occhi azzurri.