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La grande bellezza. Un film "napoletano" su Roma, la "non capitale d'Italia". Proposta di recensione che riceviamo e pubblichiamo

Creato il 17 aprile 2014 da Romafaschifo
di Claudio Antonelli (Montréal, Canada)
Cosa dire del film "La grande bellezza" dedicato a Roma, il cui regista, Paolo Sorrentino, napoletano, è stato insignito dell'Oscar come autore del miglior film straniero? Dirò innanzitutto che l'ho visto; perché da buon italiano potrei anche avere la pretesa di "portare avanti il discorso" su di un film senza averlo visto prima.Le cose raccontate  dal film sono affascinanti, per contenuto e forma. Roma appare proprio "eterna" nella sua eterna continuità-decadenza e nella sua straordinaria dimensione storico-estetica dai tantissimi strati. I personaggi di tipo felliniano che la popolano sono espressione di una stanca, cinica, snob, e corrotta umanità, che vive nell'abbondanza senza che si veda da dove essa tragga i suoi soldi. Con sullo sfondo statue antiche, palazzi principeschi dalle sfarzose ma cupe atmosfere, fontane, chiese, conventi, croci, cupole, giardini... Un delirio insomma d'immagini. Un trionfo dell'estetica. Una Roma onirica, rarefatta, felliniana, da divano psicanalitico. Su cui, secondo me, dovrebbe installarsi proprio il regista... Infatti, anche quello che Paolo Sorrentino, ideatore di questa Roma stile Hollywood, non dice nel film, dice invece molto su di lui, come napoletano e come italiano.Le assenze, in questa Roma unidimensionale, sono tante. Ma distinguere quelle volute da quelle non volute non è facile. L'assenza – direi incredibile – di ogni riferimento a Berlusconi è voluta, ed è ammirevole tanto che il regista meritava l'Oscar solo per questo. Manca nel film la gente, la folla, il popolo. È assente ugualmente sia "la grande monnezza" che affligge la capitale d'Italia, sia le "imbrattature" di pareti, saracinesche, monumenti: i disgustosi graffiti presenti ovunque nella vera Roma. Spettacolo che suscita in me tristezza, ogni volta che torno in questa città. Perché dopotutto Roma è la capitale d'Italia. Ma molti romani, di nascita o d'adozione, vedono Roma come città esclusiva dei romani, e meglio ancora dei romanacci. Fatto forse unico al mondo: Roma è una capitale che non riesce a suscitare sentimenti "nazionali" né nei suoi abitanti né negli abitanti del resto d'Italia. E tutto nel film indica che Roma non suscita neppure in Sorrentino questo per me normale sentimento d'identità nazionale.Altre assenze? Manca il traffico, manca la metropolitana, manca  – come ho già detto – la folla: i lavoratori, i vigili urbani, gli zingarelli borseggiatori, i venditori ambulanti, i mendicanti; mancano poi gli extracomunitari. Mancano insomma nel film il disordine, l'illegalità, la "cialtroneria", il caos di Roma. Un caos avvilente, perché espressione d'incuria, e di grave mancanza di senso civico e di responsabilità anche in chi sta ai vertici. E dire che sarebbero bastate un paio di scene per mostrare questo sfondo di vita vera (una rumorosa confusione umana e veicolare è invece ben presente nel film "Roma" di Fellini).Nel film abbonda invece lo snobismo, quello dei suoi personaggi, e – oserei dire – anche quello di Paolo Sorrentino, creatore dell'opera. Abbonda poi la napoletanità. Infatti, a saper ben guardare, Sorrentino rivela filosofia e sentimenti napoletani, ma non un sentimento profondo per Roma; né per la Roma, città di tutti i romani; né per la Roma degli  italiani, ossia la Roma capitale nazionale e non solo capitale mondiale della Chiesa ed ectoplasma della passata forza e grandezza della "Roma-impero".Torno a ripetere: "La grande bellezza", film su Roma, evoca con forza – secondo me  – Napoli. A conferma, ove ve ne  fosse bisogno, vi è il ringraziamento, di carattere proletario-snobistico (anche questo è un tratto napoletano...) fatto da Sorrentino a Los Angeles al momento della premiazione... a chi? A Maradona. Il Maradona che segnò la riscossa calcistico-morale di Napoli e fu divinizzato dal popolino.Protagonista de "La grande bellezza", del resto, è Toni Servillo, napoletano di Afragola, romano acquisito secondo il copione, ma ben napoletano  sia nella cadenza, sia nel suo cinismo-disincanto misto ad una certa umanità.Anni fa descrissi così, parlando di Totò l'esasperata ossessione napoletana dello status:"Il senso spasmodico delle differenze tra 'miseria e nobiltà', l’insopprimibile  ansia nobiliare, l’ossessione di volersi innalzare al di sopra del volgo per entrare nel rango dei signori - dove si è affrancati per sempre dalla fame, elemento chiave di tanti suoi film - confermano la napoletanità assoluta di Antonio de Curtis. A Napoli infatti, più  che in ogni altra città del nostro Sud, si avverte la profonda frattura storica tra 'pezzenti' e 'signori', 'plebe' ed 'elite'. Frattura che però la dote - sommamente apprezzata all’ombra del Vesuvio - della vivezza di spirito e del gusto della battuta riesce in parte a colmare, poiché riscatta quegli umili che ne siano dotati, mentre condanna quei nobili che ne siano sprovvisti."Ebbene l'impronta "napoletana" di questo film dedicato a Roma è rivelata proprio dal fatto che tra "miseria e nobiltà" Paolo Sorrentino ha scelto la "nobiltà" ignorando totalmente la "miseria". Ha voluto anche ignorare il disordine e la "grande monnezza" della capitale. Ma bisogna riconoscere che venendo da Napoli, l'ex perla del mediterraneo finita tristemente, in gran parte, in mano alla camorra e ai porci, Sorrentino non si è lasciato di certo impressionare dallo sfascio di Roma, "l'ex capitale d'Italia".

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