La grande guerra

Creato il 16 febbraio 2016 da Nehovistecose

Regia di Mario Monicelli

con Vittorio Gassman (Giovanni Busacca), Alberto Sordi (Oreste Jacovacci), Silvana Mangano (Costantina), Folco Lulli (Giuseppe Bordin), Bernard Blier (capitano Castelli), Romolo Valli (tenente Gallina), Vittorio Sanipoli (Maggiore Segre), Nicola Arigliano (Giardino), Tiberio Murgia (Rosario Nicotra), Ferruccio Amendola (De Concini), Elsa Vazzoler (moglie di Bordin), Geronimo Meynier (portaordini), Mario Valdemarin (Loquenzi).

PAESE: Italia, Francia 1959
GENERE: Commedia drammatica
DURATA: 131′

L’ex galeotto lombardo Giovanni e il barbiere romano Oreste finiscono loro malgrado a combattere la grande guerra. Pigri e codardi, le inventano tutte per scansare pericoli e fatiche. Quando gli austriaci li catturano, si immolano per la giusta causa.

Scritto da Monicelli con Luciano Vincenzoni, Age & Scarpelli, uno dei titoli più noti e apprezzati della commedia all’italiana, appena un anno dopo l’exploit de I soliti ignoti. Sin dalla prima, celebre inquadratura – i piedi dei soldati che scarpinano nella fanghiglia – risulta chiaro l’intento degli autori. È il primo film italiano in cui la grande guerra viene raccontata in chiave realistica e, per forza di cose, negativa: “sporca” in tutti i sensi, mai romantica né tantomeno gloriosa (un’idea inculcata dalla propaganda fascista ma a quei tempi ancora molto in voga), una guerra tra poveracci tanto inutile quanto sanguinolenta. Per la prima volta nella storia del nostro cinema, morire in guerra non ha nulla di eroico o vittorioso: è soltanto tanto, tanto squallido. La terribile vita di trincea è descritta in maniera veritiera, e finalmente si racconta l’aspetto “sociologico” del conflitto (una guerra di poveracci contro altri poveracci). Il suo modello principale non è filmico, ma letterario: nella distanza tra le parole della propaganda e la realtà, nel raccontare quel calderone di dialetti e regionalismi che fu la fanteria (e che ebbe il merito, forse il solo, di contribuire a creare una sorta di identità nazionale che ancora non esisteva), nel ribadire un pacifismo di fondo che non è mai stucchevole o accomodante, il film rivela la sua vicinanza con Un anno sull’altipiano di Lussu, capolavoro della letteratura e primo vero atto d’accusa sugli abomini della guerra e sui suoi inutili massacri.

Nonostante la presenza di due grandi attori comici, è il film della commedia all’italiana meno divertente, più tragico, quello col finale più amaro e complesso: patriottardo o, semplicemente, umanista? Difficile dirlo. Di certo non è retorico, e l’emozione che regala è sempre “vera”, anche dopo molti anni e molte visioni. Film anomalo anche sul versante dei registri: quasi tutte le sequenze iniziano in commedia e finiscono nel dramma, come se il riso fosse sempre e comunque velato di morte. Più corale di quel che sembra, pieno di figure memorabili (su tutte, il disilluso tenente Gallina), scandito dalle parole e dalle musiche delle struggenti, vecchie canzoni cantate dai soldati al fronte, ha anche un’importante ed inaspettata dimensione sentimentale (si veda il rapporto tra Giovanni e Clementina, ma anche quello tra Gallina e il soldato analfabeta innamorato). Tra Sordi e Gassman il confronto lo vince probabilmente il secondo, ma va detto che il suo personaggio ha più spessore, da l’impressione di essere scritto meglio. Monicelli, per la prima volta alle prese con la “larghezza” del suggestivo formato Cinemascope, ripropone quello stile elegante e preciso che già si vedeva ne I soliti ignoti: sapiente uso dello spazio interno al fotogramma e, quindi, della profondità di campo, piani-sequenza di forte valore espressivo (l’ultimo è il più famoso), una mano magica nella direzione degli attori.

In controtendenza a ciò che si pensa di solito, il giovane Senatore Giulio Andreotti non fu uno dei detrattori del film (che fu criticato ancora prima di uscire al cinema) ma fu, anzi, uno dei politici che spinse il produttore Dino De Laurentiis a proseguire nonostante gli attacchi. Nella seconda parte la trama ha qualche passaggio un po’ troppo meccanico e non sempre le incursioni nella farsa sono felici, ma rimane uno dei capisaldi del nostro cinema. Pregevole contributo musicale di Nino Rota e fondamentale quello fotografico di Giuseppe Rotunno. Leone d’Oro a Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere di Rossellini.



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