Il film termina con la denuncia dell’impunità globale di cui hanno goduto i protagonisti della vicenda e dunque della prosecuzione nemmeno tanto sottotraccia delle logiche che hanno portato alla crisi globale: coraggioso certamente, specie se si tiene conto che siamo dalle parti di Hollywood, ma anche un modo per ribadire l’idea che tutto sia frutto di un’azione banditesca, favorita e coperta dal potere, ma pur sempre banditesca ed evitabile, non il frutto di un sistema che andrebbe radicalmente cambiato. Tutto lo grida nel film a cominciare dallo stesso personaggio interpretato da Brad Pitt, un ex brillante finanziere, rifugiatosi come un Thoreau, nella selva addomesticata della natura e del “naturale” stile XXI° secolo che torna in campo per dare una mano ad alcuni suoi amici, speculatori sì, ma in fondo portatori sani del sogno americano: insomma l’eroe buono che sguaina la spada del trader consumato. Per non parlare delle immancabili crisi di coscienza di un altro pescecane, afflitto dal suicidio del fratello e da conseguenti scrupoli morali pur lavorando per Morgan Stanley o dei doppiogiochisti bancari. Passa in secondo piano il fatto che la manipolazione delle scommesse sui mutui subprime viene in sostanza scoperta grazie alla possibilità di farci grandi profitti giocando a sorpresa contro titoli considerati sicuri.
Probabilmente l’idea di fondo che alla fine si vorrebbe suggerire è che il mercato rimane un regolatore ideale, che i guai creati dell’avidità sono risolti dall’avidità stessa, cosa assolutamente comprensibile nel mondo americano narcisisticamente intento a contemplare la propria intangibile eccezione , ma che a qualche spettatore europeo potrebbe dare l’impressione contraria e cioè che la manipolazione, gli interessi intrecciati tra controllori e controllati, l’idea stessa di annullare i rischi delle puntate finanziarie impacchettandole in meta scommesse, sono consustanziali al sistema, parte di esso e non un problema di mele marce e del loro potere anche sulla politica. Il tema principale ovvero che queste scommesse a tutti i livelli e in ogni settore economico raccolgono molto più denaro di quanto non facciano le attività stesse e che alla fine le infinite assicurazioni, riassicurazioni, extra assicurazioni contro i rischi finiscono per avere un valore complessivo di dieci volte superiore al rischio stesso. E’ l’assurdo del capitalismo finanziario che è tuttavia la sua specifica forma incardinata in un’idea di valore che prescinde dal lavoro o da altri ancoraggi (come era la convertibilità in oro, prima del ’71) : se il denaro non è più rappresentazione di un valore, ma il valore stesso, esso non potrà che essere ottenuto da altro denaro.
Certo ben vengano questi film che quanto meno tastano la piaga in un momento in cui la pubblica narrazione è del tutto priva di qualsiasi realismo e onestà al punto che l’amministrazione americana spaccia per nuovo lavoro e per ripresa, le attività più o meno episodiche dei pensionati, colpiti dalla drastica riduzione dei loro assegni e costretti a qualsiasi cosa per sopravvivere. Purché si sappia che il peggio non è passato, ma deve ancora venire.