Follow the sun. Ci siamo spostati, il vento freddo ci tirava la pelle in faccia, ma lame di sole filtravano tra gli alberi, siamo andati più a monte, dove la valle si apre, a cercare il sole.
Sesia? No, non ancora almeno, le condizioni davvero non ispiravano. Mastallone! In solitaria ho tempestato di lanci qualche pozza profonda di questo strepitoso torrente. Non una pinna.
Alle cinque, infreddolito e perplesso ho contemplato l’idea di tornare a casa. Ma come dicevo se hai la lenza in acqua hai sempre più possibilità di prendere che se sei al caldo a scaldarti le chiappe, l’acqua ha sempre una sorpresa da offrire ai pescatori a lei devoti. Colmo di devozione decido di tentare il tutto per tutto: big fish in un tratto basso del Sesia in SVPS, una lama dove l’anno scorso una grande trota mi ha beffato all’ultimo, saltandomi davanti in tutta la sua possanza e liberandosi dall’esca… una ferita ancora aperta.
Era un tramonto dall’aria sferzante e dolce insieme, fredda, ma con la promessa implicita nel suo profumo, di un’imminente primavera. Silenzio tutto intorno, solo il canto delicato del fiume alla sua minima portata. Un passo dopo l’altro sul greto, cercando di non muovere i sassi, di non far rumore, persino il respiro sembrava potesse turbare l’armonia del momento. Un lancio dopo l’altro, filo sottile in canna, 0,18, un rotante oro, un classico Vibrax 3.
Non ho visto un pesce fino all’arrivo al fondo della lama. L’occhio ha colto una sagoma scura dove si sarebbe aspettato solo sassi, mi sono pietrificato, ho osservato meglio…
Immobile, ho stimato quel dorso nero e quella grande coda schiacciati dietro una pietra sui 50 forse 55 centimetri. Clamoroso errore. Era davanti a me, leggermente a monte, a 5 o 6 metri di distanza, sotto un metro d’acqua circa, corrente quasi nulla. Strano, ho pensato. Strano che si sia fatta vedere, che non sia scappata. Ma in questa stagione le cose strane possono accadere, forse non mi aveva sentito, forse si stava scaldando. Quasi trattenendo il fiato ho lanciato. Primo recupero, il rotante è passato vicino, forse 35 centimetri a monte della trota immobile. Niente. Strano. Secondo lancio, il rotante ha compiuto lo stesso passaggio, ma era caduto più rumorosamente in acqua, più vicino a lei. Niente. Strano.
Terzo lancio, avevo un tremore alle ginocchia, un fremito di nervosismo e impotenza, passaggio lento molto vicino ma forse era l’esca era troppo in superficie quando le è passata sopra. Quarto lancio, corto, nervi a fior di pelle, recupero lento, vicino ai sassi del fondo; con lo sguardo ho seguito ogni centimetro della traiettoria, il rotante si avvicinava ad ogni giro di manovella a quel punto invisibile dietro al sasso dove stimavo ci fosse la testa nascosta della trota. Il riflesso d’oro del rotante era ormai a due centimetri dal sasso… ho visto avanzare con un movimento lento e misurato, una grande testa scura, si sono aperti due squarci rossi: le branchie. Il vibrax non c’era più… Un grande peso in canna!
Cuore in gola, la bestia era molto più grossa di quanto pensassi! Dall’esaltazione alla delusione è stato un attimo. La canna era piegata, ma non partiva la frizione… La trota non correva, non saltava, non si contorceva su sé stessa… Ha iniziato a muoversi sinuosa, con movimenti ad “esse”, come un serpente boa, verso il centro della lama. Certo il peso ha reso necessario un recupero lento e cauto con lo 0,18; ma poco alla volta ho accorciato le distanze. Sono entrato in acqua, le ho camminato dietro, lei lenta cercava di nuotare in avanti, ormai ad un passo da lei, davanti le ho messo il guadino: è entrata, l’ho sollevata. Era grande. L’ho portata a riva tra sassi e poca acqua.
Non sapevo bene che fare. Poteva essere una malattia contagiosa per altri pesci? Era destinata a morte certa se rilasciata? Ho chiamato il Savio che, da amico innanzitutto e da presidente di queste acque, è venuto a vederla. Nel mentre la tenevo viva in acqua dentro il guadino e la ammiravo affascinato dalla sua possanza e dispiaciuto per quegli occhi. Misurata faceva esattamente 73,5 cm per circa 3 kg.
Il Savio, con la sua lunga esperienza non ha avuto dubbi: pesce condannato a finire magro come un anguilla e nero come la pece entro un paio di mesi, morte certa. Pare che sia un problema che capita abbastanza di frequente alle grosse marmorate, varrebbe la pena capire meglio se è un disturbo genetico, un virus o una fine normale. Insieme abbiamo deciso che il rilascio purtroppo era inutile, chi conosce me o Savino sa quanto ci prodighiamo nel tutelare la marmorata, ma che senso avrebbe avuto lasciarla? Era forse una fine più degna quella di morire di fame o beccata dai cormorani? Io ne farò un monumento alla sua specie. Non amo i pesci imbalsamati, anzi, ma in questo caso credo che sia stata una scelta giusta, quando sarà pronta mostrerà la sua possenza, la sua bellezza e maestosità di regina nella sede dell’SVPS.
Trota stupenda, regina malata, cattura beffarda; senza soddisfazione. Un’altra lezione del fiume, la prova che le grandi ci sono e, certamente, è una storia di pesca da raccontare.
Rock’n'Rod